Tutti i nomi
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Tutti i nomi
Non è semplice entrare in sintonia con questo decimo romanzo di Saramago, uscito nella seconda metà degli anni Novanta. Prima di tutto per l’approccio ‘creativo’ alla grammatica e alla sintassi: i dialoghi sono scritti senza altra separazione fra le battute che una virgola e contribuiscono a pagine e pagine che scorrono senza andare a capo, il punto di vista può cambiare all’interno del singolo (benché lungo) capoverso con frequenti incursioni del narratore, le discrepanze dei tempi verbali sorprendono cambiando all’improvviso il ritmo del racconto. Poi per la storia all’apparenza minima, in cui un uomo qualunque, impiegato di mezza età, si incaponisce nella ricerca di una donna la cui scheda anagrafica gli è capitata in mano per caso. E’ perciò fondamentale riuscire a prendere il ritmo senza prima perdere la pazienza: una volta fatto, quelle che al primo impatto paiono difficoltà divengono ingredienti di una lettura che finisce per ipnotizzare. Il caso, ovvero la scheda di cui sopra, offre al signor José – l’unico che abbia un nome in una storia che ha uno dei suoi centri nel luogo dove sono conservati ‘tutti i nomi’ – la possibilità di ravvivare una vita senza qualità e tanto solitaria da costringerlo a battibeccare con il soffitto della sua modestissima abitazione: il mediocre impiegato scoprirà così dentro di sé una sorta di mister Hyde che lo porterà a mentire, trascurare i suoi dovere e giungere fino all’effrazione in una delle parti più memorabili del romanzo (essendo l’altra, ancora migliore, la visita all’immenso cimitero cittadino, ormai fuori da ogni controllo). L’azione si svolge in una città anonima di un Paese sconosciuto ed è dominata dalla mole – sia nel senso di edificio, sia psicologica – della Conservatoria Generale dell’Anagrafe, con la sua rigida organizzazione verticistica che però è incapace di frenare il caos specie nella sezione dedicata ai morti: uno sfondo anonimo, abbozzato a grandi linee, che, assieme alla linea narrativa ridotta all’osso, consente all’autore di riflettere, e far riflettere, sulla vita e sulla morte ma, forse ancor di più, sull’essere e l’apparire nel corso dell’esistenza e nei rapporti con gli altri. Non solo il signor José finisce per comportarsi in modo inatteso anche per lui stesso, ma tutti gli altri personaggi si dimostrano diversi dalla prima impressione che si ha di loro: le persone cambiano, come la fama dei personaggi di cui il protagonista colleziona informazioni, così che un nome può essere solo un’etichetta e non è neppure detto che sia quella giusta. Sono tutte considerazioni che l’autore si limita a suggerire, queste e molte altre per le quali il lettore può trovare spunto in un determinato passaggio del romanzo: il tono è infatti tutto meno che pedante, anzi Saramago usa spesso l’arma del sottile umorismo, più acuto nei confronti delle convenzioni sociali e invece più sorridente riguardo al signor José, al quale, malgrado la sua banale normalità, non si può non guardare con partecipata simpatia.
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numeri e nomi, due infiniti a confronto...
Premesso che "Tutti i nomi" è il secondo libro firmato José Saramago (insieme a cecità) che termino in questo mese, mi trovo a confermare, così come recentemente scritto, uno stile ed una categoria decisamente "superiori".
Ne sarò rimasto stregato, non so che dire, ma di fatto - giunto all'epilogo di questo "beve" testo (poco più di 200 pagine) - la sensazione di crescita interiore, culturale, lessicale unita alla scoperta di un nuovo - inusitato - personaggio, è stata davvero appagante.
La sensazione che provo quando leggo una nuova storia di Saramago, è quella di un tepore conosciuto, quelle pagine e quell'inchiostro caldi, accoglienti, dove si è quasi coccolati… capirete di cosa sto parlando. Ed è bello.
Si dice che la maniglia di una porta sia la mano tesa di una casa: ecco, siamo sullo stesso piano.
Apriamo il libro e siamo a casa, una nuova storia è lì ed è quasi una rincorsa per scoprire la foggia del protagonista di turno, i particolari minuziosi ed essenziali che ci implorano di non saltare nemmeno un passaggio (o sarebbe meglio dire… una virgola), la poesia, che si nasconde dietro ogni pagina per strapparci un brivido o un sorriso.
