Sunset Park
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Logoro incedere di solitudini senza speranza
…” pensa agli edifici mancanti e alle mani mancanti e si chiede se valga la pena sperare in un futuro quando non c’è futuro e d’ora in poi, si dice, non spererà più in niente vivrà solo per questo, questo momento, questo momento che passa, l’adesso che è qui, l’ adesso che se ne è andato per sempre”…
Una solitudine inquieta attraversa i giorni di Miles Harris e degli altri protagonisti, spezzoni di storie incastrate in una dimora fatiscente abusivamente occupata e condivisa a Sunset Park, in una metropoli, New York, terra di passaggio, di assenze prolungate e di presenze invisibili, un luogo non luogo dove svelarsi e rincorrere un passato lacerato in attesa di una resa dei conti.
Il giovane Miles, fuggito dai resti della propria famiglia, sovrastato e annullato dal senso di colpa dopo la morte del fratellastro Bobby e da una solitudine autoimposta, vive il presente, confinato nel qui e nell’ ora, regolato da autocontrollo e disciplina, senza desideri e speranze, convivendo con il proprio destino.
Smussati tutti i desideri non gli resta che leggere,
…” L’ unica malattia da cui non vuole essere curato”…
Lavora intrattenendosi e fotografando le torride case di nessuno, abbandonate e deserte, controlla freddamente le proprie emozioni, è innamorato di Pilar e del suo giovane corpo accogliente, una ragazza carina, ambiziosa, colta, che lo fa sentire a casa.
Svuotato di tutto, in cerca di niente, fuggito dal passato, una vita in pausa, Pilar è la risposta che ha aspettato da sempre, il nuovo senso famigliare perduto.
Miles non si racconta, in passato è stato invidiato, imitato, amato, immerso nel proprio silenzio, intelligente, bello, ricercato dalle donne, non parla del limbo che lo riguarda, delle sue due famiglie, del proprio senso di colpa, del fratellastro Bobby, così diverso da lui, due conviventi che non si sono mai incontrati, il ragazzaccio e l’ imbranato.
Ci sarà un luogo, Sunset Park, inizio e fine di un’ altra storia, che apparentemente non riguarda il passato, dove condividere porzioni di altre vite, sole, abbandonate, distorte, un’ umanità variegata sotto un tetto occupato abusivamente.
Bing, Alice, Eileen, Miles, quattro inquilini nelle difficoltà del presente, una precarietà che è lotta per la sopravvivenza, sogni disattesi o troppo grandi, un passato di errori, inciampi, illusioni, ospiti di una fragilità evidente.
Storie individuali e un senso di solitudine collettivo, un legame con il passato nel presente, menomazioni solidali, relazioni mai nate e precocemente infrante, un amore lontano in attesa di una scadenza.
Sunset Park è un luogo di sosta e di attesa,
…piccolo mondo isolato dal mondo”…
di qualche accadimento, di una resa dei conti che possa allontanare l’ incubo ricorrente, una casa non casa dimora dell’ animo.
Fuori sostano sguardi perduti nell’ ombra, un uomo invecchiato che vive mille travestimenti, due madri che hanno perso un figlio, un paese, l’ America, dove tutto come sempre alla fine andrà a posto, un luogo, Brooklyn, dimora di persone abbandonate, con la possibilità che la vita si estingua, che gli altri non ci riconoscano.
C’è un mimetismo che accarezza le vite di tutti, vite che si trascinano in lavori di insegnamento sottopagati, che rivelano uno sguardo appassionato per il disegno e la pittura, che utilizzano una macchina fotografica per registrare pensieri scuciti e inutili.
E ci saranno momenti rimandati da troppo tempo, domande costruite da anni
… Ma allora, se ci volevi bene, perché sei andato via?…
…” qualcosa che deve essere perdonato? Probabilmente no, ma tuttavia deve essere perdonato”
e c’ è una vita che scorre, inafferrabile, imprevedibile, figlia di un passato recente e rivolta a un futuro inaccessibile. C’è un possibile senso di appagamento travolto da una nuova imprevedibile colpa, ansiogena, forse definitiva, a determinare quell’ adesso che se ne è andato per sempre…
Sunset Park è un cantico di solitudini che sopravvivono nell’ ombra di un quotidiano difficile e monco, in un periodo storico, il primo decennio del nuovo secolo, che, per le nuove generazioni, significa precariato, povertà, incertezza, ansia, per le vecchie il ricordo di un recente passato fulgido ed edonista ormai dissolto, che vive una disgregazione famigliare certa, il passaggio dalla dimensione onirica a un reale indigesto.
La speranza, se qualcosa può legittimarla, sta nel respiro di una neo dimensione collettiva di convivenza, anche se immediatamente soverchiata dall’ evidenza.
L’ incedere del romanzo, in una trama quantomai ridotta all’ osso e piuttosto frammentaria, con un senso di suspence sempre più evidente, ne riporta i temi dominanti, destino, senso di colpa, paura, amore, ansia, passione per il baseball, per il cinema, per la letteratura, ma anche precariato, povertà, ansia, un individualismo all’eccesso figlio della propria storia e delle logore maschere di un’ America quantomai sfaccettata e dissolta.
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Tipicamente Auster
Forse se dovessi essere cattivo potrei scrivere che Paul Auster è un grande affabulatore, un autore capace di raccontare storie di uomini e donne e di creare dei personaggi anche se l’ossatura della storia risulta essere un po’ gracilina: quattro persone (due uomini e due donne), ognuna con problemi economici e personali, si trovano a vivere da occupanti, abusivamente, una squallida casa abbandonata a New York nel quartiere di Brooklyn, precisamente nella zona di Sunset Park che dà il titolo a questo libro.
