Tutti i figli di Dio danzano
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I nostri sentimenti si rivelano sempre...
Lo ammetto: ho un debole per Murakami.
Sì, non lo posso negare, amo il suo modo di scrivere e ciò che mi comunica ogni volta.
Il libro è una raccolta di 6 brevi racconti, tutti collegati tra loro dal terribile terremoto di Kobe del 17 gennaio 1995 che uccise più di 6.000 mila persone.
In questi racconti emerge la paura data sia dal terremoto sia da ciò che ognuno di noi ha dentro, un qualcosa di ignoto che però è definibile solo guardando dentro noi stessi, e lì si riconosce e ci spaventa. La solitudine, che accompagna quasi tutte le donne e uomini di questi racconti e che forse accompagna anche lo stesso Murakami, dato che in quasi tutti i suoi libri si colgono dei riferimenti alla sua vita personale e hai suoi gusti.
Riesce a parlare dei sentimenti delle persone come se niente fosse e sinceramente devo dire che tutti e 6 i racconti mi sono piaciuti, ma in modo particolare il primo.
Magari tutti quanti potessimo mettere il vuoto che c'è in ognuno di noi in un pacchetto e liberarsene..
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La libertà è una danza
Il racconto che dà il titolo all’intera collana di testi scritti da Murakami è quello che ha colpito di più il mio interesse non solo per il titolo, dietro il quale si celano molteplici significati ma soprattutto per la trama in cui si intrecciano temi tanto visionari quanto perversamente realistici ed attuali, di proposito somministrati al lettore senza alcuna pillola edulcorante che ne attenui l’impatto quasi folle.
I racconti sono sei, sullo sfondo dei quali si prospetta un unico tema comune: il terremoto avvenuto in Giappone, a Kobe, nel 1995, che funge da telone unificante dietro il quale le varie scenette narrative prendono lentamente piede, ospitate da un palcoscenico fin troppo spesso fantastico ed irreale, a volte persino eccessivamente colorato e burlesco.
I protagonisti sono uomini e donne comuni, al limite della banalità, con vite alienate e spesso solitarie, il più delle volte taciturni ed in cerca di un motivo qualsiasi per cambiare la loro vita.
“La forma del fuoco è libera. E siccome è libera chi la guarda può vederci qualunque cosa. Se lei guardando il fuoco prova una sensazione di pace, è perché la sensazione di pace che ha dentro ci si riflette.”
E’ così che attraverso una scatola magica o un fuoco sulla spiaggia che i personaggi riconoscono dentro di sé la flebile speranza della trasformazione, che si attua sempre agganciando una forma superiore di auto-conoscimento, una maturazione interiore che coincide con la tanto agognata liberazione della propria natura.
Yoshiya, il giovane protagonista di Tutti i figli di Dio danzano è l’emblema della volontà dell’individuo di uscire dallo stato di oppressione e staticità che coincide con una condizione di oscurità, che come una coda lunga e buia lo insegue, obbligandolo a portarsela ovunque. Cresce senza sapere chi è il padre e con la convinzione inculcatagli dalla madre, di essere figlio di Dio e come tale figlio del mondo stesso. Certezza che si trascina dietro fino a quando comprende che non è importante l’identità del padre, quanto liberarsi da quell’inappetenza vitale derivata dal senso di sconforto e di alienazione propri di una condizione di sentirsi privi di un posto nel mondo.
Anche Katagiri, protagonista del penultimo racconto, deve fare i conti con un’esistenza priva di slancio, tristemente annebbiata, nella quale piomba all’improvviso nientemeno che un ranocchio gigante, che lo aiuterà a distruggere il Gran Lombrico, altra ennesima incarnazione del deterioramento e dell’odio dentro cui le vite dei personaggi sono intrappolate. I protagonisti murakamiani hanno vite inconsistenti, ma ciò che dà forza al loro mondo è l’apparizione reale o sognante di strani esseri o cose che illuminano quel buio in cui tutto è attanagliato, proprio come se fosse stato fino ad allora tutto freddo e distrutto da un terremoto. C’è sempre una via d’uscita alla passività della vita, a volte una porta secondaria, che ci permette di allontanarci lentamente, senza mai scappare ma affrontando a viso aperto le nostre incertezze. Che sia attraverso una metafora o una visione, ogni nostra paura può essere abbattuta in nome di ciò di cui abbiamo bisogno, sia esso amore, felicità o comprensione. Sono tutte facce della stessa medaglia perché chi è realmente libero è sempre un figlio di Dio che danza agli occhi del mondo.
