Un uomo solo
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OLTRE LA PERDITA
Un romanzo coraggioso, questo di Isherwood, non solo per il tema su cui si radica, la relazione omosessuale tra il protagonista George e l’oramai defunto marito Jim, capace di far storcere il naso a più di qualche persona anche oggi, ma anche perché molto della sua vita si lascia disvelare in queste pagine, il dolore, certo, ma anche le attrazioni sottili che sanno ancora incantare la sua carne. E coraggioso è l’accartocciarsi della prosa in uno spazio intimo e discreto, lontano dal patetismo televisivo della spettacolarizzazione del male. Sarebbe stato facile rendere le pagine commoventi, creare un dialogo postumo, sobillare le fragilità del protagonista contro le difese incerte del lettore, ma Isherwood confina Jim sullo sfondo, un punto quasi opaco dietro la nebbia grigia di un giorno qualunque, di una vita che accade, perché il tempo si trascina a dispetto di tutto e nonostante noi. Allora per apprezzare la malinconia sincera di questo libro, la sua sofferta ma anche vivace indole, bisogna abbandonare l’idea di una resa di conti postuma e perdonare le ipocrisie che ci vivono, le difese che si mettono in campo per ritrovarsi quando parte della propria vita è caduta in pezzi.
A single man, intitola Isherwood. In quale senso? Un uomo letteralmente “singolo”, la storia di un solo personaggio. Un uomo solo, che si ritrova ad affrontare la vita con le proprie forze, ma anche a single man, un uomo che davvero è tornato single, nel senso relazionale del termine. E proprio perché single, George può ancora sentire il morso del desiderio, l’intransigenza della carne, la seduzione di quei giovani tennisti che giocano seminudi nel campo vicino all’aula in cui insegna, il profilo dei loro muscoli, della feroce vitalità che li muove. La stessa energia naturale da cui si sente escluso e cui costantemente anela, lo spirito ruggente del mare, le onde impetuose in cui solo di disperde. Natura naturante, natura naturata, la paralisi senile si scioglie in un bagno notturno, nell’equoreo ritorno ad una primitiva essenza in cui l’età biologica collassa nell’esplosione dell’anima. A trascinarlo in questo illusorio bagno di giovinezza, il corpo seducente di un suo giovane studente, la sua curiosità spontanea, la sua inesausta ed esplosiva voglia di esistere.
Il tutto Isherwood descrive con uno stile di rarefatta eleganza, di acutissima intelligenza, una sobrietà che eccede solo quando le esigenze della scena lo richiedono e che subito si ricompone. Una certa erudizione si interseca con una sintassi a volta sdoppiata, che ben rappresenta il patrimonio culturale del protagonista e la continua dicotomia tra la mente e il corpo. E alla fine delle pagine, quello che resta, è l’inesausta malinconia di un addio alla vita che Isherwood forse sentiva non così lontano.
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L'animo umano e la sua solitudine
«Il risveglio comincia con due parole, sono e ora. Poi ciò che si è svegliato resta disteso un momento a fissare il soffitto, e se stesso, fino a riconoscere Io, e a dedurne “Io sono ora”. Qui viene dopo, ed è almeno in negativo, rassicurante; poiché stamattina è qui che si aspettava di essere; come dire, a casa. Ma ora non è semplicemente ora. Ora è anche un freddo promemoria; un’intera giornata più di ieri, un anno più dell’anno scorso. Ogni ora ha un’etichetta con una data che rende obsoleti tutti gli ora passati, finché prima o poi, forse – no, non forse, di sicuro – succederà. »
George ha cinquantotto anni, è professore universitario e vive nella solitudine più completa.
