Sulla riva del mare
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Recensione della Redazione QLibri
Voci da isole d’Africa
“[…] L’uomo da cui ebbi l’oud-al-qamari era un mercante persiano del Bahrain che era venuto nella nostra regione con i musim, i venti monsonici, lui e centinaia di altri mercanti dall’Arabia, dal Golfo, dall’India e dal Sind, e dal Corno d’Africa. Lo facevano ogni anno da almeno mille anni. […] Essi portavano con sé i loro beni e il loro Dio e il loro modo di vedere il mondo, i loro racconti e le loro canzoni e le loro preghiere […]”.
È una sorta di fine e antica poesia quella di cui appare intrisa gran parte della narrazione racchiusa tra le pagine del romanzo “Sulla riva del mare” dello scrittore africano naturalizzato britannico Abdulrazak Gurnah, ripubblicato in Italia sul finire dello scorso anno da La nave di Teseo.
Nativo del lontano arcipelago di Zanzibar, nell’Oceano Indiano di fronte alle coste della Tanzania, Gurnah, classe 1948, è pressoché fresco di Premio Nobel. È la quinta volta che, per la Letteratura, il prestigioso riconoscimento dell’Accademia di Svezia approda in terra d’Africa e soltanto la seconda che lo si assegna a un autore africano dalla pelle nera (il primo fu il nigeriano Wole Soyinka negli anni Ottanta); una rappresentanza indubbiamente ancora troppo esigua rispetto a quella di altri continenti, che si spera possa però divenire più consistente poiché da lungo tempo il mondo letterario africano è ricco di interessanti e straordinarie voci meritevoli d’attenzione.
Questo libro ne testimonia appieno la vitalità e il valore, consacrando il continente nero come scrigno di storie affascinanti che attendono solo di essere ascoltate al di là del Mediterraneo e degli oceani. Un romanzo dai toni delicati e i contenuti grevi, denso di vicende che si intrecciano inconsapevolmente tra loro sullo sfondo di una Storia troppo spesso traditrice, ingiusta, spietata. L’ultrasessantenne mercante di mobili, che fa sua un’altra identità per poter partire in cerca di asilo, non immagina di ritrovare all’estero un più giovane conterraneo, non certo sconosciuto, con il quale condividere la medesima condizione di rifugiato. La casualità dell’incontro permette il confronto e l’incastro dei tasselli di un puzzle infelice e drammatico, mentre a poco a poco emerge ed esplode tutta l’amarezza di chi vive la realtà dell’emigrazione e, nel contempo, tutto ciò che l’esilio, volontario o meno, comporta.
Gurnah ci conduce pertanto nella sua Zanzibar, da cui lui stesso in passato, al pari delle due voci narranti, si vide costretto ad andare via. La sua si rivela fin da subito una prosa fluida e pacata, ben capace di conquistare il lettore trasportandolo di colpo dalla riva del mare di una piccola città inglese a quella “di un caldo oceano verde” battuto dai venti monsonici, i musim, che portano da secoli uomini e merci. Ed ecco, dunque, che l’abile penna dell’autore consente di leggere tra le righe anche la storia profumata di spezie di quell’angolo d’Africa della costa orientale, dove elementi arabi e persiani si mescolarono con il sostrato originario locale dando vita a una cultura molto particolare, quella swahili, che evoca antichi e duraturi rapporti con l’Oman e rotte persino al di là della zona del Golfo; e, naturalmente, essa non tralascia di fare i conti col colonialismo che, se da un lato concedeva istruzione e a scuola esaltava la resistenza alla tirannide, dall’altro non esitava a incarcerare “gli autori dei pamphlet a favore dell’indipendenza”. A tal riguardo, riflessioni molto significative pesano come macigni sulla coscienza sporca dell’Occidente, la cui partenza nei decenni scorsi fece posto al dispotismo e alla corruzione dei governi postcoloniali.
Un gran bella pubblicazione che sussurra, dice e urla moltissimo a chi abbia cuore per ascoltare. Nell’ultima parte, forse, si accavallano troppe vicende secondarie che, a tratti, sembrano confondere e discostarsi da quella principale, rischiando di far perdere alla narrazione tutta la bellezza precedente, sebbene risultino anch’esse infine funzionali alla comprensione dello svolgimento dei fatti. Di pregio i colti riferimenti letterari, a partire da quello all’indimenticabile scrivano di Melville, assurto a simbolo di una umanità sconfitta, ma che ancora conserva dignità, coraggio e forza per esclamare, dinanzi al male dell’esistenza, “I would prefer not to”.
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Addio all'odio
L’ormai anziano Saleh Omar decide di lasciare la sua terra e la sua storia dolorosa e andare a trascorrere il tempo che gli resta da vivere nella sicura Inghilterra. Dopotutto una vita ha un suo valore intrinseco e una persona ha diritto alla pace e alla sicurezza a qualsiasi età. Ma Saleh Omar ha già alle sue spalle tanti anni, tante esperienze, incontri, sofferenze, successi e privazioni.
