Narrativa straniera Romanzi Timidezza e dignità
 

Timidezza e dignità Timidezza e dignità

Timidezza e dignità

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Mattina d'autunno, doppia ora di letteratura norvegese di fronte a una classe di ostili maturandi: è l'inizio della grottesca crisi di nervi del professor Elias Rukla che, dopo venticinque anni di onorato servizio, mette la parola fine alla sua carriera. E comincia a ripercorrere gli eventi fondamentali della sua vita, dagli anni ribelli e libertari da studente fino a rinchiudersi con il lavoro e il matrimonio in una gabbia mentale che rende impossibile ogni svolta.



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Timidezza e dignità 2024-09-13 14:51:54 68
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68 Opinione inserita da 68    13 Settembre, 2024
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Vuoto onnipresente

Un uomo solo confrontato con la propria solitudine, esiziale, cruda, molesta, una vita dedita all’ insegnamento svuotata di senso, consumata e dissolta in una certezza definitiva.
È in quel preciso istante, mentre sta analizzando meticolosamente un dramma di Erik Ibsen, di fronte all’ intollerabile indifferenza, alla noia e alla noncuranza di allievi che si sentono offesi dal suo insegnamento, che il professor Elias Rukla precipita in un senso insensato che lo rende impaurito, scosso, fallito e lo porta a perdere il controllo irrimediabilmente, per analizzare in terza persona la vita di un uomo qualunque, inconcludente, senza aspettative e desideri, una vita anche fortunata grazie al matrimonio con una donna bellissima ( Eva Linde ) che lo ha tollerato per anni e che non crede di meritare.
Una certezza si manifesta, la fine della propria carriera scolastica ( dopo 25 anni di insegnamento), del matrimonio, di tutto, come trascorrere i 15 anni che lo separano dal pensionamento?
La memoria lo riporta al passato, le amicizie d’ infanzia, il se’ studente, feste, studi, discussioni, una vita scolastica proficua e frenetica, il legame con l’affabulante Johan Corneliussen, studente di filosofia, un triangolo amoroso inconsapevole, l’ amore innegabile per Eva, che ascolta avvolta nel morbido involucro del sonno, che da subito lo ha lasciato fare, donna, madre, amica, figlia, moglie.
Si era trasferita da lui per restarci, accettando di sposarlo, Elias non sa il perché, lei non gli ha mai detto d’ amarlo, oggi è semplicemente Eva Linde, una donna bellissima un po’ appesantita dagli anni. Nel presente (1989 ) ogni certezza svanisce, si sente un uomo qualunque, senza qualità, un semplice professore che non si è distinto per niente.
Continua il soliloquio esistenziale di chi non ha più niente da dire e da insegnare, nessuno è interessato ad ascoltarlo, privo di desideri, immerso in una nuova epoca, svuotata di senso, la decadenza imperversa in un presente sedato e allucinogeno in cui esprimersi solo come schiavi indebitati trovando in tal senso la propria valorizzazione sociale.
Forse è lui stesso a parlare di niente, la gente si è allontanata, è isolata, un’ insostenibile leggerezza dell’ essere che travalica l’ esistenza per farsi elemento sociale e bloccante.

…” E ora che la figlia di Eva Linde, Camilla, ha lasciato l’ appartamento, sono rimasti solo loro due, un professore un po’ alcolizzato e sua moglie, una ex bellezza ”…

Il soliloquio incalzante di un uomo giunto prematuramente alla resa dei conti, che si interpella su un sistema sociale equivoco e aberrante da cui si sente escluso, che in parte si accusa e si scusa di essere al mondo, lascia intendere un completo e complesso stato involutivo, vittima e carnefice di una situazione siffatta.
Il pessimismo intimista e trascendente sfocia nella bruta oggettività del contingente, Dag Solstad e la propria poetica, un linguaggio essenziale, scarno, ripetitivo, eccessivamente monocorde, pacatamente ossessivo, a volte inconcludente, una descrizione e dissertazione che esprime dissociazione psico-emotiva, ansia, perdita d’ identità, un’ eco inesplorata, inascoltata, onnipresente nel paludoso vuoto dell’ esistenza.

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Timidezza e dignità 2015-06-11 19:41:42 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    11 Giugno, 2015
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Gelo norvegese

Questo libro non l'ho capito. L'autore ricorda un po' Lars Gustafsson. Ti mette su una specie di situazione che promette degli sviluppi interessanti: due amici filosofi, anzi uno filosofo e l'altro (il protagonista) laureato in lettere, una donna di bellezza inimmaginabile che si sposa con il primo ma da cui è vagamente attratto anche il secondo. Bene, un triangolo. Bene Barth, una mezza opera galleggiante. Succederà qualcosa, almeno interiormente a qualcuno dei tre, perlomeno al protagonista. Invece no. Gelo. Ognuno se ne frega degli altri due. A un certo punto l'amico sparisce, mollando moglie e figlia alle cure dell'amico e non telefona più a nessuno. Gelosia? Magari! Tra i due rimasti scoppierà una passione o una repulsione travolgenti? Nemmeno per sogno. Menefreghismo totale. E che rapporto stabilirà il protagonista con la bellissima donna a parte conviverci? Nessuno, naturalmente. Non ne conosce i pensieri, niente. Riflette per troppe pagine su quanto la inestimabile bellezza della donna si sia persa con gli anni. L'unica cosa che era riuscito a notare in lei. E non capisce nulla di quello che passa per il suo cervello.
Il romanzo si apre con il narratore, Elias Rukla, che spiega agli alunni l'anatra selvatica di Ibsen nel suo modo pedante anche se interessante, stendendo buona parte dell'uditorio. Confesso di avere fatto la fine degli alunni zotici alla fine della lettura del romanzo. Anche se l'approccio alla scrittura assomiglia a quello di Lars Gustafsson, sinceramente preferisco quest'ultimo perchè è meno pedante e più originale. Anche se finge di mettere su una trama e poi non ti racconta nulla nemmeno lui, almeno le sue riflessioni contengono intuizioni interessanti, guizzi. Solstad riflette molto su questioni di cui non riesco a capire l'interesse e la profondità. Ma il libro è ben scritto e molto probabilmente sono io che non riesco ad apprezzarlo.

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Lars Gustafsson
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