Da quando Jim, il compagno, è venuto tragicamente a mancare, non restano altro che la riflessione e la malinconia nella sua vita. Si guarda, si scruta, non si riconosce. Non vede altro che un viso invecchiato e imbruttito, delle guance cascanti, un collo raggrinzito e con la forza della quotidianità e dell’asservimento, ogni mattina, inesorabilmente, indossa la sua maschera e si accinge a vivere quella che è la sua esistenza sino all’inevitabile fine. A questa prima visione interna, si contrappone una seconda visione esterna nella quale al corpo vengono dati ordini, alla bocca viene indicato di parlare, ai piedi di camminare e via dicendo.
Un viaggio introspettivo e retrospettivo che si svolge interamente nell’arco di 24 ore e che si dipana per quella che è una quotidianità fatta di maschere e di perbenismo. Perché il volto celato prevale su quello reale, perché la bautta detta le sue regole inesorabilmente. Il perbenismo e l’egoismo prevalente in quella lotta per il non restare solo, il non essere completamente abbandonato a se stesso.
Al tutto si contrappone la sua posizione: perché George osserva, critica e se necessario brontola, ma al contempo è anche un docente che rappresenta la speranza, l’ispirazione e la creta su cui i suoi studenti devono lavorare per modellare il loro essere. A ciò si somma ancora il mixarsi di una personalità consapevole della sua età ma che ancora si sente viva e che desidera lasciarsi andare all’impulsività del momento e della spensieratezza.
Un elaborato, “Un uomo solo” caratterizzato da istantanee che si alternano tra presente e passato, da riflessioni che cozzano con i desideri, con i sentimenti che sono placati forzatamente, con l’accettarsi e il farsi accettare anche a costo di sacrificare la propria indole e con quelle azioni che portano ad un inevitabile declino.
Perché George è un uomo solo, un uomo che vive al confine, un uomo che vive di ricordi e di malinconia ma anche di speranze e di quella sospensione che solo la speranza offre.
Ed è mediante una penna fluente, precisa, erudita, ricca, pregiata che il viaggio si compone. Ed è un viaggio che non si può rischiare di perdere per stile e per contenuto. Il linguaggio, in particolare, di Isherwood tocca l’animo del lettore sin dalle prime battute e se anche nella parte centrale l’opera tende leggermente a rallentare, il conoscitore non può fare a meno di interrompere lo scoprire perché non può sottrarsi al sapere.
«Ma perché devono esserlo? Perché il dialogo è per sua natura impersonale. È un incontro simbolico. Non coinvolge direttamente le parti. Il che spiega perché in un dialogo, si può dire qualunque cosa. Anche la confidenza più intima, il segreto più bruciante, suonano come semplici metafore o illustrazioni di un principio, che non possono essere usate contro di noi.»
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Solitudine protratta e quanto voluta?
“… Io sono ora. Qui. Jim è morto. È morto…”
Una giornata della vita di George, cinquantottenne professore universitario, ormai tragicamente solo dopo il terribile incidente che gli ha sottratto l’ amato compagno Jim.
Un inizio da subito complicato, in piedi davanti a quello specchio che riflette la precarietà e la difficoltà di un volto invecchiato, abbruttito, con guance cascanti e lo sguardo provato di un individuo che, attraversate tutte le stagioni della vita, lotterà sino alla fine senza alternative possibili.
Poi una indicazione esterna, cosciente, quella parte di se’ che gli ordina di alzarsi ed iniziare un altro giorno. Esce, si mette in moto, comincia a peregrinare e ad osservare gli altri, amici, vicini di casa, studenti, conoscenti, sconosciuti, tra pensieri nostalgici e dolorosi ricordi, scendendo in profondità, dentro di se’.
Un viaggio lampo fisico e mentale con risposte che già conosce, a perlustrare una quotidianità arcinota, a godere di una solitudine in parte voluta, ad inabissarsi in una abitudine malcelata, ad indossare la consueta maschera di pedagogista, a ricercare la compagnia di chi forse può capirlo, o unicamente sospinto dal desiderio di non rimanere completamente solo e da un egoismo sublime.
