Semplicemente perfetto
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Recensione della Redazione QLibri
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Il crollo delle illusioni
Jostein Gaarder, autore di quel capolavoro che è stato Il mondo di Sofia, libro indimenticabile e che ha fatto la storia della letteratura e non solo, torna in libreria con Semplicemente perfetto. Un libro, come è nello stile dell’autore, colto, dotto, inframezzato da precise riflessioni filosofiche, che si divora in un baleno.
Nella vita del protagonista del racconto, Albert, da tempo, tutto è:
“semplicemente perfetto”.
Una moglie, Eirin, conosciuta a diciannove anni, e mai più lasciata. Sposata, con lei concepisce un figlio, fino a diventare nonno. Prima di lei, una fidanzata sola: Marianne, con cui intrattiene da sempre degli ottimi rapporti, al punto da diventare il loro medico di famiglia. Tutto per lui percorre binari lineari, a parte un periodo di crisi e un fugace ritorno con Marianne, presto interrotto, divenuto solo più un ricordo. Ora, dopo trentasette anni di vita comune, Eirin è in Australia ad un congresso di biologia marina, per presentare la sua scoperta destinata a sconvolgere il mondo accademico di cui lei fa parte da tanti anni. In questo contesto Albert riceve una notizia destinata a mutare radicalmente. Infatti nella sua vita fa irruzione, prepotente e malefico, lo spettro della malattia. Quella che non perdona, che non lascia scampo. Albert è disorientato, ha bisogno di solitudine per riflettere e prendere eventuali decisioni. Non può che recarsi là dove tutto ha avuto inizio: la Casa delle fiabe. Lì ripensa alla vita, per cui:
“La vita di un uomo si riassume semplicemente così: C’era una volta…. E venne una notte. Adesso è arrivata la notte.”
E durante questa notte cupa e dolorosa il suo pensiero non può non andare a “Riccioli d’oro”:
“Ogni tanto chiamo Eirin “Riccioli d’oro”. Ma in tutti questi anni il motivo per cui le ho dato questo nomignolo è stato il nostro segreto. Era un fatto legato più al porridge che al colore dei suoi capelli.”
Lei può essere d’ora innanzi il suo scopo di vita? Perché vivere? E perché far soffrire i propri familiari? Coloro i quali ti amano indiscriminatamente, senza sé, senza ma? Riflettere sulla finitezza umana è giocoforza per il nostro protagonista:
“Per quasi tutta la vita siamo condannati a vivere con la consapevolezza che tutto il meraviglioso spettacolo che abbiamo vissuto – una terra dalle incredibili forme di vita, un oceano con una miriade di esseri diversi e un cielo stellato sopra di noi, lontano miliardi di luce, tanto che possiamo solo sognare di scoprire cosa contenga-, tutto questo, dopo pochi anni siamo condannati a lasciarlo, e per me il momento si sta avvicinando.”
Un racconto lungo, poco più di cento pagine, dove vengono affrontati svariati temi legati all’esistenza umana, trattati con capacità e particolare sapienza narrativa. Uno stile “perfetto”, di fascino, profondo dove si colgono gli aspetti bivalenti dell’essere umano: la sua profondità, la sua sapienza, ma anche la sua miseria, il suo essere finito, la malattia, la decadenza, la morte e l’eros. Un romanzo che trascina e che offre una visione del mondo, nonostante tutto, positiva e rasserenante. Perché la vita va sempre e comunque vissuta fino in fondo. Un motivo determinante e fondamentale per proseguire nel cammino umano lo si trova sempre, anche nel buio più profondo e tragico. Un messaggio di speranza, un inno alla vita profondo e totale in cui immergersi con impegno.
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Continuare a vivere anche innanzi al crollo della
«Gli anni possono essere lunghissimi mentre li si vive e si cerca in qualche modo di farsi strada a tentoni verso un futuro ignoto, ma quando ci si ripensa, molto tempo dopo, sembrano volati. Vivere proiettati nel futuro induce una certa irresolutezza, un costante vagare con lo sguardo; ma se non ci si pensa al futuro, si rischia di perdere facilmente di vista le occasioni importanti e le possibilità. Perciò ci si guarda intorno, si vaga costretti a fare una scelta improvvisata dopo l’altra. Non è così con lo sguardo retrospettivo. Non si vaga con lo sguardo, quando ci si guarda indietro. I ricordi si limitano a muoversi lungo la linea della vita così come è stata»
Quanti anni sono trascorsi da quel primo incontro che è stato semplicemente un colpo di fulmine... Lui si chiama Albert, adesso è un docente accademico diventato nonno, lei si chiama Eirin, ed è da tempo specializzata in biologia delle acque dolci, ricercatrice presso l’Istituto norvegese per la ricerca delle acque e spesso all’estero per lavoro. Dal giorno che i loro sguardi si sono scrociati, il loro amore ha avuto inizio e ancora adesso, a distanza di trentasette anni, il sentimento è vivo. Ha avuto soltanto un piccolo cedimento ed è stato preceduto da una sola fidanzatina, Marianne, divenuta poi medico di famiglia della coppia essendo rimasti ottimi i rapporti. Scenario della nascita dell’affetto, del consolidarsi della vita coniugale ma anche del nuovo scoglio che Albert è chiamato ad affrontare è lei: la casa delle fiabe. Tutto è sempre stato “semplicemente perfetto” sino alla scoperta di quel male sinonimo di sentenza irrevocabile. Cosa fare? Aspettare che il decorso abbia luogo? Intervenire prima? Qual è la giusta scelta da intraprendere? Come tutelare se stessi e i propri cari?
