Stella distante
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Vortici di storie
Non ci si lasci ingannare dall’esiguo numero di pagine, “Stella distante” è un romanzo denso di contenuti e riflessioni, elaborato attraverso una complessa stratificazione di storie, immagini e personaggi in cui realtà e finzione narrativa si rincorrono senza sosta generando un vortice destabilizzante. Tutto potrebbe essere vero, quanto falso. Inutile allora cercare di incasellare ogni elemento nella verità storica del Cile e della letteratura, ci si può solo abbandonare al gioco, e perdersi in questo vortice al cui centro c’è la poesia.
Poeti autodidatti, in bilico tra manicomio e disperazione. Poeti rivoluzionari, alla ricerca di una nuova forma espressiva. Poeti dell’anima, che forse non hanno nemmeno mai preso in mano una penna. Poeti inventati e poeti realmente esistiti, e uno, in particolare, il più sfuggente e inafferrabile, Carlos Wieder.
Lo incontriamo nel Cile di Allende, gentile e misurato poeta alle prime armi, che legge i suoi componimenti nei circoli giovanili di sinistra, ammantato da fascino e ambiguità. Lo ritroviamo determinato e audace poeta aereo nel Cile di Pinochet, a scrivere inquietanti versi in cielo mediante spericolate acrobazie, e fare sfoggio degli omicidi e delle torture da lui compiute. Il narratore ne ripercorre la vita come un investigatore, inseguendone le tracce nel tempo, attraverso una girandola di storie e personaggi paralleli. Ogni racconto porta a un altro, ogni volto ne cela un altro, in un continuo gioco di specchi deformanti. Wieder è un poeta o uno spietato criminale? Il narratore è innocente o colpevole? La poesia salva o distrugge? Di quel circolo iniziale di intellettuali d’avanguardia, nessuno ha trovato redenzione. Chi ha piegato l’arte al male. Chi è fuggito, nella rassegnazione e nel silenzio. Chi ha capito, troppo tardi.
Sullo sfondo sempre il Cile, martoriato e ferito, con le ossa dei suoi giovani nascosti sotto la terra polverosa e il dolore dell’impotenza a torturare l’anima. Il Cile, questa stella distante che nessuno ha saputo difendere dalla violenza cieca, restando a guardare mentre precipitava nel buio. E allora quel che ci rimane è perderci in questa complessa finzione letteraria per non dimenticare uomini e donne semplici e reali.
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IL SEGRETO DEL MONDO O L'EPIFANIA DELLA PAZZIA
“Mi sentivo come dentro un incubo ricorrente. Quando mi sarò svegliato, pensai, mia madre mi preparerà un panino alla mortadella e andrò al liceo. Ma non mi sarei svegliato.”
“La letteratura nazista in America”, scritta da Bolano nel 1996 con un taglio enciclopedico di stampo inequivocabilmente borgesiano (penso soprattutto al Borges di “Finzioni” e di “Storia universale dell'infamia”), è un'antologia totalmente inventata della letteratura di estrema destra prodotta in America nel XX secolo. Nell'ultimo capitolo si narra la storia di Ramirez Hoffman, “l'infame”, un poeta-performer futurista, divenuto popolare nel Cile di Pinochet per le sue poesie aeree scritte nel cielo con le scie di fumo rilasciate dal suo monoposto, ma anche per aver torturato e ucciso decine di oppositori del regime militare, ritraendoli poi in macabri scatti con la sua macchina fotografica. “Stella distante” riprende pari pari (a parte il francamente superfluo cambio dei nomi: Ramirez Hoffman diventa Carlos Wieder, le sorelle Venegas diventano le sorelle Garmendia, Cecilio Macaduck diventa Bibiano O'Ryan, e così via) questa vicenda e, allargando la prospettiva storica, ampliando il panorama culturale di riferimento, inserendo nuovi personaggi e nuove sotto-storie al suo interno, trasforma quello che era un racconto di poche pagine, scarno ed essenziale, in un romanzo vero e proprio. Confesso di essermi emozionato scoprendo che il narratore della storia di questo poeta-aviatore-serial killer altri non è se non Arturo Belano, il futuro protagonista del meraviglioso “I detective selvaggi” nonché alter ego dell'autore in svariati altri racconti (un po' come il Nathan Zuckerman di Philip Roth). Ciò mi ha portato istintivamente a fare tanti parallelismi, a rintracciare tante somiglianze, con “I detective selvaggi” e con “2666”: anche in “Stella distante” c'è infatti in primissimo piano il mondo della poesia d'avanguardia e sperimentale (con tanto di seminari di poesia tenuti in aule universitarie di medicina che puzzano di formalina, di reading letterari semi-clandestini, di “poeti sperduti” nel deserto, di strampalate correnti pseudo-artistiche e di personaggi che stanno “sempre lì a discutere di