Tutto scorre
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Non tutto ciò che è reale è razionale
Ivan Grigor’evic, quasi trent’anni in un lager sovietico, alla morte di Stalin viene liberato e torna al cospetto dei vivi, di coloro che erano rimasti nelle loro città, nelle loro case. Senza accusare nessuno, fa vacillare le loro coscienze, sigillate nell’idea di essere stati giusti, opportuni, bravi uomini insomma, invece le coscienze tremano, riprendono le loro tortuose vie nei meandri dell’abisso, quelli della verità corrosiva, spaventevole, orrida. Ivan non recrimina niente, basta la sua presenza a generare l’orrore del loro operato, mentre anch’egli si stupisce, perso nel paradosso della libertà: “effettivamente si sta proprio male nella libertà!”.
Com’è la sua patria dopo tutto? Dopo Pietro il Grande, dopo Caterina, dopo la rivoluzione, dopo Lenin, dopo Stalin? Non resta che considerare che la Russia ha raggiunto il progresso a discapito della libertà del suo popolo, rinnovandone e alimentandone la schiavitù; perseguendo l’utopia di rinnegare lo sviluppo capitalistico ha mantenuto schiavi i suoi cittadini, cambiando solo il padrone: lo Stato che perdendo di vista l’obiettivo, ha sacrificato la libertà individuale. L’analisi del protagonista è lucida, una condanna sicura dell’utopia comunista con l’individuazione di precisi errori storici più nella persona di Lenin che in quella di Stalin.
Il romanzo è strutturato in modo tale da permettere, attraverso il susseguirsi degli incontri che porteranno lentamente Ivan a reintegrarsi nella società, la conoscenza delle diverse prospettive che furono coinvolte nell’annientamento dell’uomo. Si può percepire la debolezza del delatore, la paura dell’accusatore, la rettitudine della moglie che non può accusare il marito di una colpa inesistente, la quotidianità macchiata di codardia di chi ha scampato ogni pericolo facendolo subire ad un suo prossimo, il timore dell’ebreo, la fame dell’ Ucraina…Ci sono pagine talmente vivide nel loro realismo da provocare inquietudine e malessere, la fame in particolare è descritta così pungente che si arriva a un vero e proprio processo di immedesimazione , tale da far percepire sensazioni al limite del reale. Oltremodo sono pungenti le considerazioni politiche e storiche, portano ad un’ennesima riflessione sulla piccolezza dell’essere umano che dimentica la sua natura umana, doveroso allora non accettare l’irrazionale perché, a dispetto di Hegel, “…non tutto ciò che è reale è razionale. Tutto ciò che è disumano è assurdo e inutile.”
Intanto Ivan, terminate le sue peregrinazioni, giace sconfitto in una landa desolata, eppure egli è immutabile e immutato perché è riuscito, nonostante tutto, a rimanere un uomo.
Che ne sarà della Russia?
“Dov’è il tempo dell’anima russa libera e umana? Quando mai verrà quel giorno?”
Per Ivan- Grossman la risposta non può che essere questa: “Chissà, forse non verrà mai, mai spunterà.”
Ricordiamolo: anche il manoscritto di “Tutto scorre” fu sequestrato insieme a quello di “Vita e destino”, per fortuna l’autore ne scrisse un’altra copia che fu poi pubblicata alla sua morte.
Comprensibile l’amarezza della sua risposta.
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Tutto scorre...
Vasilij Semenovic Grossman ( Iosif Solomonovic) nacque nel 1905 a Berdicev cittadina ucraina a maggioranza ebrea (come denota il nome originale). Allineato al regime, durante la seconda guerra mondiale diviene corrispondente di guerra al seguito dell'Armata rossa. Nel lungo viaggio verso Berlino al seguito dell'esercito sovietico scoprì gli orrori perpetrati dai nazisti a danni degli ebrei, vedendo in prima persona il campo di Treblinka. Questa drammatica esperienza lo spinse a realizzare a guerra finita Il libro nero - Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945 assieme a Il'ja Erenburg ( quello del Disgelo). Nel piano originale l'opera avrebbe dovuto venir pubblicata dal Comitato Antifascista Ebraico, ma la violenta svolta data da Stalin alla politica interna fece chiudere lo stesso Comitato e facendo scomparire lo stesso Libro nero ( versioni incomplete riuscirono ad uscire lo stesso dall'U.R.R.S., per la prima versione in lingua russa bisognerà aspettare il 1980 a Gerusalemme e il 1991 a Kiev).
