Sedici parole
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Alla ricerca delle radici
Sedici parole vengono scelte dall'autrice per rappresentare il paese e la cultura iraniana da cui proviene la famiglia.
Figlia di immigrati approdati in Germania negli anni Ottanta, Mona da sempre vive una vita all'occidentale ma senza dimenticare il luogo lontano su cui si innestano le radici familiari.
La perdita della nonna, anziana capostipite rimasta a vivere a Teheran, sarà motivo per intraprendere un viaggio carico di dolore e al contempo latore di ricordi intimi e sepolti dalla lontananza e dal tempo.
Per chi si aspetta di essere accolto tra usi e consuetudini dell'Iran, di inebriarsi di aromi speziati, di riempirsi la vista di colori, moschee e manufatti, il contenuto lo disattende ampiamente.
La narrazione perde di vista il desiderio di accompagnare il lettore all'interno della cultura persiana, per farne conoscere lo stile di vita quotidiano del passato e del secolo corrente, ma incentra il contenuto su eventi prettamente familiari e personali, facendosi diario soggettivo di scarso valore letterario.
Un'occasione sprecata, una costruzione studiata intorno a sedici parole, emblemi di una cultura millenaria e antitetica a quella europea, parole e concezioni il cui approfondimento resta sbiadito e poco percepibile.
Un viaggio per accarezzare ricordi e sentimenti personali, con poche fotografie dei luoghi e degli aspetti storico-culturali.
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Sedici parole, sedici amuleti
«All’inizio fu una sola. Una parola che, agile e svelta, mi assalì, come poi tutte le altre sedici, dopo un’imboscata. Non riuscivo a difendermi, le parole tornavano sempre di nuovo a impormi il loro messaggio: qui c’è ancora un’altra lingua, la tua lingua madre, non credere che quella che parli sia davvero la tua. Finivo regolarmente nelle loro mani, ostaggio di queste parole che non avevano niente a che fare con la mia vita, con il modo in cui ogni giorno apro il lucchetto della bici, ordino da mangiare al ristorante oppure, in primavera, ripongo il vestiario invernale. Non avevano niente a che fare con la mia vita, eppure, o forse proprio per questo, ero continuamente in loro potere.»
Ha inizio da queste parole il titolo proposto da Nava Ebrahimi, un elaborato che ne rappresenta l’esordio letterario ma che al contempo ci riporta indietro nel tempo e nello spazio. Quello che ha infatti luogo è un vero e proprio viaggio in Iran tra profumi, legami, grida dei müezzin, colori e polvere.
Mona è il nome della giovane protagonista che, da anni vive in Germani e che è chiamata a tornare nel paese natio a seguito della morte di mamam bozorg e cioè della nonna. Ghostwriter di professione e legata a Jan, un uomo con il quale ha una relazione molto particolare, ella si trova a riscoprirsi e a riscoprire. Perché da sempre il suo rapporto con quelle origini è siglato dal binomio “amore-odio” per tutto quel che questi luoghi significano e custodiscono. Al fianco di Mona vi è la madre, una donna che per usanze, costumi e credo è stata data in sposa al marito a soli tredici anni. E nel ricordare della vanità, originalità e spigliatezza caratteriale della nonna che tutto quel che era privo di rilevanza donava per aiutare il prossimo e che come una bambola è stata ritrovata, riecco che tornano anche i ricordi di quel padre medico rivoluzionario che troppo presto le ha lasciate perché troppo radicato nelle sue ideologie. Il tempo lo vedrà tornare, negli anni, lo vedrà ammalarsi e morire.
Premesse necessarie che se unite tra loro ricompongono un puzzle; quello di una vita. Mona cerca un senso per questa, cerca quello che più fra tutti possa dare un significato all’amore. Tra queste pagine questo assume il volto di un legame fatto di tira e molla dove le vite hanno intrapreso binari diversi e paralleli ma che eppure, ciclicamente, sembrano tornare a incrociarsi e scrociarsi.
Ed è così che quello che avrebbe dovuto essere semplicemente un breve viaggio di pochi giorni diventa invece un percorso fatto di parole e di ricerca per colmare quei buchi di un passato ancora presente. Sedici parole che diventano amuleti, che sono riprova delle tante verità.
Un esordio quello di Nava Ebrahimi che lascia il segno, che arriva e che colpisce per quella sensazione di nostalgia che ne colora ogni passaggio, per quel senso di radici che ancora ne è espressione maggiore. È un percorso di crescita, di ricerca, di essenza. Notevoli anche gli approfondimenti culturali e gli aspetti descrittivi che permettono al lettore di focalizzare in modo chiaro quel che pagina dopo pagina accade.