poesia anche se il Cile andava a remengo”); c'è anche la descrizione esaltata e a suo modo romantica della giovinezza (un romanticismo che si potrebbe definire “alla Kerouac”, se solo Kerouac fosse stato più intellettuale), un periodo spensierato in cui si parla di tutto, di poesia, di politica, di arte e di lotta armata (“la lotta armata che ci avrebbe dispensato una nuova vita e una nuova epoca, ma che per la maggior parte di noi era come un sogno o, più esattamente, come la chiave che ci avrebbe aperto la porta dei sogni, gli unici per cui valesse la pena vivere. E sebbene vagamente sapessimo che spesso i sogni si trasformano in incubi, questo non ci importava.”); c'è il nomadismo di chi gira il mondo per necessità (il Cile degli anni '70 non era infatti il “migliore dei mondi possibili” in cui vivere) o per vocazione; e infine c'è la violenza, una violenza sadica, brutale, immotivata, espressione di un male assoluto che, in un mondo privo di valori, viene persino perseguito, da menti malate come quella del protagonista, alla stregua della più pura e catartica espressione di bellezza e di verità. La violenza storica (quella del regime militare di Pinochet) si intreccia a quella privata, e si ipostatizza in un personaggio, quello di Carlos Wieder, dalla torbida e terrificante ambiguità. La glaciale imperturbabilità di quest'uomo, il suo fascino amorale e perverso incarna alla perfezione la banalità del male, diventando al contempo il simbolo stesso della sua pervasività e della sua immanenza. Come un cancro, i mostri come Wieder si occultano nelle piaghe marcescenti della società, aggirandosi come inquietanti fantasmi che scompaiono e riappaiono nei luoghi e nei momenti più impensati (e i delitti seriali di “2666” sembrano originare proprio da questo romanzo seminale). Il male che Bolano descrive non si può affrontare facilmente, perché è viscido e sfuggente: l'amico intimo del narratore, Bibiano O'Ryan, si impegna per tutta la vita a rintracciare Wieder, attraverso tracce sempre più labili, indizi sempre più inconsistenti e frammentari, ma inutilmente (“Bibiano tenta di non battere ciglio affinché il suo personaggio non gli svanisca sulla linea dell'orizzonte, ma nessuno, e tanto meno in letteratura, è capace di non battere ciglio per un lasso di tempo protratto, e Wieder svanisce sempre”). Il narratore sogna una notte di naufragare a bordo di un galeone e, aggrappato a un pezzo di legno, vede a pochi metri da lui Wieder: “Capivo in quel momento, mentre le onde ci allontanavano, che Wieder e io avevamo viaggiato sulla stessa nave, solo che lui aveva contribuito a farla affondare mentre io avevo fatto poco o nulla per evitarlo”. Bolano esprime così i sensi di colpa di una generazione di intellettuali che, seppure non collusa col potere, è nondimeno incapace di arginare la violenza della Storia. Non è un caso che a ritrovare e a uccidere Wieder non sia Belano e neppure Bibiano, ma un ex poliziotto cinico e dai modi spicci, i cui occhi non più innocenti hanno imparato a non farsi ipnotizzare dall'orrore (con sublime ironia, Bolano rovescia il racconto biblico, facendo uccidere Caino da Abele – Abel è infatti il nome di battesimo del poliziotto-giustiziere).
Bolano utilizza, come ne “I detective selvaggi” e in “2666”, una trama da romanzo giallo, ma il suo è un finto giallo (un po' come finti gialli sono certi racconti di Borges e di Durrenmatt). L'occhio del lettore infatti non ha mai il diritto di entrare nei luoghi dei delitti, nelle camere di tortura, e neppure nella stanza dove, con inaudita impudenza, Wieder allestisce per i suoi amici e colleghi una mostra fotografica dove sono presumibilmente esposti gli scatti delle vittime dei suoi brutali omicidi; neppure ha modo di seguire l'evoluzione delle investigazioni della polizia o dei detective privati. Quello che a Bolano interessa è descrivere una violenza ontologica, inestirpabile, e il suo stile straniato e antiemozionale produce proprio, paradossalmente, l'effetto di accrescere l'orrore nel lettore, che si trova di fronte a crimini tanto più insopportabili quanto più normali, privi di ogni carattere di straordinarietà (in questo senso la monotona descrizione dei delitti, che trova il suo apice nella quarta parte di “2666”, dove vengono sciorinati uno dopo l'altro, come in una macabra litania, gli innumerevoli omicidi di Santa Teresa, è quanto mai funzionale ad incrementare la sensazione che il male è dappertutto, oscuro e impenetrabile, e in esso, se solo si sapesse guardarlo – ma l'arte, ahimè, è per Bolano pateticamente incapace di farlo - “c'è nascosto il segreto del mondo”).