È da questi brevi assunti che ha inizio l’ultimo romanzo a firma Jostein Gaarder, autore noto al grande pubblico grazie a opere quali “La ragazza delle arance” e il mondo di Sofia” e per il riuscire a destinare ai suoi lettori scritti sempre intrisi di grande sensibilità nonostante la drammaticità delle tematiche trattate (come anche questa volta in cui le aspettative non vengono ad essere disilluse e disattese).
Fulcro libricino è il titolo stesso, titolo ripetuto con cadenza regolare all’interno dell’opera in quanto essenziale per dimostrare quanto la quotidianità, spesso, appunto, perfetta, e incuneata su binari lineari che seguono un percorso determinato e preciso, possa essere sconvolta da fattori esterni e indeterminati. Un po’ come la favola di “riccioli d’oro” che ha più interpretazioni ma che cela ben altro oltre che una prima definizione positiva e superficiale.
Disorientato e solo perché Eirin si trova in Australia, il protagonista si interroga sul senso della vita, sul senso della sua esistenza e sul senso dell’esistenza del mondo. Dal “Big Bang”, agli atomi, alla vita, egli giunge ad analizzare il proprio decorso, il proprio cammino e a chiedersi se sia giusto continuare a vivere sapendo di non avere più possibilità, con la consapevolezza che il tempo che ci è stato concesso si sta inesorabilmente esaurendo, se sia giusto, ancora, “condannare” i nostri cari ad assistere al nostro declino, alla nostra fine, al consumarsi della nostra fiammella vita sino al suo completo spengersi. Però, in tutto questo, anche quando ormai la decisione sembra essere presa, c’è ancora un barlume e quel barlume si chiama speranza.
Quelle di Albert sono domande comuni a ciascun uomo, chi non si è mai interrogato sul senso del proprio essere? Sul senso del vivere? Sul proprio posto nel mondo? Ancor più e a maggior ragione se le circostanze sono tali da porre un fine a quella che è la nostra permanenza su questo pianeta. Problematiche importanti, affatto scontate, che vengono trattate con delicatezza ed empatia dallo scrittore e che vengono vivisezionate con cura e dovizia ma senza mai cadere nel banale. Il risultato è che chi legge e si avvicina al testo si sente parte delle vicissitudini degli eroi presentati, le sente proprie, comprende i vari punti di vista e li accetta per quel che sono senza emettere giudizi o sentenze. Unica pecca che ho riscontrato, per mio modesto gusto personale, è un uso un po’ eccessivo, a tratti, del passato remoto, tempo verbale che può rallentare lo scorrimento del componimento e renderlo farraginoso.
Nel complesso un elaborato che resta, che fa interrogare, che suscita riflessioni. Breve ma intenso.
«Penso al tempo che mi resta, né troppo lungo né troppo corto, il tempo perfetto per un addio»
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La perfezione è attorno a noi
Ci sono libri che hanno il pregio di toccare le corde del cuore, che affrontano argomenti e tematiche esistenziali e profondamente intimistiche, tanto che quando capita di imbattersi in uno di questi, il lettore già sa che conserverà nel tempo un piacevole ricordo. “Semplicemente perfetto” dello scrittore norvegese Jostein Gaarder, noto ai più per libri di notevole successo come “La ragazza delle arance” ed “Il mondo di Sofia”, è annoverato tra quelli per l’appunto, considerata la delicatezza e sensibilità dell’autore nel trattare situazioni particolarmente drammatiche nella vita di un essere umano.
Nel titolo, di per sé emblematico, è sintetizzato tutto il contenuto del libro: quella semplice perfezione che molto spesso trascuriamo di considerare anche se l’abbiamo davanti agli occhi e che può assumere diverse declinazioni. Può trattarsi infatti della semplice perfezione di una relazione amorosa, tra un ragazzo ed una ragazza che si conoscono all’università e capiscono subito di essere fatti l’uno per l’altra, come nel caso dei due protagonisti della storia, ma può anche essere la semplice perfezione del mondo in cui viviamo. Di questa sapiente combinazione di atomi e molecole che si è manifestata a seguito del “Big Bang” dal quale miliardi di anni fa è nato l’universo e la vita come la intendiamo oggi. Albert, il protagonista maschile, si interroga e compie queste riflessioni nel momento più difficile e buio della propria vita, quando sembra che la speranza venga a mancare e si sente il bisogno di ritirarsi a riflettere, in solitudine, magari all’interno della baita di proprietà immersa nella foresta norvegese, trovando ristoro per la vista e per la mente davanti alle acque di un gelido e azzurro lago. Le domande esistenziali che si pone Albert sono quelle che, probabilmente, qualsiasi essere umano che si sente con le spalle al muro comincerebbe a porsi. Per il lettore pertanto diventa naturale identificarsi con lui, provando una forte simpatia e un senso di solidarietà crescente. Albert cerca di risalire all’origine di tutto il creato, ipotizzando “la presenza di un’entità dietro le leggi fisiche, una sorta di intelligenza che ha progettato tutto”. Allo stesso tempo non scarta nemmeno l’ipotesi scientifica che dal caso “in un colpo solo sorgano infiniti universi, come bolle isolate…….ma che la maggiore parte di esse sia instabile e condannata a naufragare perché non ha i valori giusti”. E’ lo stesso Albert a svelare al lettore il perché di questi quesiti esistenziali e la risposta sta nella “speranza”, elemento così naturale e tipico degli esseri umani. La speranza di potercela fare, di sopravvivere e continuare ad esistere in questo mondo, in cui pur avendo coscienza della propria caducità, si riconosce allo stesso tempo la propria appartenenza al genere umano che comunque continuerà a esistere (“Una cosa abbiamo tutti in comune: a turno ci spegneremo. Ma il falò continua a bruciare, a propagare scintille energico come prima”).