Tra di loro spicca la figura di Miles Heller che si porta dietro il proprio trauma giovanile, una responsabilità ed un senso di colpa legati alla morte del fratellastro, che pesano come macigni sulle sue spalle e che allo stesso tempo condizionano la vita dei suoi genitori, altri importanti co-protagonisti in questa storia.
Poi invece, pensando più approfonditamente alla narrazione, ai numerosi riferimenti sportivi (sul baseball) e cinematografici (il film del 1946 ”I migliori anni della nostra vita” sul tema dei reduci tornati in patria dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale) disseminati nel testo, all’alternarsi dei punti di vista sulla vicenda (raccontata attraverso capitoli monotematici “ritagliati” sui singoli protagonisti), si comincia a rivalutare quest’opera e ad apprezzarla maggiormente. Un libro che parla di sentimenti, gioie, dolori, amore, sesso ed amicizia e che contiene anche una bellissima riflessione in quanto il protagonista, Miles Heller, viene descritto come un malato che compra libri compulsivamente perché “alla fine i libri non sono tanto un lusso quanto una necessità, e leggere è una malattia da cui non vuole essere curato”.
Credo che tanti di noi la pensino allo stesso modo e forse è sufficiente una frase del genere per valorizzare un intero romanzo.
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Auster a me piace
Quando leggo Auster riesco nella mia mente ad immaginarmi le varie scene, come fotografie che scorrono una dopo l’altra, è in grado di farmi entrare così tanto nella storia da farmi calare in mezzo ai vari personaggi come in una scena di teatro. Questo aspetto che mi suscita la lettura di Auster, al di là della storia che va a raccontare, lo ritrovo anche in un altro autore che amo molto ; Murakami.
Così mi aggiro attorno a Miles alla sua paura di affrontare il passato, alla sua decisione di tagliare i ponti con tutto e tutti per punirsi di un istante che gli ha cambiato la vita, osservo Pilar, la giovane donna artefice con la sua giovinezza e il suo entusiasmo al cambiamento di Miles che sceglie di farsi carico delle ambizioni di lei per sfuggire alle sue. E incontro Bing, Alice e Ellen gli occupanti della casa a Sunset Park che ospiteranno Miles quando deciderà di far ritorno a New York per cercare finalmente di sciogliere un silenzio durato ormai sette anni con i suoi genitori.
Auster è in grado, utilizzando poche parole, di delineare bene i caratteri dei personaggi facendoli risultare reali, complessi… vivi, come se fossero esistiti ancora prima di iniziare a leggere il libro e continuassero a vivere dopo che si è arrivati alla fine della lettura.
Il narratore cattura l’attenzione e ti aspetti sempre che possa essere uno dei personaggi coinvolti nella storia, una trama che ha una struttura semplice e intrigante allo stesso tempo, forte è il senso di come l’istante possa in qualche modo cambiare il corso degli eventi, come le coincidenze e il caso siano forse gli unici padroni del destino dell’uomo.
Un altro aspetto che ho apprezzato molto, anche se può risultare secondario, è l’aver creato dei collegamenti secondari tra i vari personaggi, come la visione di un film, la lettura di un libro o i giocatori di baseball, elementi che hanno fatto da collante a personaggi diversi che non per forza sono entrati in contatto gli uni con gli altri, magari si sono appena sfiorati, ma anche in questo caso la coincidenza diventa l’aspetto importante del libro, così come la visione di uno stesso avvenimento che viene vista e raccontata in maniera differente dai diversi personaggi.
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Caro Paul, ti scrivo.
Caro Paul,
ti conosco da "Sbarcare il lunario", prima edizione, ero ancora studente universitario...scusa se è poco.
Ho letto tutto di te, ma proprio tutto.
Il preferito? "L'invenzione della solitudine", non ho dubbi.
Contento?
Ora però ascoltami bene, anzi, listen to me my old : ne ho il naso pieno di libri in cui ci sia qualcuno che va a vedere il baseball, commenti un fuoricampo mangiando pop corn, faccia praticamente pubblicità al tuo amico De Lillo.
Insomma, ti sei un po' involuto.
Scrivere la Trilogia non è qualcosa che si improvvisa...e sono d'accordo.
Tuttavia, lasciatelo dire, Follie di Brooklyn e Uomo nel buio li ho trovati davvero TREF, e tu sai benissimo in yiddish che cosa voglia dire.
Sunset park è un libro che, a mio parere,avevi scritto quasi quindici anni fa...sbaglio? No no no, non sbaglio.
Una nenia ammaliante di tuoi topoi precipui, ecco che cos'è.
Io dico solo questo, e vorrei che leggessi davvero : che cosa ti costa fermarti un momento?
Immagino che il tuo tenore di vita si sia da tempo evoluto dai tempi di Timbuctu...
Perché non scrivi qualcosa di "tuo"?
Non la solita pasta cotta all'americana, no.
Qualcosa che rimanga.
Ricordi La musica del caso? Ecco, anche senza ricorrere al buon vecchio Padre Kafka, ti prego, pensa ad un romanzo che resti.
E non ti offendere se ho letto quest'ultimo tuo "libro", chiamiamolo pure così, per farmi passare l'insonnia...
C'è chi all'uopo preferisce le pagine gialle.
Shalom Chaver.
Tuo, Jan