Toby
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Russell Potter (1960) insegna Letteratura, Comunicazione e Storia delle Esplorazioni Artiche. Nel 2007 ha pubblicato il volume Arctic Spectacles: The Frozen North in Visual Culture, 1818-1875. Per Einaudi Stile Libero ha pubblicato Toby (2013). Vive a Providence, nel Rhode Island.
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Narrazioni zoomorfe
Mi affascinano. Perché gli animali ben si prestano a rappresentare pregi e vizi, a interpretare vicende umane e a personificare tipologie antropiche.
Così avviene nella mitologia prima ancora che nella favolistica di Esopo e Fedro. Così avviene nella narrativa fiabesca di Andersen (la sirenetta, il brutto anatroccolo), di Perrault (il lupo di Cappuccetto, il gatto con gli stivali) e dei fratelli Grimm (i musicanti di Brema, il lupo e i sette capretti, i tre porcellini) e nel cinema di Disney (Bambi). Così succede nella satira di Lafontaine o nella “Fattoria degli animali” di George Orwell.
Lo stesso miracolo tuttavia non avviene in “Toby” di Russel Potter, una storia che l’autore immagina affidata a un curatore: “l’unica e sola autobiografia di una creatura non appartenente al genere umano”.
Toby è un maialino portentoso. “Io venni al mondo nel 1781 o pressappoco… in un podere presso Salford, non lontano dalla vasta città di Manchester”. Il suo padrone, Mr Lloyd, è “un uomo moderato in tutto… In una sola cosa, ahimè, non era affatto moderato: nel trattare le bestie”. Dopo aver vinto un concorso per le caratteristiche che lo rendono appetibile sul piano culinario, il porcellino evita il suo destino di morte grazie all’intervento del figlio di Lloyd: Sam. Con lui fugge e viene accolto da Mr Bisset, un ammaestratore di animali che – dopo aver intuito che Toby è molto intelligente – lo avvia allo spettacolo, facendo di lui un fenomeno e un’attrazione circense. Ma le abilità di Toby sono molto raffinate (“La vita da teatrante cominciava già a a stancarmi”) e così anche il suo spirito critico (“Avevo già veduto in più di uno spettacolo degli animali abbigliati da pagliacci e l’avevo sempre giudicato degradante”). Inoltre il rapporto con Mr Bisset s’incrina (“Non tollererò una seconda volta di essere messo in ombra da te!”).
Il circo viaggia da Liverpool a Dublino e poi verso Oxford, ancora con Sam che sostituisce Mr Bisset nel ruolo di accompagnatore. Dopo un passaggio nel luogo natio (“Eccomi dunque a ripercorrere la stessa strada per la quale Mr Lloyd mi aveva condotto al mercato”), Sam e Toby si dirigono verso la Scozia, affrontano un maiale emulo in una singolar tenzone, passano per Glasgow e finiscono a Edimburgo ove Toby matura il proprio exit dallo spettacolo per dedicarsi a meriti accademici (“conferendoti … cum laude il titolo di baccelliere delle Arti”) e alla cultura con tanto di citazioni latine (“Tempus fugit, non autem memoria”).
La storia mi è sembrata molto narcisistica, con riferimenti metaforici generici (“Ero stato più di una volta testimone della crudeltà umana, la quale sceglie per vittime tanto i propri simili, quanto gli animali inermi”), piuttosto ovvi (“Il maiale non vuole farsi uomo, ma l’uomo, ahimé, tende spesso al maiale”) e non particolarmente originali (“Conoscere i limiti del proprio sapere è una forma assai rara di conoscenza, tanto tra gli umani quanto tra i suini”). A parer mio, il retro pensiero oltre l’allegoria zoomorfa ha solo qualche spunto interessante (“Studi letterari e filosofici: grazie a questi ultimi potei scoprire che molti dei bislacchi meccanismi che governano l’uomo servono in realtà… non tanto a renderne ragionevole l’agire, quanto piuttosto a farlo sembrare tale”), che non riscatta la noia diffusa aleggiante sulla lettura.
Bruno Elpis