Trilogia sporca dell'Avana
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Trilogia sporca dell'Avana, di seguito riportiamo la trama del romanzo e la presentazione dell'editore. Il protagonista, Pedro Juan, attraversa gli anni della storia recente di Cuba, gli anni Novanta, quelli della sua crisi peggiore, che si incrocia e si fonde con la personale crisi dell'autore: il suo licenziamento da giornalista, il fallimento matrimoniale, la solitudine, la caduta rovinosa nella miseria e nella marginalità. Questa prospettiva più ampia illumina in modo nuovo le disavventure picaresche di Pedro Juan, le sue leggendarie gesta erotiche, la sua perenne caccia al rum, alla marijuana, a qualsiasi cosa permetta di sopravvivere e di provare piacere nel contesto della miseria di un paese povero. In una Cuba fatta di carne, suoni e odori, terra d'umanità precaria, è la fisicità dei corpi e il sudore degli amplessi a scandire il tempo di un romanzo in cui le maratone di sesso lasciano ben presto il posto a brucianti riflessioni sulla vita, l'arte e la condizione umana.
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L'ALTRA FACCIA DI CUBA
“L’arte è utile solo se è irriverente, tormentata, carica di angoscia e disperazione. Solo un’arte risentita, indecente, violenta, volgare può mostrarci l’altra faccia della realtà, quella che non vediamo mai o che, per evitare fastidi alla nostra coscienza, preferiamo non vedere. Ecco. Altro che pace e tranquillità. Chi dorme sonni tranquilli è troppo vicino a Dio per essere un artista.”
Il protagonista di questo romanzo autobiografico, strutturato in brevi episodi autosufficienti che – come tasselli di un mosaico - compongono alla fine una sorta di inquietante e sordido ritratto di una città e di una umanità in irreversibile degrado (urbanistico, sociale e morale) e perennemente in lotta per non scomparire (anche letteralmente: vedi i vecchi palazzi del Malecon dalla austera facciata ma le cui pareti minacciano di crollare sotto i colpi del prossimo uragano tropicale), il protagonista – dicevo - è un quarantenne disilluso, spiantato e senza fissa dimora, che vive di espedienti e intanto, tra un’avventura di sesso e l’altra (descritte sempre in maniera cruda e triviale, con profusione di riferimenti ai genitali e ai dettagli più prosaici delle copule), registra, crudamente e senza abbellimenti di sorta, una realtà occultata o travisata dalla propaganda del regime. Propaganda che cerca di far credere al mondo che a Cuba tutto funziona benissimo, mentre invece miseria, disperazione, abitazioni fatiscenti e sovraffollate, mercato nero e fughe verso la Florida a bordo di imbarcazioni improvvisate sono il panorama che quotidianamente si dispiega di fronte agli occhi di questo reporter cinico e individualista, quindi immune da tentazioni moralistiche o di protesta politica. La Cuba di Gutierrez è l’altra faccia della medaglia dell’isola caraibica che vediamo nei depliant delle agenzie di viaggio, meta di innumerevoli vacanze turistiche (anche, purtroppo, a sfondo sessuale: e infatti nel romanzo pullulano le prostitute che sognano di potersi comprare vestiti e profumi con i dollari generosamente elargiti da americani ed europei).
L’interesse della “Trilogia sporca dell’Avana” risiede in questa sua valenza sociologica piuttosto che nella sua iconoclastia o nei suoi valori letterari. E’ vero che Gutierrez è un nichilista che sovverte continuamente le regole ufficiali della società in cui vive, ma – ammettiamolo – Céline era di ben altra (e superiore) statura; ed è altresì vero che “se non succedono cose belle intorno a noi è impossibile produrre testi raffinati“, ma il suo periodare breve, la sua sintassi elementare, la sua prosaica ripetitività alla lunga fanno pensare che forse Gutierrez come scrittore sia stato un po’ sopravvalutato. Resta l’innegabile freschezza e sincerità di un libro che a tratti ha l’effetto scioccante di un pugno nello stomaco ed i cui meriti risiedono principalmente nell’avere portato a conoscenza del grande pubblico occidentale una realtà, quella cubana, del tutto ignorata e misconosciuta prima d’allora. Per fare un paragone con la settima arte, la “Trilogia” può essere accostata a un film del 1993 di Tomas Gutierrez Alea e Juan Carlos Tabio, “Fragola e cioccolato”, il quale per primo aveva osato parlare nella Cuba di Castro di omosessualità e di libertà ideologica (e a questo va ascritto principalmente il merito della vittoria dell’Orso d’Argento al Festival di Berlino di quell’anno), ma che, cinematograficamente parlando, non è nulla più di un’operina originale e dignitosa.
LA VERA CUBA?
Acquistato e letto alla ricerca di Cuba.
Non ho mai desiderato andarci, non la conosco ma vorrei possederne un 'idea più chiara, ora, invece, ne possiedo, nel mio immaginario, una rappresentazione cruda che non sono riuscita ad apprezzare. La vita narrata in quelle pagine non mi è piaciuta, ha prodotto in me un senso nauseabondo di schifo come l'aggettivo del titolo ben richiama. Purtroppo lo sporco narrato ha avuto il predominio sulla mia sensibilità e non riesco a ricordare uno spunto di riflessione valido. Le descrizioni sulle attività sessuali del protagonista potrebbero disgustare come, al contrario, "inebriare" così come tutte le altre vicissitudini narrate...Difficile parlarne conscia del fatto che probabilmente non l'ho capito. Potrebbe essere una buona lettura per chi conosce quella terra, per chi la ama, per chi ne conosce bene la storia, per chi non ha paura della cruda realtà.
Indicazioni utili
Cuba, rum e fame. E sesso
Nel 1996 andai a Cuba. Un po' per caso, un po' per volontà, con amici veri mi avventurai in quel che credevo il miracolo comunista.
Tornai cambiata, trasformata nell'animo e più conscia del valore assoluto della libertà.
Pedro Juan Gutierrez mi ha ricordato l'odore delle notti cubane coi suoi racconti, la miseria esposta e non sofferta come status. I bambini che ti chiedono una caramella o una biro.
La fame. I negozi vuoti.
L'esposizione del corpo come modo di vivere.
Una serie di racconti crudi, violenti, fortemente realisti.
Era Cuba negli anni Novanta.
E' Cuba.