Svegliare i leoni
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Un romanzo ambientato in un Israele inconsueto
Leggendo questo romanzo si è subito catapultati dentro una storia potente, scritta benissimo da una voce femminile contemporanea della sempre fertile letteratura israeliana.
Ci si perde nel deserto del Negev senza però mai perdere l'attenzione né la bussola tra le pagine. Ci si perde tra le menzogne che parlano in ogni riga, paragrafo dopo paragrafo, pagina dopo pagina, diventando sempre più efficienti.
E quando si entra in una casa, il sole disegna sulle pareti macchie stupende.
E quando un pescatore entra in quella cosa enorme che è il mare, si duole perché non può essere accompagnato da due fessurine: gli occhi di chi lo ama.
Ci si innamora di Sirkit, la 'straniera' che incanta con la luce dei suoi occhi e che farebbe annegare la mano dell'uomo bianco nel velluto della propria pelle.
"Stava giusto pensando di non aver mai visto una luna più bella, quando ha investito l’uomo. Per un momento, dopo il tonfo, ha pensato ancora alla luna ma poi ha smesso di colpo, come una candela spenta da un soffio."
Chi guida la jeep è Eitan Green, marito, padre e medico israeliano; l’uomo che ha investito è un migrante africano.
Non siamo in una delle ‘classiche’ città israeliane che la narrativa del secondo dopoguerra ci ha permesso di conoscere attraverso pagine e pagine di grande letteratura. Non siamo a Gerusalemme, né a Haifa, né a Tel Aviv: siamo a Beer Sheva, nel sud di Israele, in una città di 200mila abitanti, ricca di accampamenti beduini, di kibbutz sempre più in via di abbandono, di tanti africani (soprattutto dal Corno d’Africa) e tante famiglie israeliane operaie. Siamo al confine della geografia e siamo anche in una zona liminale della coscienza.
"Eitan, senza accorgersi che per la prima volta Sirkit non gli rivolgeva solo monosillabi, ha guardato incantato la luce nei suoi occhi. Sirkit era raggiante."
Eitan, da medico, è costretto clandestinamente a curare l’uomo investito e frequenta ogni giorno, in cambio del silenzio, Sirkit, donna molto prossima al ferito. La storia si incammina verso il ricatto e quindi le menzogne iniziano a parlare, sempre più frequentemente, in modo sempre più stringente, diventando sempre più efficienti. La paura e la meschinità diventano quindi le uniche testimoni della trama, a partire da quel fatidico incidente in una notte sotto una luna mai vista prima così bella.
"Improvvisamente, questa storia gli è piombata addosso da chissà dove. Tutte le conoscenze restano valide, tranne la conoscenza di se stesso. Una notte ha investito un uomo sul ciglio della strada e incontra un’eritrea sulla porta di casa. Perché scappando s’incontra quello da cui si scappa."
Lui, Eitan, proviene da un mondo in cui il sole gli illuminava ogni giorno l’esistenza. Lei, Sirkit, viene invece da un paese in cui il sole sorge sempre sporco di sabbia.
Che romanzo è “Svegliare i leoni”? E’ un corpo a corpo con storie intime e personali che sanno diventare universali, storie spietate, letteratura che riscopre anche il suo ruolo etico e critico, una trama che ci conduce, come succede a Eitan, in ruoli interiori inimmaginabili, è una storia sulle fragilità e sui principi morali e sulle responsabilità. È un romanzo anche sui desideri proibiti e sulla vergogna, srotolate anche con una tela di bugie.
Siamo nel deserto vero, nel triste deserto della coscienza, siamo nel retro di Israele, in una città che letterariamente sembra essere una porta di servizio.