Insieme all'inspiegabilità del male, c'è in “Stella distante” il tema dell'impossibilità di decifrare la verità. Tutta la storia di Carlos Wieder e degli altri personaggi del romanzo è costellata di espressioni dubitative, come “tutto quanto finora raccontato forse accadde così […] Ma forse tutto accadde altrimenti”, “seppi da un amico (pur non sapendo se la storia sia vera)...”, “più della metà delle storie vengono falsificate oppure sono soltanto l'ombra della storia reale”. La realtà resta, nonostante tutti gli sforzi dei suoi interpreti, impenetrabile ed enigmatica. Proprio come nel principio di indeterminazione di Heisenberg, non appena si tenta di afferrarla, la verità, lungi dal palesarsi, si occulta sempre di più (basti pensare al beffardo finale de “i detective selvaggi”, in cui gli amici realvisceralisti cercano per tutto il romanzo la poetessa Cesarea Tinajero, ma, quando finalmente la trovano, ne provocano involontariamente la morte). In “Stella distante” ci sono tanti esempi di questo paradossale assunto: ad esempio, quando Bibiano, dopo aver cercato dappertutto tracce della epica carriera da guerrigliero di Juan Stein, scomparso dopo il golpe militare ma periodicamente riaffiorante tra i rivoluzionari sandinisti in Nicaragua, tra i combattenti internazionalisti in Angola, tra i componenti del commando che assassina Somoza in Paraguay, e infine tra i caduti del Fronte Farabundo Martin in San Salvador, quando Bibiano – dicevo – tenta di mettersi in contatto con la sua famiglia d'origine, scopre – forse – che l'uomo è morto senza mai essersi mosso dal Cile. Ma quella di Juan Stein è solo una delle tante micro-storie presenti in “Stella distante”. Bolano si conferma infatti uno straordinario inventore di storie, che nel romanzo proliferano, si moltiplicano e si ramificano, dando origine a una costruzione narrativa particolarissima, strabordante di riferimenti culturali (autentici o fittizi) e inconfondibile nel suo stile oscillante tra fredda e cronachistica asetticità e narrazione mitologica (troviamo così le vicende parallele dei poeti-amici Juan Stein e Diego Soto, dai destini divergenti eppure così tragicamente simili, quella di Lorenzo, il ragazzo senza braccia il quale, avendo capito che “uccidersi, in questa circostanza sociopolitica, è assurdo e ridondante”, decide di trasformarsi in un poeta segreto, quella della setta degli “scrittori barbari”, i quali cercano, defecando, orinando e masturbandosi sui capolavori letterari del passato, di ottenere una magica fusione con essi, e tante altre ancora). “Stella distante” ha pertanto un andamento perennemente centrifugo, cui neppure l'inesorabile finale riesce a dare un senso di compiutezza, e la stessa storia di Wieder appare volutamente irrisolta, sfrangiata, fuori fuoco (“era la storia di qualcosa di più, anche se allora non sapevo di cosa”), una storia che è probabilmente l'emblema di una follia che, come un incubo sognato ad occhi aperti, ha segnato come una maledizione tutta la prosa inquieta e ironicamente dolorosa di questo lucidissimo e imprescindibile autore.
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"Finzioni" di Jorge Luis Borges
"Storia universale dell'infamia" di Jorge Luis Borges
Satelliti in cerca di un’orbita distante dal male
Una stella brilla, seppur distante, ne cogli la presenza, fisica, oggettiva, il suo essere stella dovrebbe rassicurarti, indiscussa dovrebbe essere la sua funzione: guidarti, come nel mare, i primi naviganti, la stella polare. Ma questa stella non è il nord, questo è il sud, il profondo sud, quello “in culo al mondo” direbbe Lobo Antunes, quello che rigetta i suoi figli e li sparpaglia nel mondo, ispanico prima ovvero latino americano e poi europeo, di una moderna Barcellona, magari. E fa odiare loro la propria patria e gliela fa rinnegare mentre ne canta, malinconicamente le virtù.
