Storia di un oblio
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Una vita vale una lattina di birra?
Un ragazzo qualsiasi in un giorno qualsiasi di questi nostri tristi tempi entra nel supermercato di un centro commerciale qualsiasi per passeggiare ( i "non luoghi", le piazze d'incontro della nostra civiltà); ha sete apre e beve una lattina di birra da poco prezzo: sarà l'inizio della fine della sua vita, verrà ucciso a botte dai vigilantes della sicurezza.
"Quel che io chiamo oblio" è il titolo originale di questo lungo racconto (una cinquantina di pagine) scritto in una sola frase, senza un vero inizio, senza una vera fine, senza punteggiatura ma con una prosa pulita ed autentica che risveglia in noi sentimenti come la pietas e l'indignazione.
E' un crescendo, lento ma inesorabile, le parole come la marea, fino a percepire una vita umana, un corpo, accartocciarsi come una lattina di birra (bellissima anche la foto di copertina).
E' un lungo monologo, un racconto che qualcuno non identificato fa al fratello del ragazzo ucciso, ricorda la sua vita, la vita di un "invisibile" dei nostri giorni (...tutti hanno abbassato glia occhi...perché sperano di sfuggire alla loro desolazione, a ciò che chiamo desolazione, ..quando incrociano sulla loro strada uno come lui) ma non una vita sprecata perché ciò che è stato veramente triste nella SUA vita è stato perdere " il gusto del vino e della birra, il gusto di baciare... di camminare ore ed ore" o di aspettare con ansia qualcuno che forse si potrà amare: tutto questo gli hanno tolto con l'assurda morte.
La definizione di OBLIO del Devoto-Oli è "dimenticanza con un accentuato senso di abbandono da parte del pensiero, ma anche dei sentimenti e degli affetti" e rende benissimo il significato profondo di questo testo; ma per quanto riguarda i quattro vigilantes, ragazzi come lui, la dimenticanza riguarda quello di essere degli esseri umani.
Indicazioni utili
Morire per una birra ai tempi dello spread
Un pugno in pieno volto,di quelli che fanno male, fratturano il naso.
Senti il sangue scorrere sulla bocca e poi imbrattare vestiti e mani.
Poi arriva il secondo,senza pietà, nello stomaco, ti manca il respiro, apri la bocca,come uno che affoga e soffochi con il tuo sangue e finalmente lo sputi via:respiri!,ma non è finita.
Siamo a Parigi in un grande centro commerciale, uno sbandato, di quei fratelli maggiori che non sono mai cresciuti,di quei cugini che ne combinano sempre una,
di quei figli che continuano a credere che Peter Pan busserà alla loro porta per
portarli sull'isola;va in giro, sostanzialmente cazzeggia e poi, ha sete,che fare?
Soldi in tasca non ne vede da quando ha perso il lavoro,quella specie di lavoro che aveva, ed
ecco il reparto birre,un niente,allunghi la mano, bevi,sfrontato davanti alle
telecamere che ti seguono come fossi una pop star sul palco e poi eccoli quei quattro
della security,hanno la sua stessa età,i loro sogni li hanno affossati
in una divisa sdrucita che fa il verso a quelle vere della polizia.Lo prendono , lo spingono
nel magazzino lontano da tutti e da tutto e lo massacrano di botte.
Il ragazzo muore per aver rubato una birra in un grande magazzino.
Provate a sfogliare un quotidiano qualsiasi ,troverete dei piccoli articoli, lunghi e stretti,come piccole bare incastonate nella pagina,come dice Mauvignier, è di quei "nulla" che parla questo libro, di quelli che sono sempre i fratelli,i cugini, gli amici,i figli degli altri.
di Luigi De Rosa