Talvolta irrefutabilmente prolisso, personalmente, non ne ho mai abbastanza.
Questa volta accompagneremo il signor José (nessun riferimento all'effettivo nome dell'autore…o forse sì ?), umbratile sofista in servizio presso la Conservatoria Generale dell'Anagrafe, nella disperata ricerca di una donna sconosciuta… almeno fisicamente.
Il destino sembra consegnarli continui indizi, riferimenti, persone, luoghi, affinché le loro strade possano intrecciarsi una sola volta; affinché possano guardarsi negli occhi correndo il rischio di non dirsi nulla. Le regole interne della Conservatoria sono ferree, fondate su integerrime e proterve gerarchie che si tramandano da decenni, ed ogni leggerezza si paga a caro prezzo.
Di rapporti interpersonali non vi è più traccia: ogni risposta, solo se strettamente necessaria è accompagnata da un serpeggiante e represso sussiego.
Al suo interno sono stipati migliaia e migliaia di certificati, di vita e di morte, e per ognuno di loro c'è una storia, un inizio e una fine troppo spesso dimenticati. Il signor José a prima vista stracco, che stenta a "sopravvivere" una querula esistenza, metterà a repentaglio la sua ineccepibile carriera, la sua integrità fisica e mentale affinché la misteriosa donna di cui solo alcuni incartamenti trafugati illegalmente gli raccontano qualcosa, non sia dimenticata.
Saramago descrive i tetri corridoi della conservatoria, che bui si dipanano tra enormi scaffali pieni di vita, polvere e morte, dove gli stessi ausiliari devono ricorrere al filo d'Arianna per essere sicuri di tornare al punto di partenza, come l'antro di una bestia che di essi si serve.
Si arriva in alcuni passaggi a sfiorare il kafkiano, con scelte geniali da parte di J.S, come l'abitazione del protagonista separata dalla Conservatoria Generale dell'Anagrafe da un'unica porta (capirete poi il perché) a cui nessuno, lui compreso, può accedere. Mi è venuto spontaneo, al termine della lettura, fare un paragone con quel capolavoro che è cecità: beh, non si raggiunge quella stessa intensità (forse inarrivabile) che a suo tempo mi tolse il fiato, ma parliamo pur sempre, di un ottimo libro.
Vi basti pensare che uno dei miei passaggi preferiti è il dialogo del Signor José con il soffitto di casa sua, orchestrato con siffatta valentia da risultare per nulla paradossale. Uno spiraglio sulla vera definizione del termine "esistenziale".
Ve lo riporto :
Adesso, sdraiato supino, con le mani incrociate dietro la testa, il Signor José guarda il soffitto e gli domanda, Che cos'altro posso fare, e il soffitto gli risponde, Niente. Allora pensi che debba desistere, Probabilmente non avrai altra via d'uscita, non vorrei essere nei tuoi panni se un giorno di questi ti colgono in flagrante, Nella mia pelle non ci potresti essere, tu sei solo un soffitto di stucco, Sì, ma anche quello che vedi di me è una pelle, e d'altro canto la pelle è tutto quanto vogliamo che gli altri vedano di noi, sotto la pelle neanche noi stessi riusciamo a sapere chi siamo. Non mi piace il tono con cui lo dici, mi suona di malaugurio, La saggezza dei soffitti è infinita, Se sei un soffitto saggio, dammi un'idea.. ci fu un attimo di silenzio poi il soffitto riprese, sai qual'è la differenza tra noi ? che tu guardi verso l'alto solo quando hai bisogno di me, solo quando hai un problema. Io, da quassù ti osservo sempre. Continua a guardarmi, a volte se ne cava qualcosa.
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Claustrofobia fisica e mentale.
Che amara delusione.
Sara’ che ho trovato esaltante il suo CECITA’ e quindi sono partita con aspettative altissime.
Sara’ che io Kafka non lo reggo e qui, diciamolo pure, l’atmosfera e’ decisamente kafkiana.
Sara’ quel che sara’ ma lo ho finito per auto imposizione , giusto perche’ era breve, senza alcun piacere.
Lo stile di scrittura e’ quello noto dell’autore, con un utilizzo decisamente suo personale della punteggiatura.
Ma mentre altrove scandisce il ritmo in maniera affascinante, qui toglie il fiato in una perenne apnea coatta, diventi paonazzo dalla fatica. Pesante, pesante, pesante.
