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Tornare a casa Tornare a casa

Tornare a casa

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Quando un bambino nasce in un paesino di provincia dove di bellezza non c'è neanche l'ombra, è figlio di una ragazzina affetta da ritardo mentale e fin da piccolissimo viene messo in piedi su una cassa a spillare birra al bancone di una locanda, il fatto che da adolescente frequenti il liceo è piuttosto sorprendente; se poi diventa un professore universitario e decide di lasciarsi tutto alle spalle, l'evento è più unico che raro, e in paese c'è chi lo vive come un tradimento. Nel momento in cui, alla soglia dei cinquant'anni, l'uomo fugge da una vita accademica insoddisfacente e da un'ambigua convivenza a tre in un appartamento in cui non si diventa mai adulti per tornare a casa e prendersi cura dei nonni - Sönke, l'oste arroccato nella sua locanda semi abbandonata, ed Ella, che la vecchiaia ha reso capricciosa e imprevedibile -, due realtà apparentemente inconciliabili si scontrano, dando vita a una crepa profonda dalla quale tutto torna a galla. Il ritorno a Brinkebüll diventa così un'occasione per riscoprirsi e reinventarsi: ci sono conti da saldare, ruoli da invertire e tante tappe da rivisitare prima di muovere il primo passo verso il cambiamento. Il contrasto fra due mondi, il nostro passato e il nostro presente, le famiglie da cui proveniamo e quelle che ci siamo scelti, è la sostanza da cui germoglia questo romanzo, che racconta l'evoluzione di un paesino e i destini individuali dei suoi abitanti con dolcezza, ironia sottile e una vena di malinconia.



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Tornare a casa 2020-07-24 17:35:24 68
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68 Opinione inserita da 68    24 Luglio, 2020
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Passato e presente, quale destino?

Un percorso della memoria in un presente mutato nella propria essenza, un paese al nord della Germania, Brinkebull, in cui sopravvive ancora il basso tedesco, un’ antica terra morenica sottomessa ai cambiamenti del tempo che non ha bisogno di nessuno e ignora l’ inezia umana.
Qui fa ritorno Ingwer Feddersenn, un professore universitario che da molti anni ha abbandonato la terra natia, quindici ettari di terreno e una locanda, per disseppellire pietre e cocci rotti.
Se c’è una cosa che egli sa fare e’ attendere, starsene tranquillo nello stesso posto più a lungo della maggior parte della gente, ma le cose per lui sono andate gradualmente alla deriva e oggi non gli resta che prendersi un anno sabbatico e tornare a Brinkebull ricercando se stesso negli altri, prendendosi cura di coloro che da sempre hanno rappresentato la sua famiglia, Ella e Sonke, due novantenni al tramonto.
Entrambi vittime delle amnesie di una malattia degenerativa e del logorio inarrestabile degli anni, il presente riconsegna, ribaltata da necessità e desiderio, una dimensione che sin dal l’origine ha vissuto una relazione padre-madre-figlio.
Ma cosa determina e prevede questo ritorno? Un tempo fugace, forse un anno, e Ingwer, eterno studente, per una volta si concederà a semplici gesti, pulire, cucinare e stare al bancone, passeggiare per il paese con Ella, lavare Sonke finché avrà vita, saldare un debito con il passato.
Lo attende una comunità ristretta che fatica a riconoscere il diverso, che abbraccia eternamente i propri simili e presenta i volti mutati di singole storie, chi si è fermato per sempre e chi è partito alla ricerca di qualcosa che legittimasse le proprie speranze.
Il passato è un bambino abbandonato dalla devianza di una giovane madre inadatta ( Marrett ), a sua volta bambina, un po’ svitata ma non completamente pazza, che vede e prevede continuamente la fine del mondo, una persona molto sola dietro una parete di vetro, una reclusa che non ha commesso alcun crimine.
Oggi Ingwer e’ un uomo sempre presente e mai del tutto partecipe, che si è costruito una vita altrove, che si domanda quale sia il suo problema, la convivenza da venticinque anni con due inquilini scomodi, il figlio di un giudice e la figlia di un diplomatico, ancora oggi un muro invisibile a separarli, o semplicemente se stesso, il dottor Feddersenn, apparentemente semplice e disponibile ma che nasconde altre identita’, di scienziato e docente universitario?
Quale cammino ad attenderlo, il campo accademico o la locanda che avrebbe ereditato, i quindici ettari di terreno, la casa e la fattoria? Perché ha rinunciato a moglie e figli e a tutto quello che Sonke Feddersen voleva dargli per costruirsi una vita in solitudine e rendersi conto, tardivamente, di quanto essa sia sgangherata?
Il potere della memoria, parte della propria essenza, esperienze tuttora vivide vissute e riproposte, un destino in parte desiderato o solo accettato assecondando un desiderio di fuga per coltivare un talento auspicato e sospinto da un insegnante carismatico, la voglia di fermarsi, approfondire, capire, o solo la necessità di restituire il dovuto, un debito non quantificabile, un senso di colpa latente, un gesto di pietas che riabiliti la propria coscienza.
Un romanzo di sicuro interesse, che sovrappone origini e desideri, storia e memoria, cercando di ricostruire i cocci di una vita fiaccata nella sua stessa essenza, oggi flebile, stremata, spenta, riattivandola e riabilitandola .
Una commedia intelligente di una autrice che sa muoversi con le parole, un inno ai legami con le origini e a un mondo che va scomparendo, deviando una strada intrapresa da tempo e inserendo i personaggi, atemporali, in un contesto bucolico totalmente indifferente.
In sostanza un bel libro, consigliato, a dimostrazione di come una buona idea suffragata da un certo talento possano condurre lontano.


