Serge
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Serge, Jean, Nana
Sono tre i fratelli Popper: Serge, Jean e Nana. Tre figure completamente diverse, tre anime e volti agli antipodi. Uomini e donne che non hanno alcunché in comune, che sono esposti a una memoria condivisa. E rivivono. Rivivono nelle parole di Jean ora alla soglia dei sessant’anni, rivivono nel suo parlare e proporsi. Rivivono nelle loro contraddizioni, ancor più dopo la dipartita della madre, Marta, unica capace di tenere in piedi quella sgangherata famiglia.
Ciascuno con una sua prospettiva, ciascuno con un rapporto logorato. È Jean a narrare, come anzidetto. Parte dalle sue paure, dal suo temere per il futuro ma anche sul presente e il passato. Dai rapporti con i fratelli, talvolta precari e ancor più fragili e disattesi. Serge, primogenito, è colui che è il condottiero, lo spericolato, l’antieroe. Nana è la cocca di casa, la prediletta e la ruffiana. Jean è il gregario, il figlio di mezzo. Senza spina dorsale, senza personalità. Colui che è trascinato dalle onde e che è “vittima” del sistema. L’uomo nella facciata, il ragazzino perenne pieno di dubbi e titubanze nell’anima.
Eppure, a prevalere, è il senso di appartenenza. Un senso di appartenenza che non ha basi, che non ha una storia di famiglia alla base, che non ha affetti e individualismi da trasmettere. Ciascuno dei figli è emblema di caratteristiche diverse come, ad esempio, l’egocentrismo per Serge o il senso di incompiutezza e incompletezza per Jean.
A far da cornice un ebraismo che è più di facciata che di verità. Radici dissolte, famiglie sgretolate, malattia e storie personali che si esprimono come fallimentari e frutto di frammenti ricostruite.
I tre fratelli vivono ciascuno con le proprie domande e risposte, ciascuno cercando un punto comune anche se agli antipodi. Come Serge e il suo egocentrismo mixato a egoismo e Nana, al contrario altruista seppur cocca di casa. Nemmeno il viaggio ad Auschwitz riuscirà nell’intento di farli riavvicinare e riconciliare. Nemmeno Jean con i suoi tentativi, mossi dal suo senso di fallimento e inconcludenza e che lo vedranno essere trascinato l’una volta da Serge, l’altra da Nana, riuscirà nell’impresa. Al contrario raggiungerà l’unico risultato di una maggiore distanza, lontananza e separazione.
«Riprendiamo a girovagare nei vialetti del campo. Ricordati. Ma perché? Per non rifarlo? Ma lo rifarai. Un sapere che non è intimamente in relazione con sé è vano. Non ci si deve aspettare niente dalla memoria. Questo feticismo della memoria è un simulacro. […]
Questi onnipresenti filari di pioppi! Probabile che in inverno offrano lo spettacolo di un’aridità più dignitosa. È pulita questa caserma, geometrica, ben tenuta. È un museo. Un quadrato di limbo riorganizzato a beneficio del visitatore contemporaneo. Un nobile gesto che opacizza.»
Ad essere ricostruiti sono tutti questi accadimenti e lo sono in un flusso di coscienza che va avanti senza sosta e senza fermarsi al fine di ricostruire un puzzle più grande anche autoalienante.
Il risultato finale è quello di uno scritto solido e compatto che si snoda in una dimensione temporale in cui non è più il tempo a scandire il ritmo ma l’evento in quel che è un flusso ininterrotto ma costante. Il più grande merito è però quello di aver ricostruito volti e vite di uomini e donne che giungono al lettore con tutte quelle che sono le imperfezioni del vivere quotidiano. Dell’esistere. Ed ancora dei legami e del loro svilupparsi in un rapporto talvolta incomprensibile quanto indecifrabile. Ma cos’è la vita davvero? Cos’è l’esistere, il fluire? Identità, famiglia, memoria. Eccoli gli ingredienti di “Serge” di Yasmina Reza. Tra memoria e tempo.