La morte di Jim pare non essere poi così determinante e solo una scusa per odiare i 3/4 della popolazione americana, la sua è rabbia, risentimento, noia.
George critica, brontola, redarguisce i chiassosi bambini del vicinato, per spalmarsi subito dopo il make-up psicologico adatto al compito che deve interpretare.
Il ruolo di insegnante lo pone come rappresentante della speranza ed, in mezzo ai suoi studenti, si copre di altro, è lume, guida, emana un certo fascino, da alcuni seguito ed ascoltato, ma forse con un unico fine ( scolastico ), al contrario il suo sguardo scorre sui visi della classe traendo forza dai sorrisi di rimando di quei giovani occhi luminosi.
A volte si considera uno straniero, ma ancora si sente vivo, impulsivo, desidera godere del suo corpo, per la sua età diverso, semplicemente non ha rinunciato a vivere.
Finisce con il domandarsi: Chi conta su di me? A chi importa di me?
Certamente questo ultimo breve romanzo di Isherwood è costruito su fotogrammi, immagini, pensieri, attimi, e distingue un se’ pensante da un se’ operante, possiede una marcata ambivalenza ed un quid fumoso e divagante, in un insieme destrutturato e decadente, a immagine del professore medesimo.
Le sue riflessioni cozzano con i suoi desideri, il suo sentire con i suoi sentimenti, le sue azioni con il suo agire.
Quale la realtà reale e la percezione della stessa? E l’ ambiguità dei sogni e dei desideri? Ricerca l’ approvazione degli altri ma se ne sottrae, indica la giusta via ma è tuttora vittima di pulsioni giovanili, constata amaramente il proprio inevitabile declino ma vuole fortemente continuare a vivere e sperimentare.
Di un certo interesse alcune riflessioni e momenti di interiorità, la constatazione di un mondo ormai uniformato ed anestetizzato, a contorno alcuni dialoghi pungenti con descrizioni calzanti, ma nel complesso un certo caos regna sovrano, e l’ uomo solo, in bilico tra desiderio e realtà, sopraffatto da attimi, istanti, ricordi, probabilita’, in quell’ … “ ora “… , come la lunga giornata iniziata ed appena finita, resta sospeso tra coscienza individuale e collettiva, sonno e veglia, vita e ….
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Vari tipi di solitudine
Questo romanzo in terza persona sembra chiaramente autobiografico: l'uso della terza persona, il riflettore puntato impietosamente su George, accentuano il carattere autobiografico ma anche lucido e spassionato dell'opera. Il tema è George, anzi la solitudine di George dopo la morte dell'amato compagno Jim. La solitudine di George si muove davanti agli occhi del lettore cambiando aspetto nel corso della lettura. All'inizio troviamo George solo in senso umano e anche sociale, con i suoi che non capiscono la sua omosessualità, con l'assenza di Jim che occupa intere pagine. La solitudine assomiglia alla malinconia, ha dei risvolti depressivi e il lettore si sente trasportato da un senso di solidarietà per questo relitto umano. Invece pian piano dalle pagine affiora una figura molto diversa. Da solo diventa assoluto, come una statua su un piedistallo, carismatico. Ha una cara amica Charlie che continua a invitarlo a pranzo, a cena, a casa sua, a provarci con poca convinzione nonostante conosca la sua omosessualità, ha dei vicini che lo invitano a bere qualcosa, degli allievi che lo cercano e ci tengono a discutere con lui. Ha una nemica Doris che va a trovare in ospedale. Insomma George non è solo. Non è incompreso, non è socialmente isolato. Lo troviamo solo in quanto su un piedistallo. Partiamo da un'anima alla deriva nelle prime pagine del libro e troviamo alla fine del libro una testa brillante che è al comando di un corpo vecchiotto, sì, ma che gode in un certo senso della luce di gioventù riflessa del brillante cervello. Lo troviamo intessere un dialogo platonico con lo studente Kenny in un rapporto che ricorda quello tra insegnante studente nell'antica Grecia con annessi e connessi. La solitudine di George assomiglia a quella autocompiaciuta e orgogliosa di un semidio, di un semidio a tempo: oggi semidio, domani parente prossimo della spazzatura.