Il linguaggio e’ volutamente ricercato, a buona ragione, per rendere l’ambientazione.
Il romanzo e’ infatti ambientato in una location alquanto inverosimile – come luogo di un racconto, perlomeno- ossia nella Conservatoria Generale dell’Anagrafe.
Muri alti, ambienti polverosi, infiniti corridoi, anche qui manca l’aria.
Una gerarchia fittissima ed intoccabile l'organizzazione del personale al suo interno.
Il signor Josè, impiegatuccio ai piedi della piramide gerarchica, lavoratore modello da piu’ di 25 anni, improvvisamente stravolgerà le sue abitudini in seguito al casuale ritrovamento di alcuni documenti di una donna, che diventera’ la sua ossessione.
Duecento e passa pagine di elucubrazioni che si fondono con discorsi reali facendoti perdere il senso dell’orientamento tra cio’ che effettivamente sta avvenendo e cio’ che e’ solo nella testa del signor Josè.
Tra i muri di quella claustrofobica Conservatoria.
Rincorrendo, arrancando, le manie morbose di quest’uomo.
Datemi un po’ d’aria, per favore, credo di meritarmela almeno oggi.
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Chi è il signor José?
Il signor José conduce una vita anonima, lavora tutto il giorno presso la Conservatoria Generale dell’Anagrafe, non ha amici, non ha una moglie. La sua vita trascorre tranquilla, senza grosse emozioni.
Il signor José ha un unico hobby: collezionare le notizie sulle persone note del paese in cui vive. Non gli interessano gli stranieri, non vuole pubblicare un libro. È la sua piccola passione, una passione senza ambizioni, un hobby forse un po’ bizzarro ma innocuo.
Poi gli capita tra le mani un fascicolo di una donna sconosciuta e lui, chissà perché, comincia a seguire le sue tracce. E il lettore lo segue in questo suo viaggio, lo vede mutarsi, da anonimo figuro comincia ad acquisire una sua peculiarità, legata alla lunga ricerca che il signor José sente di dover compiere, che lo porta a sconvolgere la sua routine quotidiana, a compiere gesti che mai avrebbe creduto di poter fare. E in questo suo viaggio il signor José cambia, e, senza volerlo, cambia il mondo intorno a sé, le persone coinvolte, consapevolmente o meno, nella sua ricerca.
Il signor José è l’unico ad avere un nome proprio in questo romanzo. C’è il vice, il conservatore, tutte persone, ma nessuno con un nome proprio, sono figure anonime, definite dal ruolo che ricoprono nella società.
Il signor José non è un eroe alla James Bond, egli ha forti dubbi prima di compiere le sue azioni che spezzano le consuetudini. Prima di chiedere ad un’altra persona informazioni sulla pista che sta seguendo immagina dentro sé cosa dire, come fare. Prima di introdursi in una scuola di nascosto, solo per trovare dei documenti che possono aiutarlo nella sua ricerca, pianifica tutto minuziosamente. Sì, il signor José è uno strano eroe, un normale essere umano, la cui unica peculiarità è quella di voler seguire la vita di una persona a lui sconosciuta senza motivo.
Il signor José ha anche un cognome, un cognome comune, uguale a quello di molti altri. Anche le persone con cui interagisce hanno un nome, anche la donna di cui il signor José segue le tracce ha un nome. Ma noi lettori non sapremo mai i nomi e i cognomi di questi altri personaggi, sapremo solo che c’è un signore, il signor José, che ha una storia straordinariamente ordinaria.
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Surreale. Prekafkiano.
Ho richiesto di aprire le recensioni di questo libro in quanto lo ritengo assolutamente uno di quei romanzi che mi rimarranno impressi finchè avrò memoria! Per chi non avesse ancora letto il caro Saramago, questo potrebbe essere il giusto imput per iniziare!
Saramago si diletta nella ricostruzione di un romanzo dall'atmosfera ottocentesca, quasi cercando la scenografia falsamente naturalistica, una scenografia sotterrata, sepolta, prekafkiana.
Lo stile è spigoloso e quasi selvatico. La storia appare surreale.
E il lettore viene rapito dall'appassionata ricerca del protagonista, Josè,di una donna per lui misteriosa.
Saramago ci fa capire che non siamo noi a prendere decisioni, sono le decisioni a prenderci.