Ritorno a Memphis
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Contrattempi in famiglia
Memphis, "un posto 'orientato alla proprietà terriera' ", immerso nella "cultura del profondo Sud fluviale". Nel nucleo storico della città, "tutti conoscono tutti e sanno quello che succede a tutti - soprattutto dopo il tramonto".
Anni '70. Protagonista, un agiato uomo di mezz'età, in crisi con la propria compagna, viene coinvolto dalle due sorelle che vivono lontano, appunto a Memphis, per una questione molto particolare.
Queste due bizzarre donne ultracinquantenni, nubili, dalla doppia o tripla vita, aggiornano il fratello sull'ottantenne padre rimasto recentemente vedovo: "qualsiasi idea sbagliata avesse di sé e del mondo, il vecchio gentiluomo sapeva senza dubbio quali vestiti gli stavano bene". E raccontano, con ironia, come egli dapprima fosse frequentemente invitato a cena da compassate signore sue coetanee. Poi come avesse cominciato a frequentare donne più giovani in locali dai nomi pittoreschi.
Si allarmano, però, quando l'anziano decide di sposare un'adeguata signora. Dicono pertanto, al nostro protagonista, che si rende necessario un suo urgente ritorno a Memphis.
A differenza di altri scrittori americani contemporanei, spesso alle prese con storie scioccanti o vicende estreme narrate con un linguaggio particolarmente elaborato o al limite della volgarità, Taylor qui rappresenta la normalità di una famiglia, benché un po' complicata, nei suoi avvicendamenti. Il linguaggio non tende a creare stupore o sensazione, ma fluisce con piacevole naturalezza, velato qua e là da un sottile umorismo.
Il libro non contiene pagine 'da antologia' , né frasi memorabili. Il risultato d'insieme ne fa però un romanzo di buona letteratura, in cui si possono ricostruire percorsi di indagine sia socio-culturale che psicologica ed esistenziale. Sotto un'apparente semplicità si può individuare una complessità che pone, al lettore attento, impliciti interrogativi.
Indicazioni utili
Un padre rompiscatole di altri tempi
Questo libro ha il sapore di altri tempi, ricorda i vecchi film di James Stuart, in cui tutte le persone erano pacate, i conflitti sepolti sotto strati di buone maniere, la disperazione era sopportata con pazienza e soprattutto con decoro. Questo spiega in parte lo scarso successo di questo Pulitzer, nonostante la indubbia capacità dell'autore e la sua bravura nel descrivere stati d'animo attutiti e sepolti da tanta educazione e anche, nel caso di Philip, da un animo che vuole elevarsi al di sopra delle cose. E' una storia abbastanza lontana dal nostro spirito passionale ed emotivo, dalla immediatezza nel sentire e nel reagire dei nostri tempi. I sentimenti veri, i pensieri vanno intuiti e non sono subito evidenti perchè l'educazione media e impedisce di essere troppo espliciti.
La storia è narrata in prima persona da Philip, ma il protagonista è suo padre George.
Tutto inizia con il trasloco della famiglia di Philip a Memphis da Nashville.
All'inizio Philip ci parla con leggerezza di Memphis, città dalla mentalità paesana e provinciale, molto diversa dall'amata Nashville, luogo di libertà mentale e spirituale. Ogni membro della famiglia lascia a Nashville il cuore in modo abbastanza definitivo anche se cerca di non farlo pesare.
Philip ci racconta subito le bislacche usanze di Memphis dove i vecchi danarosi tendono a risposarsi scatenando il putiferio nella vita dei figli di mezza età, individui avidi ed egoisti, pronti a impedire al vecchio di godersi gli ultimi anni di vita pur di salvare l'eredità. Philip si sente ben distante da tanta grettezza. Eppure, un bel giorno, si ritrova in mezzo a una situazione simile quando suo padre 80enne decide di risposarsi.
Philip ci racconta la storia della sua famiglia al contrario,a partire dal tentato matrimonio. Nella storia giganteggia la figura di suo padre, George Carver, uomo che ha rovinato senza farsi problemi la vita di tutti i suoi figli e della moglie. In tale contesto, il fatto che qualcuno impedisca il suo matrimonio non è più una mera questione d'eredità ma una ben più giusta vendetta.
Philip non punta però il dito contro il vecchio, anzi, lo difende in qualche modo dalle sorelle. Tutto il libro è un tentativo estremo, difficile, faticoso di riavvicinarsi al padre, capirlo e perdonarlo. La cosa che difetta nel libro è il riconoscimento delle colpe del padre da parte del padre stesso, o un chiaro atto di accusa del figlio. Philip è troppo Stuart, troppo al di sopra della meschinità corrente non solo per vendicarsi su un povero vecchio, ma anche per smascherarlo o, almeno, per fargli capire i suoi errori. Philip non accompagna il lettore a fondo nel processo di sublimazione del desiderio di vendetta per cui ci si trova a non capire bene, emotivamente soprattutto, la pacatezza del finale, senz'altro bello.
Personalmente avrei voluto veder il vecchio George rendersi conto di quanto è stato terribile per gli altri. Invece resta una figura un po' teatrale a cui tutto si perdona. Ma no, io non gli avrei perdonato proprio tutto. Mi è restato un senso di insoddisfazione per qualcosa che non è stato detto apertamente. Philip è di una bontà che si avvicina troppo alla pace dei sensi, alla rassegnazione, all'amore per la tranquillità che non ha molto dell'eroismo di chi ama senza essere riamato; anzi, ha più della stanchezza della persona di mezza età, di chi si arrende davanti a chi vuole, vuole, assolutamente vuole in modo egoistico, senza dubbio, ma in qualche modo vitale. A Philip è stata tolta da George la voglia di vivere (insieme al cuore) e il lettore si trova a essere molto meno clemente di lui nel giudicare le cose.