Narrativa straniera Romanzi Un pallido orizzonte di colline
 

Un pallido orizzonte di colline Un pallido orizzonte di colline

Un pallido orizzonte di colline

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Viene il momento per Etsuko, vedova giapponese che vive in Inghilterra, di levare lo sguardo dal presente doloroso e sofferto, per cercare in un altrove lontano un senso e una ragione. Ossessionata dal suicidio della figlia Keiko, Etsuko spinge il pensiero a Nagasaki subito dopo la guerra, dove nel deserto dei sopravvissuti maturava la sua gravidanza turbata. In questo percorso a ritroso nel tempo, Etsuko ricompone la storia parallela di Sachiko e della sua tormentata bambina: Butterfly come tante, Sachiko aspetta un amore, una partenza che non arriverà mai, mentre sua figlia affonda nell'angoscia di ricordi troppo crudi. Non ci sono spiegazioni o epifanie in questo racconto poetico e disadorno, che suggerisce più di quanto sveli; tutto resta sospeso e irrisolto. Un romanzo dell'autore di Quel che resta del giorno, vincitore del Booker Prize nel 1990.



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Un pallido orizzonte di colline 2018-03-06 11:16:40 Dod
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Dod Opinione inserita da Dod    06 Marzo, 2018
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C’era una volta….Vivremo felici e contenti

Un pallido orizzonte di colline è ben lungi dall’essere una laica fiaba di intrattenimento. Il libro di Ishiguro (Premio Nobel per la letteratura 2017) si caratterizza, al contrario, per una evoluzione della storia che pare non portare da nessuna parte. A creare l’illusione di una storia (di riconciliazione col passato) contribuisce già la narrazione in prima persona della protagonista. Invece, assistiamo a una continua sospensione narrativa e introspettiva dei personaggi, conducendo il lettore sulla soglia della comprensione degli avvenimenti passati e di ciò che accadrà dopo, per poi abbandonarlo lì, in attesa, in un continuo intermezzo tra il passato, ricordato con rammarico, sconforto o nostalgia, e un indeciso e sospirato futuro di felicità.
L’esordio del romanzo è incentrato sull’incontro tra Etsuko, la protagonista che narra la vicenda in prima persona, e la figlia minore Niki, venuta da Londra a trovare la madre che vive nella campagna inglese. L’arrivo della figlia porta Etsuko a ritornare con la memoria al periodo del dopoguerra, vissuto da lei in una Nagasaki in ricostruzione dopo la tragedia atomica, e al suo rapporto con Sachiko, Butterfly instabile e angosciosamente protesa verso un futuro migliore, e la figlia Mariko.
Dal primo incontro tra le due nuove vicine si anticipa e intuisce il clima che accompagnerà il ricordo della narratrice: un’atmosfera di sospensione tra l’attesa di una qualche rivelazione e l’accadere di un evento decisivo di svolta e l’inquietudine e il dolore permanente che avvolge il presente. Questa atmosfera impregna il ricordo delle vicende del passato, il presente, le proiezioni sul futuro.
Ogni procede del racconto, per essere più precisi, è l’illusa speranza di avvicinarsi alla comprensione del dolore di Etsuko per il suicidio della figlia maggiore, di giungere a una espiazione della presunta responsabilità per questa morte, di trovare una possibile soluzione (positiva o negativa che sia) del faticoso rapporto tra Sachiko e Mariko, di scoprire chi si cela dietro agli omicidi che avvengono in città, di assistere al risolversi o al rompersi del teso rapporto tra Shigeo Matsuda e il vecchio Ogata-San, simboli rispettivamente del desiderio di modernità e redenzione del Giappone moderno e del nostalgico rimpianto dei tempi imperiali e della società tradizionalista nipponica.
Persino il finale, lasciando intravvedere una possibile novità, la blocca nel momento stesso in cui la suggerisce, impedendone il risolversi. Lo stesso racconto dell’amicizia tra Etsuko e Sachiko crea un’aspettativa nel lettore, porta a far immaginare un finale, una conclusione e offre tutte le condizioni necessarie perché questa si realizzi (specialmente una scena raccapricciante presente alla fine del ricordo), ma anch’esso si interrompe senza preavviso, lasciando il lettore nell’incertezza e nell’allusione minacciosa e inquietante.
Che cosa rimane allora? Probabilmente due temi.
Il primo è l’angosciante sospensione della storia. Se i personaggi della storia raccontata da Etsuko vivono divisi tra il passato di cui vogliono sbarazzarsi e il futuro in cui si illudono di poter vivere (emblematico il conflitto tra Ogata-San e Shigeo Matsuda), la narratrice si ritrova nella stessa sospensione, meditando sul suicidio della figlia ripercorrendo i primi anni di vita matrimoniale e ricercando nel passato qualcosa che possa aiutarla a comprendere la vita presente. Tutti attendono qualcosa (un perdono forse) che non arriverà mai.
Il secondo tema penso possa essere racchiuso dalla rievocazione di un episodio di puro orrore. Sachiko racconta a Etsuko una scena raccapricciante vista da lei e sua figlia mentre erano a Tokyo sotto i bombardamenti: la scena di una giovanissima donna che mostra sorridente il neonato appena affogato da lei in un canale. Questa scena fa probabilmente cogliere il motivo per cui Etsuko, nel ricordarsi della figlia maggiore suicida Keiko, si ritrova a ripensare al suo incontro con Sachiko. Ci troviamo, cioè, dinanzi a due storie incrociate di rapporto doloroso tra una madre e la figlia, di due madri responsabili, più o meno direttamente, della morte della figlia. Da una parte la fredda Etusko, incapace di fare memoria del suicidio della figlia e avvolta da un vago sentimento di colpevolezza, dall’altra Sachiko e la sua incapacità di essere una figura educativa e affettuosa verso la problematica figlia Mariko.
Stile asciutto e stesura del testo a tratti poco chiara. Non ci troviamo davanti a un libro da leggersi a cuor leggero, né particolarmente invitante a essere terminato, ma, se si sceglie di giungere fino all’ultima pagina e ci si ritorna, si rivela un buon libro su cui vale la pena riflettere.

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