Sicuramente una persona affascinante.
Anche se avesse detto a Lois (del che dubito): l'ho svestito, l'ho messo a letto, era ubriaco come la giustizia. Prima le avrà raccontato della nuotata. Avresti dovuto vederlo in quell'acqua, pazzo come un fanciullo! Non dovrebbero lasciarlo andar in giro solo, gli ho detto.
George sorride a se stesso, del tutto soddisfatto di sè. Sì, sono davvero pazzo, pensa. E' il mio segreto, è la mia forza.
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L'eremitico
A due passi dall'oceano vive un professore universitario di mezza eta', George e' un uomo solo. Solo perche' ha perso il compagno Jim , solo perche' e' una sorta di eremita sociale.
Di fatto immerso nella routine californiana eppure concettualmente distante dal perbenismo dilagante, dall'omologazione che ingoia gli uomini e tutto cio' che da essi deriva a discapito della fantasia e del libero arbitrio. Le regole del consumismo si prefiggono l'uguaglianza ma senza eliminare le differenze. Differenze che potrebbero essere apporto, invece divengono ghetto.
Critico verso lo snobismo di certi studenti benestanti ed il disfattismo di altri, sempre piu' in bilico tra quel che non si e' saputo fare e cio' che non si potra' mai essere; l'angoscia di giovani colleghi che si rassegnano alla pratica dell'insegnamento sottopagato rispetto ai piu' ambiti ruoli manageriali, senza apprezzare il valore aggiunto di una professione incorruttibile . E poi la vecchiaia, il corpo e la mente che si sfaldano ed il nucleo del mondo nella siringa che buca la pelle alternando per qualche ora il sollievo al dolore.
Tanto alcool , tanta polemica .
Eppure non si puo' biasimare l'amarezza del professore, che nel rancoroso, privato anticonformismo individua un ragionevole assioma : il passato e' andato, Jim e' passato, io vivo oggi, oggi la vita e' intensa, appassionante nonostante tutto.
E l'uomo solo desidera tornare ad essere pulsante, vitale come quel corpo nudo che corre a perdifiato contro le onde e si lascia travolgere e urtare e immergere. Senza timore, senza calcolo, senza scrollarsi di dosso quella solitudine di fatto, finche' e' in tempo.
" Il risveglio comincia con due parole SONO e ORA " , l'uomo si alza e si guarda allo specchio.
Ben scritto, amaro, realistico, sensuale, cerebrale. Forse non immediato eppure ci si puo' identificare.
Buona lettura.
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A single man
Pubblicato nel 1964, il romanzo ripercorre l'ordinaria giornata dell'inglese George, un anziano professore (“a dargli quest’aria da ragazzo avvizzito è solo la vanità. Sì, nonostante le rughe… s’intravede il fantasma di una persona tenera, giovanile, affascinante. E’ una combinazione bizzarra, ma innegabile”) che insegna presso un college di Los Angeles. Rimasto solo, dopo la morte del compagno Jim (“Ma Jim è stato fortunato alla fine, cioè l’unica circostanza in cui la fortuna conti davvero. Il camion ha preso la sua auto nel punto giusto; non se n’è neppure accorto”), il protagonista vive una giornata nel periodo prenatalizio (tra “le grandi e goffe decorazioni natalizie”) in un clima di tensioni internazionali (“Poco più di un mese fa, prima che Chruscev accettasse di ritirare i suoi missili da Cuba…”), tra pensieri e parole, sentimenti alterni e senso della morte. Il romanzo è dedicato a Gore Vidal.