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Perdita e ricompensa
Sei racconti con sei rispettivi protagonisti.
Ciascuno di loro ha perso qualcosa: amori, amici, famiglia, emozioni... Alcuni sono nati fin dall'inizio senza di essi.
Eppure, grazie a imprevisti, eventi paranormali o situazioni improbabili quanto semplici, ritrovano la serenità interiore, la consapevolezza di se stessi e della propria identità, ricompensando in qualche modo ciò che hanno perduto o che non hanno mai avuto.
Leggere questo libro, esattamente come tutti gli altri di Murakami, è come entrare in un altro universo.
Si parla di una realtà mai troppo reale: un'esistenza ordinaria cambiata da un surreale non troppo esagerato. I protagonisti sono uomini semplici, comuni, senza niente di speciale, lo specchio della monotona vita di ogni uomo. E'solo lo stile sublime di questo scrittore che li rende unici, la sua splendida capacità di rendere accettabile e normale ciò che non lo è, di creare una Terra aliena.
Murakami non è per tutti: ha uno stile raffinato ma molto complesso, pieno di contenuti che possono sembrare privi di senso e senza scopo.
La stranezza è una cosa ordinaria, vissuta con stupore ma anche con normalità assoluta a seconda dei vari casi. Vi sono termini ed espressioni che si dimenticano in fretta appena li si è letti, ma alla fine della lettura rimane sempre un piacevolissimo e dolce peso nello stomaco.
Un peso che fa riflettere su quelle parole che gli occhi hanno appena sfiorato, che commuove e al tempo stesso costringe il lettore a decifrare il messaggio Murakamiano, complesso quanto e forse di più di un cubo di Rubik.
Spesso è impossibile: lo splendore di Haruki è proprio l'insensato e l'indecifrabile. Le emicranie sono d'obbligo, ma inevitabilmente tutto questo cambia sempre il lettore in un modo o nell'altro.
Dolci misteri e strani fenomeni che accompagnano persone comuni, colpiscono chi legge con soavi pugni in testa e nello stomaco.
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Signor Ranocchio e tanto altro
Come riesce a catturare, ad avvolgere, e a fornire frivola ma intensa immediatezza il signor Murakami solo lui lo sa. Anche in un racconto "sfuggevole" e breve (appena 130 paginette) come "Tutti I Figli Di Dio Danzano" riesce a far emergere tutta la passione per la scrittura. Questa volta ci troviamo di fronte a sei capitoli a se, sei storie che vedono all'opera protagonisti sempre diversi. Sei storie che vivono sullo sfondo del terremoto di Kobe del 1995. Il bello è che questo espediente usato come "trait d'union" non funge assolutamente da protagonista nelle sei storie, il suo ruolo è quello di far leva nella psicologia dei diversi personaggi.
Mi risulta impossibile riuscire a preferire uno spezzone piuttosto che un altro, ogni storia è intensa, viscerale, perfetta (e da ognuna potrebbe benissimo nascere un romanzo più corposo). Ho desiderato in più occasioni che le storie potessero in qualche modo continuare (nonostante le brevità del libro sia evidente al tatto) e non fermarsi bruscamente dopo poche pagine.
Stranezze, oniricità, insegnamenti si danno continuamente il cambio arrivando a toccare un completo trionfo emotivo. Ci si affeziona ai vari Komura, Miyake (quante verità non dette su un "semplice" fuoco), Yoshiya, Satsuki (quanto può essere controproducente odiare a dismisura qualcuno), Katagiri, Ranocchio (date un premio a codesto personaggio!!) e Junpei senza la minima fatica, senza nemmeno accorgersene, come se fossero protagonisti di storia già conosciute e lette svariate volte.
Inutile raccontare vagamente lo svolgersi degli avvenimenti, se conoscete e apprezzate Murakami anche in questo caso non sarete minimamente delusi.