Questa svolta ebbe profondo ripercussioni sullo stesso Grossman. Da fido servitore del regime, ideologicamente allineato, la violenta campagna antiebraica (che sostanzialmente non ha avuto il tempo per svilupparsi come quella nazista) fu una profonda scossa alla sua fiducia nel sistema sovietico.
Gli anni che vennero furono cupi per gli ebrei sovietici, ma come un fulmine a ciel sereno Stalin morì e con lui i suoi piani per un'ennesima grande purga della società sovietica.
Per gli intellettuali si apriva ora un periodo nuovo, quello che Erenburg definì come Disgelo. In questo contesto viene scritto Tutto scorre... capolavoro letterario, storico e sociologico.
Si tratta di un libro crudo, che lascia pochi spazi a descrizioni leggere, romantiche. Così come è la realtà viene riscritta nel libro. Grossman analizza col suo modo, frutto di anni di giornalismo, la storia russa degli ultimi vent'anni, dalla collettivizzazione fino alla morte di Stalin. I commenti sono caustici, non lascia speranze al regime: "Lo Stato si fece padrone" scrive.
Si inizia col la liberazione di molti prigionieri dei lager voluta da Berija nel 1953. Ecco che il nostro protagonista, incarcerato per aver chiesto la libertà, ritorna dai lager, ritorna alla vita. Ma son passati ben tre decenni e tutto è cambiato. Ci son state le purghe del '36-'38, c'è stata la guerra. Le persone, le strade, le case che conosceva un tempo non ci sono più. E anche quelle che son rimaste, fanno ormai finta di nulla: lo scopo del lager è far dimenticare il condannato e il suo scopo lo ottiene sempre. E qui vien fuori l'angosciante realtà: chi si è salvato non vuole affrontare chi invece è stato condannato. Due Russie si incontrano, quella condannata e quella che è vissuta "libera", la società è fratturata e la frattura non si può più ricomporre. "Non resta che parlare a frasi fatte" commenta Grossman, un commento che dice più di interi libri.
Ma l'autore affronta anche un altro tema. Quello della collettivizzazione e della grande carestia in Ucraina, l'Holodomor. Anche qui il suo stile colpisce nel profondo. Sono forse le pagine più toccanti della sua opera, quelle che fai fatica a leggere. Riporto due frasi che da sole descrivono quella terribile catastrofe meglio di qualunque altra parola:
"Le donne si dimostravano più forti degli uomini, si attaccavano alla vita con più rabbia. Eppure toccava loro il peggio: è alle madri che i bambini domandano da mangiare."
"Hai mai visto sui giornali i bambini nei lager tedeschi? Identici: teste pesanti come palle di cannone, colli sottili come quelli delle cicogne, nelle mani e nei piedi potevi vedere il movimento di ogni ossicino, sotto la pelle, come son congiunti quelli doppi; lo scheletro era tutto fasciato dalla palle, tesa come una garza gialla. [...] Non erano più visi umani."
Infine, l'ultimo argomento toccato da Grossman è il tentativo di capire perché in Russia ebbe modo di svilupparsi una simile dittatura, e anche qui, come nel resto del libro, non c'è speranza; anche qui il suo commento è disarmante: "lo sviluppo russo ha mostrato una sua strana essenza: si trasforma in sviluppo della non-libertà". Purtroppo solo i veri rivoluzionari tentano di cambiare questo sviluppo, ma tutti han fallito, Rykov, Bucharin, Trockij, Zinov'ev, Kamenev, forse proprio per questo loro essere rivoluzionari.
Il libro finisce poi, con un ulteriore riflessione: "Che razza di storia è quella dell'uomo, se la sua bontà non può crescere?". Se anche qua di speranza non c'è ne, questa domanda è pur sempre una spinta ad analizzarsi a fondo, a scoprire l'uomo e a migliorare. Qui vuole arrivare Grossman col suo libro, descrivere la durezza degli avvenimenti come monito, perché essi non si ripetano più.