Dopo il risveglio, momento della consapevolezza (“Io sono ora”) e del contatto visivo con i vicini, il professore passa la mattinata in università dove tiene una lezione su Huxley con divagazione sui miti di Titone ed Eos di fronte a un gruppo eterogeneo di studenti. Poi, consuma il pranzo al refettorio con il collega Grant e Cinthya, con la quale - per misoginia - intavola una polemica sul confronto tra la cultura europea e quella americana.
Con il trascorrere delle ore il malessere dell’abbandono (“In tutte le vecchie crisi, degli anni Venti, degli anni trenta, la guerra … quello che gelava il sangue era la paura dell’annientamento Ora ci portiamo dentro una paura ben più terribile, la paura di sopravvivere”) e la solitudine (“L’artista da circo non ha un sipario che cali e lo nasconda, lasciando intatto l’incanto e la magia del suo numero. Sospeso al trapezio sotto il fascio delle luci, ha brillato e tremato come una stella. Ma ora che è a terra, senza i riflettori addosso, eppure chiaramente visibile da tutti – anche se tutti, ora guardano i clown – corre oltre le gradinate, verso l’uscita. prende corpo, attraverso pensieri “) prendono corpo. Così come nelle tappe successive: la visita in ospedale (“dove Doris è concentrata nel suo compito: morire”) a trovare Doris (“E’ una creatura completamente diversa; un manichino rattrappito, giallo, con le braccia e le gambe come stecchini, la carne appassita, il ventre scavato che disegna sotto il lenzuolo una sagoma angolosa”), sua ex rivale nel rapporto con Jim, pone George di fronte al tempo (“Il tempo per lei deve essere diventato uno stranissimo labirinto di specchi, e i labirinti possono trasformarsi in ogni momento da divertenti a spaventosi”) e alla consapevolezza del distacco (la gelosia… “era stato quello il legame tra lui e Doris. E ora è spezzato. Un altro frammento di Jim gli era stato sottratto per sempre”).
Poi c’è la seduta in palestra, un inutile giro sulle colline, la tappa al supermercato (“chiude a mezzanotte. Brilla. Il suo alone di luce offre un riparo contro la solitudine e il buio”) ove il ricordo di “Jim, spaventosamente vivido, pugnala George”: “Ma non è un pericolo mortale dire stasera non mangerò da solo?”
Dopo un invito inatteso e imbarazzato della vicina, vi è la cena con l’amica-confidente Charlotte (“Charlotte è già una sopravvissuta, anche lei. Del sopravvissuto ha la tipica tenacia un po’ pesta”) nella quale, grazie all’alcol, George “comincia a provare una sensazione del tutto misteriosa e banale: non è beatitudine, non è estasi, non è gioia, ma quella pura e semplice felicità – das Gluck, le bonheur, la felicidad – cui sono stati attribuiti tutti e tre i generi…”
Già ubriaco, George prosegue la sua ebbra maratona in un pub, ove incontra lo studente Kenny (“raggiante di rapporto”): finale nell’oceano, con scena equorea ed esplosione di vitalità (“E sto per diventare ancora più pazzo”).
“Ma anche una lunga giornata finisce”: quella del professore finisce con il giovane Kenny (“Ora sembrava indossasse una tunica greca, la clamide del giovane discepolo – il favorito, ovvio – di un qualche filosofo”) e un attimo dopo…
Un’opera amara sulla solitudine, sulla voglia di vivere, sulla disperazione per l’assenza. Da essa Elton John ha mutuato il titolo (“A single man”) per un disco che contiene la struggente ballata strumentale “Song for Guy”, tributo al giovane Guy Burchett, fattorino diciassettenne della Rocket Records (etichetta discografica di proprietà dell’artista) deceduto tragicamente in un incidente motociclistico…
Bruno Elpis
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Stile dispersivo
Piccolo libro, esempio di nicchia di uno stile narrativo che o si ama o si odia. Si presenta come un'asciutta sequenza di scatti e racconta i risvolti di un amore omosessuale, scandaloso. Non l'ho apprezzato molto, non mi ha lasciato il segno ed è soprattutto lo stile che non mi ha catturato, non mi ha permesso di entrare in sintonia con il personaggio. E' uno stile, per me, troppo poco narrativo; è pur sempre, come tutti i libri, una voce da ascoltare, ma per me è stata una lettura troppo a scatti, troppo dispersiva, per poterla apprezzare. E' come una sequenza, slegata, di foto nell'obiettivo di una macchina fotografica. Io preferisco uno stile più fluido.
