Tomas Nevinson
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Recensione della Redazione QLibri
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Solo il primo passo costa
Ritorna Tomàs Nevinson, uno dei personaggi più tormentati di Marias, che avevamo già conosciuto come marito di Berta Isla e che ci era apparso drammaticamente prigioniero della sua solitudine, alla ricerca costante di quella identità che aveva smarrito nel momento in cui era entrato a fare parte dei servizi segreti.
Dopo un breve periodo di inattività, riallacciato un tenue rapporto con la moglie tanto a lungo trascurata, Tomàs riprende, riluttante la sua attività con il compito di individuare tra tre donne segnalategli, la responsabile di feroci attentati dell’Ira e dell’Eta. Tutto il romanzo, dunque, si articola sulle più appropriate e profonde riflessioni sulla funzione e l’utilità dell’azione degli agenti segreti, senza trascurare considerazioni di carattere etico. È inevitabile che chi si dedichi a questa attività viva in un perenne stato di guerra, in un tempo di pace apparente, nel timore di essere scoperto. Se le azioni da compiere appaiono inizialmente feroci e spietate, con l’andare del tempo l’assuefazione semplifica le cose. “Solo il primo passo costa”, è una frase ricorrente nel romanzo, frase che evoca l’immagine dei primi passi del neonato. L’agente, dunque, vive in uno stato di perenne insicurezza, proprio perché si trova a dover affrontare spietati assassini che non esitano spesso a compiere stragi di massa.
Non di rado è necessario mettere da parte ogni scrupolo morale, non farsi domande. Ed è questa la parte più interessante del romanzo di Marias, che ha creato un personaggio, Tomàs, appunto, che si pone il problema di quanto sia lecito oltrepassare se non addirittura ignorare i limiti della morale sia pure spinti dal convincimento di agire per il bene della comunità. È morale accettare l’idea del tradimento, è morale insinuarsi nella vita degli altri, violarne la privacy, uccidere freddamente laddove si ritenga che sia necessario? Se è vero che di fronte al terrorismo non si può rimanere impassibili, perché non si possono ignorare vittime innocenti, qual è il limite che si deve rispettare? Quesiti a cui lo stesso Marias non dà una risposta definitiva e Nevinson, l’uomo senza certezze, che si era già rassegnato a vivere senza speranze, è l’espressione più significativa del dilemma che affligge chi opera conservando vivi nella propria coscienza la differenza e il limite tra il bene e il male.
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Colpevolezza e non colpevolezza dell'essere umano
«Ho avuto un’educazione all’antica, e non avrei mai creduto che un giorno mi si potesse ordinare di uccidere una donna. Le donne non si toccano nemmeno con un fiore, non si arreca loro danno fisico e quello verbale va evitato il più possibile, sebbene loro non ricambino quest’ultima attenzione.»
Chi già ha letto di Javier Marìas, o che già conosce le sue opere, sa di trovarsi davanti a un grande scrittore. Berta Isla è solo uno dei tanti scritti che lo caratterizzano e definiscono. Con “Tomàs Nevinson” (Einaudi, 2022), egli realizza una sorta di sequel di Berta Isla, uno scritto in cui il focus si focalizza in particolar modo sul terrorismo basco, l’Ira e l’ETA. Il fulcro è dunque incentrato e concentrato su quelli che sono stati gli anni bui che hanno coinvolto i paesi della Spagna, Irlanda del Nord e dell’Ulster.
I fatti sono narrati in prima persona, descritti da un protagonista che con chiaro incedere accompagna il lettore pagina dopo pagina per l’intero scritto.
Da qui l’agente segreto Tomas Nevinson, bilingue e dalla doppia personalità, madrileno per nascita ma inglese per formazione e segreta professione, torna a Madrid. È qui che vede la moglie Berta e i due figli Guillermo ed Elisa. Incontri saltuari e occasionali che alterna con il lavoro all’ambasciata. È l’Epifania del 1997 quando sopraggiunge una telefonata in cui il suo ex capo, Tupra, lo richiama al servizio. Per un favore personale dovrà raggiungere il Nord Ovest e con l’identità di Miguel Centurion, insegnante d’inglese, dovrà osservare e conoscere tre donne, una delle quali è una agente dormiente del terrorismo, una donna colpevole di crimini atroci che lui dovrà uccidere dopo averla identificata.