«Non ho saputo comportarmi emotivamente in questi luoghi dai nomi cosmici, Auschwitz e Birkenau. Ho oscillato tra la freddezza e una ricerca di commozione che altro non è che un certificato di buona condotta. Allo stesso modo, mi dico, tutti questi ricordati, tutte queste furiose ingiunzioni di memoria non sono forse altrettanti sotterfugi per spianare l’evento e riporlo in buona coscienza nella storia?»
Indicazioni utili
Relazioni insondabili
Al centro di una famiglia vagamente ebraica, i tre fratelli Popper, Serge, Jean e Nana’, alla soglia dei sessant’anni, rivivono nelle parole e nel racconto di Jean il legame che lì ha caratterizzati, fragilmente esposti alla memoria di una gioventù condivisa e di un presente in cui poco hanno da spartire, in particolare da quando è mancata la figura materna che teneva in piedi la loro sgangherata baracca famigliare.
Jean, il fratello di mezzo, è pervaso dall’ idea di trattenere e vivere un rapporto logorato dal tempo, dai cambiamenti, da legami inconcepibili, da conflitti irrisolti, da incompatibilità caratteriali, riflettendo sull’ insensatezza del presente, sul significato della propria essenza, riproponendo immagini fluide del passato e l’ origine del proprio malcontento in questa parabola di cupa dissolvenza.
Di fatto la percezione del tempo è un fatto del tutto soggettivo che riguarda il proprio io più profondo, ma i tre fratelli resteranno sospesi in un tempo in cui nulla è cambiato e continueranno a sentirsi semplicemente i Popper.
Jean è il gregario, il senza personalità, Nana’ la cocca di mamma e papà, la smorfiosetta, Serge il primogenito, il condottiero, lo spericolato.
Da dove origina il loro senso di appartenenza, sono così evidenti le differenze caratteriali, privi di una storia famigliare di cui farsi carico, conservare e trasmettere, affetti da individualismo ed egocentrismo ( Serge ), imbrattati da una socialità tardiva ( Nana’ ) e da un senso di incompiutezza ( Jean )?
Ogni legame sembra sfaldato, un ebraismo di facciata poco profondo e includente, radici genitoriali dissolte nella malattia, storie personali frammentarie e fallimentari, singole ed esposte a un senso di lontananza, figli, nipoti, amici, amanti, semplice merce di scambio nel proprio contorto e controverso ambito relazionale.
E allora che cosa mantiene questo respiro di condivisione? In fondo i legami fraterni si sbilanciano e si disperdono finendo per non ridursi ad altro che …” a un sottile nastrino di sentimenti o di conformismo “...
Serge e Nana vivono un dissidio profondo, l’ altruismo dell’ una cozza contro l’ egoismo dell’ altro, neppure il viaggio nel dolore e nella memoria di Auschwitz riuscirà a riavvicinarli, ne’ i tentativi di riconciliazione da parte di Jean, ciascuno cercherà di trascinare il fratello dalla propria parte prima di allontanarsi definitivamente l’ uno dall’ altra.
Forse Jean, in questa suo essere così conciliante, e’ sospinto dal proprio senso di fallimento, dal sentirsi un orfano in simbiosi con le prime letture d’ infanzia, dal desiderio di essere benvoluto, di non essere solo al mondo anche senza figli, dalla paura di perdere Serge pur vergognandosi della sua imbecillità, dalla vana ricerca della natura primigenia di Nana’, invecchiando e sprofondato in una vena melodrammatica.
Ecco un fluire di accadimenti e di sentimenti all’ interno di una vita ingiusta o solamente diversa da come la si credeva, le separazioni non sono evidenti ne’ definitive, le relazioni semplicemente esistono, continuano, si assentano, ritornano, certi legami si autoalimentano.
Yasmina Reza, considerata uno dei principali drammaturghi contemporanei, si addentra in una dimensione temporale e relazionale in cui il tempo sembra assentarsi, scandito dalla voce dell’ interiorità. Con un linguaggio vivo, diretto, pulsante, a tratti sarcastico e un’ ambientazione scarnificata, espone i tormenti di vite che sembrano sfuggirsi e legarsi in un rapporto indecifrabile.
Alla fine che cosa conta realmente se non il fluire della vita stessa?