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Una immagine diversa di Israele
Il primo suggerimento che mi viene in mente è: se iniziate questo libro fatelo avendo tempo a disposizione perché una volta cominciato sarà difficile interromperne la lettura. La Gundar-Goshen si inserisce a pieno titolo tra i nuovi talentuosi scrittori israeliani (Nevo, Keret, Baram…) eredi della vasta tradizione che fa capo ai grandi Agnon, Grossman, Oz, Yehoshua. SVEGLIARE I LEONI è il suo secondo romanzo e nel rapporto che si instaura tra i diversi (pochi) protagonisti principali emerge pienamente il suo retaggio culturale; l’autrice, infatti, è laureata in psicologia clinica all’Università di Tel Aviv. Non a caso il libro vive più di “pensieri” che attraversano la mente dei singoli attori che non di dialoghi realmente espressi in un rapporto dialettico tra gli stessi. Il dott. Eitan Green, brillante quarantenne neurochirurgo, vorrebbe denunciare il professor Zakai – suo maestro e nume tutelare – dopo aver scoperto che costui è incline a prendere “bustarelle”. Anche su consiglio della moglie Liat – ispettore di polizia e splendida donna – Eitan preferisce lasciare l’Università di Tel Aviv ed esiliarsi all’ospedale di Beer Sheva. Nonostante la delusione, la frustrazione di vivere in una “polverosa” ed arida città del sud di Israele la vita del dott. Green va avanti grazie all’amore per la famiglia (con Liat hanno 2 figli) e con la totale dedizione al lavoro. Ma, primo colpo di scena, una sera, durante il rientro a casa dopo una intensa giornata di lavoro Eitan, correndo a forte velocità con la jeep regalatagli da Liat, investe e uccide un eritreo, Assum. Preso dal panico fugge senza prestare soccorso anche perché, da medico, ritiene che non ci siano più speranze di salvare l’eritreo investito (vero? Una scusa raccontata a sé stesso?). Nonostante i sensi di colpa l’incidente potrebbe anche essere “dimenticato” se non ci fosse il secondo colpo di scena: la mattina seguente una bellissima donna eritrea – Sirkit – bussa alla sua porta restituendogli il portafoglio che ad Eitan era caduto sul luogo dell’incidente. Sirkit, che poi si rivela essere la moglie di Assum, prende a ricattare Eitan ma, contrariamente a quanto si può immaginare, non chiedendogli soldi ma imponendogli di curare la sua gente quasi sempre clandestini entrati illegalmente in Israele. La vita di Eitan viene completamente stravolta: inspiegabili assenze dall’ospedale, furti di medicinali dallo stesso ospedale necessari per curare gli eritrei che Sirkit, di volta in volta, gli porta; le menzogne sempre più improbabili che deve inventare per la moglie e per i figli per giustificare le lunghe assenze, anche notturne, da casa. Ma Sirkit è una donna bella e coraggiosa dotata di grande dignità e fierezza e questo, con il passare del tempo trascorso insieme, comincia nebulosamente a farsi strada nella percezione di Eitan. Il rapporto tra i due inizia a trasformarsi da ricattatrice a ricattato in un rapporto ambiguo in cui, lentamente, si fa strada una sorta di stima reciproca (Sirkit impara “guardando” tanto che Green le lascia finire una sutura ad un paziente), di attrazione inconfessata all’altro/a ma anche negata a sé stessi. Nel frattempo Liat sta indagando sull’incidente che ha causato la morte di Assum inconsapevole che il conducente dell’auto sia suo marito. Naturalmente la menzogna non può reggere al trascorrere del tempo anche perché la Ayelet ci fa conoscere, tramite la frequentazione forzata di Eitan con questa comunità eritrea, una realtà inimmaginabile per Israele: campi profughi, clandestinità, spaccio di droga. La situazione si ingarbuglia sempre più fino a che, in un crescendo parossistico e con continui colpi di scena, Sirkit non commette un delitto per salvare lo stesso Eitan (evito di dire di più per ovvi motivi) e, da quel momento in poi, per stessa ammissione di SIrkit, sono pari: sia Eitan che Sirkit hanno ucciso un uomo e quindi Eitan può riprendere la sua vita. Ma sarà la stessa di prima? La bellezza del romanzo della Gundar-Goshen sta, a mio avviso, come dicevo all’inizio, nei “non dialoghi”, nei desideri, nei sogni, nelle paure, nelle angosce che ognuno dei protagonisti vive senza riuscire veramente ad esprimerli, a confessarli all’altro. Il finale forse un po’ affrettato e tutto sommato “a lieto fine” non inficia la valenza di un bel romanzo.
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Lo sconosciuto in casa
Un investimento involontario provoca un danno irreparabile. Un uomo, Eitan, invece di affrontarne le conseguenze, scappa. E da questa fuga deriva una serie concatenata di eventi, dentro cui il protagonista si incaglia sempre di più. Storia interessante, soprattutto per tutti i suoi risvolti introspettivi. A tratti forse un po’ troppo lenta nel racconto, ma se ci si muove in una mente ingarbugliata, questa lentezza ha il suo senso. Eitan, dottore stimato, diventa prigioniero di se stesso, delle sue bugie, del suo silenzio, ogni giorno più presente ed ingordo. Tanto più che sua moglie, poliziotta, è la figura incaricata delle indagini e tanto più che la moglie dell’uomo investito diventa una figura dalla presenza impregnante, che scatena altre bugie. E’ un libro da cui scaturisce tutta la sensualità che alcune menti che si incontrano sono capaci di far scoppiare. E’ un libro da cui comprendi tutta la purezza della verità, tutto il dolore del senso di colpa, tutta la confusione che deriva dall’avvilupparsi dei pensieri intimi.