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Tornare a casa 2020-07-02 10:31:37 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    02 Luglio, 2020
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Quel luogo chiamato casa.

«Inseguo le nuvole bianche e comincio a sognare. A volte invece arriva la sfortuna, ma quella era un’altra canzone: a diciassette anni si sogna, poi arriva un bambino e allora si diventa pazzi. O forse si era pazzi già da prima e il bambino era venuto dopo, nel caso di Marret l’ordine non era chiaro.»

Ella ha diciassette anni quando resta incinta di quell’uomo il cui nome non verrà rivelato, un uomo certamente non del villaggio ma che ne ha segnato il destino in modo ancor più determinante essendo lei, affetta da un ritardo mentale, atto a determinarne le sorti. Quel che viene a crearsi è tale da far sì che rifiuti anche di sposarsi con Hauke Godbersen, contadino del luogo, che avrebbe accettato di prenderla con sé anche con quel figlio non suo. Ma quale futuro può essere riservato a un bambino che nasce in una località isolata, rurale e con una famiglia borderline? A dispetto di tutte le previsioni egli studia, diventa uno studente sorprendente e poi un docente universitario. Un professore di fatto insoddisfatto della propria vita, di quella carriera accademica che lo ha allontanato dalla propria origine e che si somma a quel legame vincolante con i coinquilini; Ragnhild e Claudius. Come resistere al richiamo di tornare a casa, di tornare alle proprie origini, di sottrarsi a quel che si è diventati per capire in primo luogo chi eravamo?
Il ritorno a Brinkebüll, paesino della Germania settentrionale, è l’occasione tanto attesa. Per riscoprirsi ma anche per capirsi forse per al prima volta davvero. Un unico filo conduttore tra presente e passato, un legame indissolubile dettato da quel sangue che non ci siamo scelti e da altrettanti che al contrario sono il frutto delle nostre scelte e delle nostre decisioni.

«Brinkebüll era pieno di segni, ma all’infuori di Marret non li vedeva nessuno.»

Ed è anche questo “Tornare a casa”. La storia di un uomo che giunto alla soglia dei cinquant’anni decide di tornare a casa per ritrovare se stesso, ma è anche altro. Perché Ingwer Feddersen, che è nato tra le vie di un paesino di montagna anonimo e gretto, che è segnato dal marchio di esser il figlio di una matta, che si distanzia da quell’amore che lo lega ai due coinquilini e che sembra imprigionarlo tra le sue maglie, è un personaggio di gran spessore e dalla costruzione articolata. Quel legame che oscilla tra lo ieri, l’oggi e il domani rappresenta quelle tre anime alla deriva che rifuggono da un inevitabile epilogo. È una sopravvivenza, la loro, la volontà di non lasciarsi andare a una dimensione che sembra volerli schiacciare.
Pagina dopo pagina l’autrice sembra sussurrarla, la storia. La prosa è caratterizzata dalla vividezza dei personaggi, dall’intensità della vicenda e dalla gran caratterizzazione dei luoghi. Il viaggio ha inizio e ci conduce per mano in quello che è un titolo che al suo interno racchiude tanta umanità, nel suo bene e nel suo male. Evocativo, onirico, delicato.

«Da quelle parti un essere umano non aveva tanta voce in capitolo. Poteva accostare sulla destra, scendere dall’auto, urlare contro il vento e inveire a squarciagola sotto la pioggia, era inutile.»

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