Sindbad torna a casa
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Recensione della Redazione QLibri
Sindbad torna a casa
Un tuffo nella malinconia della giovinezza ormai sfumata e con essa tutto quello che la popolava.
Sandor Márai realizza un romanzo molto particolare per stile e contenuto, riesce ad unire una bella prosa a delle emozioni profonde. Il peregrinare per Pest è di Joyciana memoria, come Ulisse anche Sindbad si trova in un sol giorno a vagare per le vie della città vecchia, ormai solo ombra di ciò che era, solo vuoto guscio di un mondo lontano, quando gli scrittori erano anima e i libri vita, quando Sindbad era giovane e rispettato per quello che scriveva.
Quanto la trama è semplice e lineare tanto profondi sono i temi toccati e molto attuali, nonostante il romanzo sia stato pubblicato nel 1940, interpretabili a più livelli.
Il protagonista Sindbad, ovvero Gyula Krúdy, si fa essenza della scrittura stessa, trasmette la passione, l'ansia di esprimere le proprie emozioni, l'amore per la propria patria e la malinconia di qualcosa che finisce in modo definitivo, l'alito della morte che aleggia sulla vita e facendosi soffio porta via tutto quello che è stato. Ciò che rende questo piccolo libro speciale si trova nella parte centrale, dove l'autore, mentre Sindbad pranza, sopraffatto dai ricordi, ci ricorda perché egli scrive e sono pagine di una intensità profonda che l'allievo dedica al proprio mentore, in cui lo eleva a musa e guida, ad impersonificazione dell'ispirazione e di quella forza che si impadronisce di un uomo e lo trasforma in artista. Ogni aspetto della vita diviene spinta propulsiva a scrivere per lasciare testimonianza di quell'attimo, di quella sensazione irripetibile e determinante.
Quel ripercorrere le tappe dei caffè letterari e trovare desolazione e superficialità nei giovani scrittori orfani della passione e della capacità di provare emozioni, di quel riuscire a trasmetterle solo con la penna, è un elevare la propria arte, ma soprattutto la propria giovinezza, quando non esisteva una casa, perché questa erano i profumi del bagno dove a settanta gradi si discuteva con gli altri intellettuali dei fatti del mondo per renderli arte oppure il gusto del caffè unica e vera bevanda dello scrittore.
Il ritorno a casa è struggente e foriero di nuovi pensieri e della presa di coscienza di un'epoca andata, finita, dissolta, ma anche della certezza rinnovata che il proprio passaggio nel mondo non è stato vano, un'infinitesima traccia è stata lasciata e questo basta per dare un senso alla vita, quasi a descrivere il destino di ogni scrittore la cui opera sopravviverà in eterno.
Tutti questi fili sono tenuti insieme da una scrittura fluida, scorrevole in cui Márai sostiene Sindbad e lo caratterizza in modo preciso, non nascondendone i molti difetti, ma mettendoli al servizio del suo genio. I personaggi secondari sono appena accennati e tutto il viaggio è pervaso di citazioni di scrittori vissuti in Ungheria all'epoca di Krúdy, che rendono ancora più struggente questo viaggio di Sindbad in una costosa carrozza.
Scritto come omaggio al proprio maestro, utile a tutti quelli scrittori che hanno smarrito la passione e la ragione per rendere vive le pagine su cui scrivono.
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Sindbad il sognatore
"Sono trascorsi trent'anni da quando sono emigrato dall'Ungheria, dove i comunisti avevano preso il potere con la violenza.Non ho lasciato la mia patria perchè temevo che i comunisti non mi avrebbero permesso di scrivere.Sono andato via piuttosto perchè temevo - non senza una buona ragione - che non mi avrebbero permesso di rimanere in silenzio. (E hanno i mezzi per farlo)"
Sàndor Màrai, Salerno 1978
In questo romanzo Màrai racconta una giornata particolare della vita del grande scrittore ungherese Gyula Krùdy che viene ricordato nel romanzo, adoperando lo pseudonimo di Sindbad il marinaio uno dei suoi personaggi più celebri. La descrizione di questa giornata si offre a più interpretazioni, Sindbad è al verde, servono i soldi per saldare le bollette delle luce che la Compagnia elettrica gli ha staccato, deve comprare un abito per il giorno dergli esami alla piccola Zsòka, sua figlia, a ricordarglielo è la moglie, svegliatasi anch'essa di primo mattino. Sindbad rassicura la moglie, ha degli articoli da consegnare a Vàrdali, il redattore del quotidiano Magyar Szabadsàg,un suo caro amico, i soldi dunque li troverà.Quando però lascia la sua casa nel sobborgo di Òbuda, Sindbad sembra perdersi nelle sue fantasticherie, invece di prendere un mezzo pubblico, sceglie una costosa carrozza,buttando via preziosi pengö. Sindbad vive in un mondo di sogni, completamente innamorato della vecchia Ungheria, attraversa Buda e Pest inseguendo ricordi, fantasmi letterari, tornerà a casa con i soldi?
Questo romanzo è un omaggio ad un maestro dimenticato della Letteratura ungherese, quando le tribù magiare lasciarono gli Urali dirette verso Sud, portarono con loro solo archi e frecce, erano alla ricerca di pascoli, parlavano una lingua che non capivano nè gli Slavi nè i Germani, furono gli scrittori e i poeti come Sindbad a trasformare i pascoli in una patria , il magiaro in Letteratura.
Anche noi italiani abbiamo avuto i nostri Sindbad, mi viene in mente Emilio Salgari, narratori straordinari ingiustamente accantonati , uomini sui quali la sfortuna si è accanita. Amara soddisfazione per questi autori che Sindbad o Sandokan siano sopravvissuti a tutto quel dolore che avevano dentro i loro creatori. Uno scrittore non dovrebbe mai essere costretto al silenzio o a scrivere per fame.
di Luigi De Rosa