Dove risiede la virtù del Cile dopo l’11 settembre 1973? Quando tutto sembra perso, dove si può ricercare quel che era, quel che è stato? Si ha il bisogno di una ricerca, preme l’esigenza di una risposta. Avvertito è il dovere per lo meno di dire quel che c’era. E in Cile c’era la poesia, in Cile c’era la vivacità culturale, anche femminile, l’università, c’erano gli studenti, si respirava cultura. Molti sono spariti, gli altri sono dispersi e disperati vivono il loro anonimato facendo i commercianti, nulla racconterebbe di essi i trascorsi culturali, i sogni infranti, la vita spezzata.
E allora chi ha ancora, seppur dopo una vita raminga e povera e lontana dalla patria, la forza di cantare, lo fa, in modo prepotente, originale, violento e soprattutto attraverso un’assenza, un personaggio che pare incarnare i mali del mondo, sfuggente, etereo, irreale. Questo è per me “Stella distante”, la storia di un non personaggio, un parto letterario necessario affinché si compia un omicidio virtuale, quello del male.
La sua forma letteraria è impregnata di metaletteratura , rimanda ai labirinti borgesiani, storie che richiamano altre storie, che formano un universo coeso, dove la centralità è solo apparenza perché ciò che conta è l’infinito satellitare che gli ruota attorno. Chi è Alberto Ruíz-Tagle? Ancora ve lo chiedete? Non ha nessuna importanza.
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Uno scrittore barbaro
Il libro si apre illudendo il lettore con grandi aspettative. Ti accoglie un circolo di intellettuali nel loro seminario di poesia. Nei capitoli successivi ci viene presentato un aereo che disegna poesie nel cielo, una stanza piena di mappe. Il libro prosegue con numerosi riferimenti storici, è intriso di tanti rimandi culturali e letterari, fin troppo, perché o si conosce profondamente la cultura letteraria sudamericana per poter cogliere tutti i collegamenti o i rimandi presenti sono talmente numerosi che stancano, in quanto sembra quasi di leggere la bibliografia di un romanzo. Si incontra quindi un’oggettiva difficoltà nella lettura, oltre che una profonda malinconia diffusa. La pagina dello scrittore barbaro per me è stata terribile, una delle peggiori pagine mai lette, talmente brutta da portarmi ad avere un’opinione netta su tutto il testo.
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Stelle vicine o stelle distanti?
Concepciòn, la “capitale del sud” del Cile, il luogo dove i giovani poeti sembrano essere stati raggruppati, raccolti per comporre, per narrare, per lasciare. Alberto Ruìz-Tagle frequenta le scuole di poesia della città dove esser politicamente di sinistra è quasi un dogma insondabile e insindacabile, le sue amicizie sono quasi prevalentemente donne e il suo aspetto dal portamento elegante e la fisicità invidiabile non passa inosservato nemmeno tra gli uomini. Tra questi il narratore e il suo amico Bibiano Mc Donad non sono da meno nell’osservarlo. Tuttavia, la figura di Ruìz-Tagle è misteriosa, è enigmatica. È impossibile non porsi domande su quel che si nasconde dietro la facciata a maggior ragione quando, a seguito del golpe del 1973, di lui si perde ogni traccia. Tanti, ancora, gli avvenimenti che si susseguono e che vedono il Cile sprofondare sempre più in una dittatura ferrea; quella di Pinochet. Tra le pagine, Carlos Wieder pilota ed aereo-poeta la cui fama aumenta a dismisura.
Questo e molto altro è racchiuso in questo breve romanzo di Roberto Bolano, opera che sin dalle prime pagine colpisce e si imprime nella mente per un senso di malinconia che si perpetra sino alla sua conclusione. Al contempo, tante sono le riflessioni sottese che l’autore ci porta alla mente. Riflessioni che vanno dalla realtà cilena che circonda ogni avvenimento agli aspetti più introspettivi dell’animo che trovano la luce con la voce di ciascun personaggio. A questa prima sensazione ne segue una di disorientamento a mio modesto parere, voluta. Il lettore, infatti, man mano che prosegue nel racconto sente di cogliere soltanto una parte di quel che il testo racchiude. Quasi come se l’obiettivo fosse far riflettere su quel che è reale e su quel che non lo è, sulle meteore che giorno dopo giorno appaiono e scompaiono nelle vite e nelle esistenze che colorano le nostre anime, come se alla fine non fossero tutte stelle distanti di un passato ormai trascorso e dunque distante, come se fossero stelle cadenti che una volta cadute semplicemente scompaiono.
Un componimento di gran contenuto che inganna per le dimensioni e che conquista per tutte quelle sfumature che contiene, che arriva e che resta per quel senso di “avrò davvero colto tutto” che si incastona nella mente e che invita ad interrogarsi.