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Il materialismo scientifico
Premessa alla mia recensione: sono nato nel 1989, in gioventù sono stato "di sinistra", filocomunista e radicalmente materialista ma in seguito ho rinnegato il materialismo, giungendo a ritenerlo una imbecillità da bestie che vogliono rimanere in gabbia, dacché lo sforzo dell'essere umano di dare un senso alla propria esistenza viene frustrato se ci si limita, davvero bigottamente, alla sola realtà materiale. L'esistenza può trovare un senso solo se vissuta come qualcosa che rimanda a un piano superiore, la condizione dello stare in gabbia trova un senso non nella catalogazione empirica e scrupolosa e nella comprensione scientifica di quanto fisicamente avviene in essa ma nella tensione anelante a un "fuori gabbia".
Questo racconto lungo è davvero interessante come documento dell'applicazione pratica della mentalità scientifico-materialista del comunismo sovietico. Il libro è del 1961 e l'autore Tendrjakov era membro del Partito Comunista dell'Unione Sovietica.
In una scuola di un piccolo paese di provincia si scopre che una alunna, Tosja Lubkova, crede in Dio e, poco dopo, che anche un insegnante di matematica è segretamente credente. Detta così, parrebbe una trama perfetta per un romanzo dissidente, per una denuncia dissacrante delle pretese totalitarie del materialismo religioso, a maggior ragione trattandosi di letteratura russa, così solitamente attenta a cercare un senso universale nell'individuo particolare a confronto con la propria epoca (si veda la breve introduzione di Dostoevskij ai Fratelli Karamazov: "non solo [una personalità stravagante] non sempre è un fenomeno particolare e isolato, ma anzi potrà succedere che egli talvolta rechi in sé il midollo dell’universale, mentre tutti gli altri uomini della sua epoca si sono temporaneamente, chissà perché, distaccati da esso, come in una folata di vento").
E invece Tendrjakov scrive sul serio: l'io narrante, il professor Anatolij Matveevi? Machotin, direttore della scuola dove avviene lo scandalo, condivide lo sgomento degli altri personaggi e dell'"opinione pubblica" alla scoperta dei due credenti e tenta sinceramente di porvi rimedio con una paziente, pedagogica, opera di evangelizzazione materialista che rieduchi gli eretici. Tale rieducazione "empatica" si scontra con istanze di risoluzione punitiva del duplice scandalo: all'approccio intellettualistico di Machotin si contrappone quello più pragmatico e sbrigativo di Lubkov, padre della ragazza scopertasi credente, comunista ortodosso e membro influente del partito. Tenrdrjakov, attraverso il professor Machotin, critica questi approcci sbrigativi che isolerebbero i credenti ottenendo il solo risultato di lasciarli ancora più in balia della "malattia religiosa" e suggerisce che non bisognerebbe mai, o quasi mai, escluderli ma operare un'inclusione strategica in cui, a lungo andare, i credenti si convertirebbero.
A fine lettura mi è rimasta la sensazione che il solo movente per cui Tendrjakov ha scritto questo racconto sia stato l'ostentazione della propria sensibilità pedagogica, del suo ateismo "coscienzioso": tale didascalismo "saputello" e davvero malcelato appesantisce lo stile dell'opera. Inoltre, se il fine deve essere il totalitarismo materialista, quasi vien da preferire l'approccio di Lubkov (licenziare il professore credente, escludere dal Komsomol e punire la figlia Tosja), più puntuale e meno ipocrita.
Sullo stile pesano anche le ricorrenti brevi descrizioni paesaggistiche che a mio avviso appaiono giustapposte e meccaniche, quasi che - mi si perdoni la cattiveria - all'Istituto letterario Gorkij di Mosca, dove Tendrjakov ha studiato, gli abbiano detto che gli scrittori che si ritengano tali devono spargere qua e là descrizioni paesaggistiche, giusta dose di pane necessaria a inghiottire il companatico ideologico. Ma anche qui mi accorgo che il problema è il materialismo e il mio rigetto di esso: a che pro, mi chiedo, "far perdere il tempo" al lettore quando 1) la realtà materiale (e quindi gli elementi paesaggistici) non può mai rimandare a nient'altro al di fuori di essa; al massimo può suggerire qualche oziosa, casuale, analogia tra il paesaggio e lo stato d'animo del protagonista e 2) il fine del racconto è mascherato (malcelato, come ho scritto) ma sin troppo chiaro. Insomma, la mia reazione a Tendrjakov è la stessa della giovane credente Tosja Lubkova ha verso il professor Machotin che tenta di restaurare in lei la fiducia per l'ambiente scolastico: "Ma lei, e non solo lei, tutti, tutti! Che cosa avete fatto perché avessi fiducia? Che avete fatto di buono per me? [...] Ho trovato la fiducia in me stessa, ho trovato la felicità negli studi?". Che cosa ci dà in cambio Tendrjakov per prendere sul serio i suoi paesaggi e la sua narrazione, oltre all'ideologia materialista e all'ostentazione della propria sensibilità pedagogica?
