Turbolenza
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Quanti gradi di separazione?
Ecco uno di quei libri che avevo in biblioteca da un po' di tempo, un libro "influenced by" Tegamini e che ero curiosa di leggere.
Finalmente in questo maggio di riaperture dal lockdown causa Covid-19, sono riuscita ad infilarlo dentro una TBR già bella piena, anche per via delle pochissime pagine di cui è composto.
Certe cose, forse, non devono succedere e basta. Certe cose devono succedere, certe altre no.
Devo dire che non mi ha lasciata con l'amaro in bocca, come spesso mi succede per dei libri che contano così poche pagine (127) e che nella sua "piccolezza" ha una trama ben precisa e delineata così da non risultare con quel retrogusto di "non finito".
Narra le vicende di parecchi protagonisti, uno per ogni capitolo che viene associato ad una tratta aerea ben precisa. Ogni volo, un personaggio diverso. Abbiamo la madre che torna a casa dopo aver visto, forse per l'ultima volta il figlio malato di tumore, un dottore che torna a casa e trova una tragedia ad attenderlo, un pilota di aerei cargo, una giornalista che non potrà fare il suo lavoro, una scrittrice che si reca da sua figlia per il parto, una mamma che torna nel suo paese e dal marito, l'amante rifiutato che và a giocare a golf con il fratello, l'imprenditore che torna a trovare suo padre ma per convenienza, la badante che torna a casa dalla sorella che ha bisogno, il marito che torna ma non vorrebbe farlo, la ricca padrona di casa che torna a casa dove la figlia le dice che sta per sposarsi e che parte a sua volta per andare dal padre malato di tumore.
Personaggi che non finiremo di conoscere bene ma che ci lasceranno, ognuno, un pensiero, uno spunto di vita, un consiglio. Personaggi che hanno in comune un aereo che prendono per andare, tornare o scappare. Personaggi che dal primo all'ultimo hanno in comune qualcosa o qualcuno e che incarnano alla perfezione la regola del "grado di separazione". Perché, già, come avrete capito dall'elenco esatto in ordine di tempo e capitoli qui sopra, tutti i personaggi citati si incontrano tutti, capitolo dopo capitolo, come in una catena a maglie strette.
«Mi vergognavo» continuò lui. «C’è qualcosa di vergognoso nel... morire». Fece una risata. «Di patetico». «Tu non stai morendo». «Tutti stiamo morendo, tesoro».
La scrittura è essenziale, zero fronzoli, zero o quasi sentimenti espressi dall'autore, che lascia a noi il pallino per capire cosa sta succedendo, senza interferire. Vediamo così le cose esattamente come stanno, senza esserne parte, ma con una visione molto più sincera del libro.
La trama che sembra non concatenata da eventi particolari, ha invece una concatenazione che và al di là del grado di separazione e della tratta aerea. Sembra di leggere storie diverse, per tempo e situazioni narrate, in un giro del mondo in 130 pagine che alla fine ci lascerà un senso di straniamento e di riflessione sulla vita stessa. Sui problemi quotidiani, su quelli famigliari e sui sentimenti più nascosti di ognuno dei personaggi e, lasciatemelo dire, di noi stessi.
Non capita spesso, appunto, che un libricino così piccolo abbia dei risvolti così seri e profondi e dò atto a David Szalay di essere riuscito nell'intento di raccogliere sprazzi di vita così diversi tra loro e farne un piccolo, delizioso e amabile vademecum di vita.
PS: grazie a @tegamini che mi ha consigliato di acquistare questo libro, che io consiglio di acquistare a mia volta.
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VORTICOSO
Più che le fugaci e dal contenuto non particolarmente originale, storie dei personaggi, che personalmente non mi hanno entusiasmata, interessante è stata la capacità dell’autore di descrivere molto efficacemente a parole alcuni stati d’animo, consentendo al lettore di comprenderli a pieno, rendendoli palpabili e immediati (“Avvertì la propria inadeguatezza di essere umano, è la cosa che desiderò maggiormente fu andarsene; poi si rese conto che anche quel desiderio era una sconfitta, vergognosa per giunta, tanto che non riusciva più a guardare Annie negli occhi”). Tutti i processi emozionali e psicologici dei personaggi vengono descritti con cura in una sorta di progressione ascendente fino ad arrivare (quasi, non ancora, ma quasi) a un ‘esasperazione pressoché totale, proprio quando il turbine ci porta da un’altra parte con nuove figure e non si ha il tempo entrare in piena sintonia con le emozioni che si stavano facendo strada. Ma d’altronde la turbolenza è proprio questo.
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Vite sospese
«Avvertì la propria inadeguatezza di essere umano, e la cosa che desiderò maggiormente fu andarsene; poi si rese conto che anche quel desiderio era una sconfitta, vergognosa per giunta, tanto che non riusciva quasi più a guardare Annie negli occhi.»
“Turbolenza” di David Szalay è uno di quei libri che, appena finiti, vorresti ricominciare da capo, per cogliere meglio tutto il sotteso e ciò che alla prima lettura si intuisce soltanto.
Il testo è costituito da dodici racconti che hanno per titolo ciascuno una tratta aerea e per protagonista un essere umano con le proprie paure, il proprio dolore, le proprie illusioni, le proprie speranze. Ognuno di questi personaggi viaggia in solitudine sull'aereo e, casualmente o con premeditazione incontra ed entra in contatto, nel racconto che lo riguarda, con il protagonista del racconto successivo. Il libro ha una struttura perfetta, circolare.
Szalay, attraverso la metafora del viaggio aereo vuole indagare le persone nella loro essenza più profonda e, forse, anche più scontata. Il volo è una metafora della vulnerabilità della condizione di esseri umani, una condizione che ci rende indifesi, che alla fine ci fa sentire piccoli e smarriti in questo vastissimo universo. E così cadono le maschere, sono inutili gli alibi, le omissioni e le recriminazioni. La vita scorre fra un taxi in ritardo lanciato verso l'aeroporto e l'incontro di una notte in un'anonima camera d'albergo.
Ogni personaggio è solo e messo di fronte alle proprie fragilità: inutile fingere in quello spazio sospeso a dodicimila metri d'altezza, meglio scrutarsi dentro, comprendere e accettare che ciò che ci rende indifesi e inadeguati, alla fine è anche quello che ci caratterizza come persone. Qualcosa che ci fa sentire a disagio, ma che alla fine è anche la nostra forza.
«C'era la finestrella di vetro smerigliato che diffondeva il verde del giardino, a cui l'appartamento non aveva altro accesso, e la citazione di Kennedy incorniciata sul muro di fianco all'interruttore della luce: “Perché, in ultima analisi, ciò che ci unisce è che abitiamo tutti questo piccolo pianeta, respiriamo tutti la stessa aria, abbiamo tutti a cuore il futuro dei nostri figli. E siamo tutti mortali.” »