Adesso vive in un paesino sulla riva del mare, ma quanto è diverso dal caldo oceano verde dove ha trascorso la maggior parte della sua esistenza! E quanto è difficile vivere la mezza vita dello straniero, non avendo neppure la possibilità che ha un giovane di avere tanto tempo davanti. No, Saleh Omar continua il suo percorso ma lo sguardo rimane rivolto indietro, la mente continua a tornare laggiù e lo riporta nel passato, a Zanzibar. Inaspettatamente è proprio il presente che lo spinge a ripercorrere i luoghi amari e allo stesso tempo confortanti della memoria: quando per un caso fortuito entra in contatto con il figlio dell’uomo di cui Omar ha preso il nome arrivando in Inghilterra.
Entrambi avranno molto da dirsi per rendersi finalmente protagonisti di una necessaria e dolce riconciliazione, proprio là, nella nuova terra dove sono approdati per trovare quella pace e sicurezza che non poteva esserci davvero senza il catartico superamento di vecchie ostilità.
Dopo il conferimento del Premio Nobel per la Letteratura nel 2021, la nave di Teseo sta ripubblicando tutti i romanzi di Abdulrazak Gurnah. “Sulla riva del mare” è uno scritto dalla prosa magnetica che ci fa avvicinare, attraverso una vicenda individuale e privata, alla condizione difficile e ambivalente del rifugiato. Buona lettura!
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Melodia d’autore
Una dolce melodia risuona nella delicata prosa di Abdulrazak Gurnah, recente premio Nobel per la letteratura, scrittore africano naturalizzato inglese cantore di un angolo di continente ( Zanzibar ) con evidenti contaminazioni mediorientali e reduce da un passato di colonizzazione, voce pacata e poetica espressione di cultura, saggezza, profondità.
In un’ Inghilterra rifugio di un’umanità in fuga da una terra percossa da governi fragili e persecutori, senza presente e futuro, l’ anziano protagonista del romanzo, Saleh Omar, mercante di mobili, oggi vive la mezza vita di uno straniero in una terra aliena con i timori e l’ agitazione che sente attorno a se’ mentre cammina nelle vie della piccola città di mare in cui è approdato.
Il passato ha le sembianze di un angolo di terra molto lontano sulle rive di un caldo oceano verde, quella porzione di Africa orientale dove risuona la lingua kishwahlili, in se’ conserva le innnumerevoli voci del passato, la fragranza dell’ out-al-qamari, il soffio dei musim, i venti monsonici, immagini trasferite nel presente grazie a una presenza ignara di quello che è stato, Latif Mahmud, un rifugiato come lui che a sua volta si è costruito una vita in questa terra, in fuga dal passato e da una famiglia a pezzi, che lo ha riconosciuto grazie al nome che porta, di un nemico e di un padre, un nome falso ma necessario a salvargli la vita.
Oggi Saleh Omar è un uomo privo d’identità, lasciato a marcire e umiliato, uno strumento all’ interno delle belle storie di altri, ma qualcuno deve farsi carico della sua vita, il recupero della propria storia passa attraverso il riconoscimento, una maschera che cade facendo riemergere ricordi dolci e crudeli.
Ha Inizio una narrazione duale, una trama complessa con radici lontane, un rapporto di odio e di malinformazione, il rimescolio di voci e di tradizioni, di popoli e di culture contaminate e diverse, storie di mercanti e di marinai, di uomini e di famiglie divise, spezzate, di lotte intestine e di perdite, di colonizzatori che un giorno se ne sarebbero andati lasciando caos e violenza insieme alla fine del loro impero.
La narrazione si copre delle fragranze e della melodiosa presenza di una terra nostalgicamente lontana, ma anche del dolore e della sofferenza di un passato violento con il gusto un po’ amaro della meschinità e della vanità personale e una critica a un occidente che non ha saputo che colonizzare e dimenticare.
Di fronte a lui un uomo colto che non si è concesso all’ odio e alla vendetta, il cui sorriso sembra esprimere calma e rassegnazione, che si è costruito una vita altrove, lontano dalla propria terra da più di trent’anni, poeta e insegnante di letteratura, che ricorda un padre rassegnato nella sua futilità.
In questi lunghi momenti la ricostruzione di un intreccio dalle radici lontane stravolge il presente in una nuova versione che ridefinisce i rapporti e cancella le ombre, la frequentazione e la curiosità ispirano la voglia di ritornare in un luogo e in un tempo che si è lascati alle spalle, di sentire il racconto della controparte, di trovare un po’ di sollievo. Intanto il “ nemico “ continua il lungo racconto e confessa le proprie colpe, un destino favorevole e avverso nel cuore di una verità da rivelare, una confessione necessaria che non chiede l’ assoluzione dei propri peccati
D’ altronde … “ è un posto triste il paese della memoria, un deposito buio con pavimenti marci e scale arrugginite dove a volte si passa il tempo frugando tra cose abbandonate “…