Una casa per Mr. Biswas
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VITA DI UN SIGNOR NESSUNO
Mr. Biswas è un uomo mediocre, che è possibile definire solo per mezzo di termini negativi: debole, pusillanime, inetto, invidioso, senza carattere, permaloso, astioso, meschino nelle aspirazioni e negli ideali. Perfino le sue velleità intellettuali si esauriscono nella ripetuta e incessante lettura di alcuni libri “impegnati” (Epitteto e Marco Aurelio), senza che si riesca mai a intravedere in lui un qualche segno di evoluzione culturale. Inoltre, nell’intero arco della sua vita, a Mr. Biswas non succede praticamente nulla di straordinario, al punto che solo la nascita sotto nefasti presagi (un po’ come l’Oscar del Tamburo di latta o il Saleem Sinai de I figli della mezzanotte) e la morte per annegamento del padre (di cui egli è involontariamente responsabile), possono avere il marchio dell’eccezionalità. Eppure Naipaul, nel suo romanzo di esordio, ne fa il protagonista di una monumentale saga di quasi seicento pagine, e questo solo dettaglio la dice lunga sulla sua abilità di narratore, giustamente premiata dal Premio Nobel nel 2001. Dunque, Mr. Biswas è un Signor Nessuno. Della sua vita, nel prologo, conosciamo subito la conclusione, e quindi sappiamo fin dall’inizio che nessuna sorpresa, nessun coup de theatre la salverà dalla banalità, dall’ordinarietà. Lo potremmo definire un piccolo borghese, se solo l’epoca e la collocazione geografica del romanzo lo consentissero, in quanto la sua massima ed unica aspirazione (quella che dà il titolo al libro) è di poter avere una casa tutta per sé. “Ma più di tutto la casa, la sua casa. Sarebbe stato tremendo… vivere senza nemmeno provare a reclamare per sé una porzione della terra, vivere e morire come si nasce, superflui e senza un tetto”. Mr. Biswas passa tutta la vita a inseguire questo sogno, e, a differenza che in Aspettando Godot, alla fine vi riesce (anche se la casa è un edificio squallido e fatiscente, pagato per giunta troppo caro e destinato, per l’impossibilità di onorare i debiti assunti, a essere nuovamente perduto dalla famiglia dopo la sua morte prematura). Eppure il paragone con i personaggi beckettiani è forse il più appropriato, perché la caratteristica saliente di Mr. Biswas è proprio l’attesa, l’afasia, l’incapacità di agire se non sotto la pressione di circostanze irrevocabili. “Aveva passato la vita a prepararsi per qualcosa, aveva sempre aspettato. E così erano passati gli anni; e ora non c’era più nulla da aspettare”. L’esistenza di Mr. Biswas è una esistenza sprecata, vissuta all’insegna di una paura (del futuro, del rapporto con gli altri, delle responsabilità) al limite della paranoia, ed esorcizzata a stento solo attraverso una aggressività verbosa, sterile e vittimistica. E’ così che Mr. Biswas diventa, forse al di là delle intenzioni stesse dell’autore, un personaggio-simbolo, specchio fedele di una condizione umana universale, così come parimenti simbolico risulta il contraltare di Biswas, ossia i Tulsi, la famiglia di origine della moglie Shama. L’annosa lotta di Mr. Biswas per emanciparsi dai Tulsi e dalla loro abitazione, Hanuman House (“un organismo che possedeva vita, forza e potere di dare conforto, ben distinto dagli individui che lo componevano”) - i quali, come un mostruoso cordone ombelicale, tiene avvinti i suoi membri con una subdola forza di attrazione basata sulla abitudine, sul conformismo e sulla paura del mondo esterno, ostacolandone l’emancipazione e la conquista dell’autonomia - diviene così l’espressione del conflitto ineluttabilmente insito nel comportamento umano tra individuo e società, tra adolescente e nucleo familiare e – in maniera più traslata – tra tradizione e modernità. I Tulsi, ritratti con grande sagacia psicologica da Naipaul, costituiscono una struttura articolatissima che, con la “regina madre” in testa, le numerose figlie, i generi e la moltitudine dei bambini, regola in maniera ferrea i rapporti interpersonali della famiglia, distribuendo premi e castighi, premiando i fedeli ed emarginando i reprobi, favorendo riavvicinamenti e riconciliazioni o al contrario comminando inappellabili bandi di esclusione, rappresentando sempre, nonostante tutto, un porto d’attracco comodo e tranquillo anche se pagato al prezzo della sottomissione e della perdita dell’indipendenza. Mr. Biswas, essere fortemente individualista, al limite della misantropia e della asocialità, si scontra perennemente con questa struttura, ma la sua sfida è velleitaria, e serve solo a fornire a sé stesso una comoda scusa per giustificare i propri fallimenti. La casa-negozio di Chase e la baracca nelle piantagioni di Green Vale, messe a disposizione non del tutto disinteressatamente dai Tulsi, non fanno che accrescere l’umiliazione di un uomo che non ha il coraggio di rischiare e di trovare una propria strada nella vita, le case fatte costruire con mano inesperta non lontano dall’alloggiamento di Green Vale e dalla abitazione padronale di Shorthills costituiscono timidi tentativi di allontanamento votati al più crudele dei fallimenti, la dimora urbana di Port of Spain è una versione peggiorativa di Hanuman House, e il fatidico acquisto della casa di proprietà è l’esito di una truffa di uno speculatore da quattro soldi ordita ai suoi danni. Arrivato al termine dei suoi giorni, Mr. Biswas può sì autoconvincersi di essere finalmente a casa sua, ma dentro di sé, in uno dei rari momenti di malinconica consapevolezza, capisce anche di essersi perso, in tutto questo vano e improduttivo agitarsi, l’infanzia dei suoi figli. Anche quando parla di malattie e di morti, il tono di Naipaul resta comunque alquanto distaccato e impersonale, pervaso più da un caustico umorismo che da una autentica immedesimazione. Sulla carica simbolica di Naipaul ho già detto qualcosa più sopra, anche se francamente non sono in grado di giudicare se la dinastia dei Tulsi, che va lentamente ma ineluttabilmente disfacendosi entrando in contatto con il “mondo nuovo” del dopoguerra, rappresenti o meno, in maniera più lata, il destino dell’India, la terra madre da cui provengono, e che ancora influenza con i suoi riti e le sue tradizioni, i personaggi del romanzo. In ogni caso, se anche esiste, penso che il simbolismo di Naipaul sia qualcosa di molto naturale e assai poco cerebrale, capace di creare in forma del tutto realistica immagini di rara efficacia descrittiva, come quei serpenti di pece che pendono dal soffitto della casa non ultimata e che fanno da straordinario pendant alla dissoluzione psichica di Mr. Biswas.