Come la marea che scende e sale la notte
George, ha perso qualcosa alla fine dei suoi pensieri. Non è il compagno tragicamente scomparso, non è la voglia di insegnare o di ricordare cos'era un tempo essere giovani. E' la voglia di vivere perché l'assenza di tutto ciò a cui ci siamo abituati diviene insopportabile. Alla fine di una lunga giornata in cui George sopravvive alle continue coincidenze e agli avvenimenti che lo sanno lambire soltanto, l'autore spiega il perché George sia un uomo solo, sebbene circondato da studenti ammiccanti, prostituti attraenti e dall'amica Charlotte, altro spettro del suo passato. Secondo l'autore, gli uomini sono racchiusi in piccoli golfi, ognuno distinto l'uno dall'altro, irraggiungibili. E la notte, mentre dormono e sognano di tornare, un marea benevola li sorprende nei loro giacigli e li porta al largo, accomunandoli nel sogno di un'unione irrealizzabile. Ma la veglia porta con sé il distacco e la terribile sensazione di aver perso qualcosa, quella stessa mancanza che affligge il protagonista.
E' un libro che lascia il segno, decisamente specchio di un'epoca e di una generazione in cui l'immagine proiettata all'esterno spesso nascondeva un'incapacità di accettare la realtà e suoi cliché.
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una giornata particolare
George e' solo: il suo compagno e' recentemente morto in seguito ad un incidente stradale. Egli e' un apprezzato professore inglese trasferitosi a Los Angeles e, con la scomparsa del suo amato Jim, vive d'inerzia un'esistenza all'insegna dell'abitudine e dell'ordinarieta'. Siamo negli anni '60 e nella perbenista societa' borhese americana il protagonista viene guardato, se non con sospetto, certo con un senso di imbarazzata compassione, che lo porta sempre piu' ad estraniarsi dal resto del mondo. Per fortuna esiste ancora la vecchia cara Charley, un'amica divorziata e neanche troppo segretamente infatuata del suo Geo, che frequenta ogni settimana con un ricorrente invito a cena. E poi c'e' la palestra, l'insegnamento, c'e' Kenny, uno spigliato e attraente studente universitario infatuato del suo professore.
Organizzandosi la vita in modo abitudinario George, pur molto addolorato per la perdita del proprio convivente, e' comunque comvinto di essere riuscito a trovare un precario ma soddisfacente equilibrio. Ma proprio il giorno che matura questa convinzione qualcosa nel suo organismo si inceppa.
Un romanzo rivoluzionario se si tiene conto dell'epoca in cui fu scritto; parte un po' lento e subito disorienta un po', ma presto si entra nelle abitudini e nell'animo malinconico del professore che pare di vivere e percorrere le stesse scelte di quella ordinaria sua ultima giornata.
Tom Ford, lo stilista, ha tentato recentemente di passare alla regia trasponendo questo struggente romanzo. Ne e' venuta fuori una rappresentazione tutta esteriore, tipica di un mondo fasullo visto con lo sguardo poco realistico di un uomo di moda, che rappresenta lusso, vestiti meravigliosi e piante ornamentali ovunque, anche a casa di Charlotte, lei cosi' trasandata e pasticciona - nel romanzo - trasformata nella piu' raffinata bella donna della California. Decisamente tutta un' altra rappresentazone rispetto a quanto si legge in questo notevole ultimo romanzo di Isherwood.