Lo sviluppo della trama inoltre sembra poco autentico: troppo perfettamente l'autore dispone le cose, le sviluppa e le risolve in modo tale da provare il suo punto critico: pare che solo manchi, a fine racconto, la scritta "cvd: come volevasi dimostrare".
Infine, particolarmente volgari, a mio avviso, le denigrazioni gratuite che l'io narrante dedica di tanto in tanto ai due credenti: verso fine racconto Machotin dice del professore di matematica segretamente e timidamente credente, ormai rimosso dalla propria cattedra: "Prima faceva semplicemente pietà, adesso alla pietà si mescolava un senso di ripugnanza". Immagino che tali volgarità si possano giustificare con la necessità di ribadire esplicitamente il proprio convinto ateismo ed evitare la possibile censura di un qualche Lubkov della vita reale, pronto ad accusare lo scrittore di eccessiva condiscendenza verso la mentalità religiosa.
Lettura consigliata, consigliatissima oggi che l'integralismo scientifico-materialista riappare sulla scena mondiale non più (o non solo, pensando alla maggiore influenza cinese sugli affari mondiali) nel contesto marxista ma in quello del nuovo capitalismo transnazionale, ultraoligarchico, progressista, tecnocratico e, fra poco ma in fin dei conti ormai già, transumanista.
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C'era una volta un ragazzo che iniziava il suo cammino verso la vita e un prete saggio che dava ottimi consigli perché capiva il mondo e ne percepiva il moto; il ragazzo avrebbe voluto conoscere tutto, sentirsi già grande, leggere opere importanti, ma il prete gli consigliò la lettura di questo piccolo libro, dal nome curioso di un autore dal nome impronunciabile che proveniva da quel lontano mondo sovietico che era ora vituperato ora idolatrato.
Tendrjakov crea un piccolo capolavoro destinato a rimanere nell'oblio come spesso accade per quelle opere che, al pari del Piccolo Principe, non si limitano a raccontare una storia, ma scavano nell'animo umano e ne scovano le più profonde corde facendole vibrare e costringendo a riflettere.
Il tema trattato è affascinante: una studentessa della decima classe di un istituto sovietico è credente, anche il professore di matematica lo è; si urla allo scandalo, all'espulsione, al licenziamento.
Ogni pagina sembra vibrare impregnando le membra e il cervello di impulsi nervosi che costringono a pensare, a riflettere su ciò che non è evidente sul piano narrativo, ma come per magia lo diviene sul piano emozionale.
Tendrjakov riesce attraverso uno stile semplice, accessibile a tutti costruito con un lessico ricco, ma non elitario a imbastire una storia verosimile e sincera con personaggi che sembrano far parte della vita di tutti i giorni e proprio per questo immediati e comprensibili.
La storia è raccontata dal preside della scuola ed è in prima persona, scelta che rende tutta la narrazione fresca ed empatica; questo maestro è caratterizzato così bene, in modo così puntuale senza essere ridondante, così autoritario, così umano, ma soprattutto giusto; sembra che conosca non solo la distinzione tra bene e male, ma che conosca anche la strada da percorrere per arrivarci, cerca di essere un insegnante e di trasmettere se stesso agli altri. Di colpo quando le pagine finiscono non si ha un'idea di cosa sia Dio, l'anima e la religione, ma si hanno gli strumenti per formulare un pensiero, creare un'opinione e la sensazione di essere una persona migliore.
Quel ragazzo dopo aver un po' storto il naso decise, forse per reverenza verso quell'uomo così autorevole, di iniziare la lettura e ne rimase folgorato, fu uno di quei libri che segnarono la strada della sua straordinaria vita, che gli fece capire che ciò che sarebbe stato avrebbe anche di poco cambiato il mondo e che avrebbe trasmesso tutto se stesso ai suoi figli, perpetuando quella magia che quel giorno lontano delle parole scritte su della carta riuscirono a creare.
Quel prete era Don Lorenzo Milani e quel ragazzo il mio babbo.