Si tratta soltanto di sei mesi e poi potrà tornare alla sua vita normale, alla sua quotidianità. Tuttavia i dubbi non mancano di prendere il sopravvento. Stabilitosi a Ruan, città così chiamata nell’opera, conosce Celia, Maria e Inès. L’unica single è Inès e con questa intraprende una relazione sentimentale. Sono tutte molto diverse tra loro.
Ad arricchire la narrazione i molteplici riferimenti letterari e le riflessioni filosofiche sottese. Cosa farà Tomas? Una volta scoperta l’identità della terrorista, porterà a termine la sua missione? Oppure la lascerà vivere? Chi è lui per uccidere? Sarà capace di colpire a morte una donna benché colpevole? Chi ha avuto l’occasione di uccidere Hitler, si chiede ancora, e non lo ha fatto, a sua volta è colpevole? Come il principio si applica per l’una si applica anche per l’altro.
Tanti gli interrogativi che accompagnano queste pagine e che portano il lettore a interrogarsi e riflettere su tematiche profonde che acquistano forza e autorevolezza. Ed è da qui che emergono le emozioni di uno scritto intenso e tormentato, di un testo diverso dal precedente “Berta Isla” ma che dal suo canto ha una capacità evocativa e narrativa forte e pungente.
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Gli interrogativi di Marias sulla natura umana
Marias, nei ringraziamenti finali precisa che questo libro non è precisamente un seguito bensì forma "una coppia" con il precedente "Berta Isla". Una coppia nel vero senso della parola perché Tomas Nevinson è il marito di Berta e l'indiscusso protagonista di questo episodio, narrato direttamente in prima persona. Il romanzo si colloca nel solco del filone della spy story già al centro dell’altro libro: Tom viene infatti “riabilitato” al servizio, al ritorno in missione dopo un letargo durato alcuni anni, e gli viene affidato il compito di scegliere la donna giusta da eliminare con un passato da terrorista nelle file dell’Ira e dell’Eta, individuata in una triade di potenziali sospette.
Il romanzo si snoda lungo questo crinale, sui continui interrogativi morali ed etici che si pone il protagonista, fino a chiedersi fin dove può spingersi un uomo per salvaguardare un bene superiore come la vita e la sicurezza di una comunità, quanto sia giustificabile porsi come giudici (e come boia) delle vite altrui.
“Uccidere non è un atto così estremo o difficile o ingiusto se si sa chi si sta uccidendo, quali delitti ha commesso o si prepara a commettere, quanto male si risparmierà facendolo, quante vite innocenti saranno preservate al prezzo di un solo sparo”.
Il fascino del racconto ruota attorno a questa riflessione, alla necessità di trovare quel coraggio che possa giustificare un omicidio in assenza di prove certe ma tutelati dal fatto che i servizi segreti non dimenticano ed un ragionevole sospetto rappresenta una legittimazione ad agire per fare giustizia del passato e prevenire il futuro perché “nulla se ne va mai del tutto, e quello che sembrava essersene andato prima o poi ritorna, anche trenta o cinquant’anni dopo…...Quindi bisogna pensarci, ricordarsi che tutto il male ritorna”.
Attraverso Tom Marias riflette sulla natura umana, sul fatto che gli individui seppur consapevoli dei propri errori non riescono a rifiutare la loro natura, a rinunciare completamente a quanto hanno sperimentato, al piacere della vanità, di sentirsi importanti e che “una volta che si è cominciato, una volta che si è fatto il primo passo e si esce dalla retta via, non si può fare altro che percorrere la via sbagliata e sbagliare ancora”.
Lo stile di Marias è inconfondibile e rappresenta indubbiamente il marchio di fabbrica della sua opera: lentezza, ripetizioni, citazioni colte da Shakespeare a Eliot. Per questo non a tutti può piacere questo libro che ha comunque il pregio di non farci dimenticare il male compiuto dalle azioni terroristiche dell’Ira e dell’Eta fin quasi a inizio del nuovo secolo. Riflessioni che ben calzano tra l’altro con i tempi bui che stiamo vivendo, con l’attualità dei nostri giorni dell’invasione russa dell’ucraina.