Ragazzi di zinco
Letteratura straniera
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Cosa in realtà contenevano quelle bare?
Lo scorso anno rinchiuso, come tutti in casa, lessi l'altro libro di questa autrice: preghiera per Chernobyl e che ho preferito di gran lunga a questo, che si concentra sulla guerra dimenticata tra esercito russo e quello afgano.
L'autrice come da suo stile, lascia la narrazione alle voci dei protagonisti coinvolti nella storia. E come sempre da grande risalto alle figure delle "madri" che in maniera più o meno atroce vengono a conoscenza che il loro figlio non c'è più, maciullato dall'ingranaggio perverso della guerra.
Sono talmente fatti a pezzi e sfigurati che li riportano indietro in queste casse di zinco. Non permettono loro neanche di vederne le spoglie, sono chiusi ermeticamente nella bara.
Però a leggere tra le righe dei vari racconti, ci si chiede effettivamente se quelle casse contengano ciò che restava dei corpi delle vittime di guerra, oppure se al loro interno vi fosse altro: droga, armi, terra, altri tipi di materiali contrabbandati, se fossero vuote, se contenessero i corpi di qualcun altro.
Quindi al danno la beffa: magari intere famiglie che vanno per anni a piangere il proprio figlio morto al cimitero e piangono su una cassa vuota (svuotata) o una cassa che contiene un corpo di un altra persona.
Tutto è incentrato sull'inganno: il primo inganno, quello germinale, è dei Mass Media (telegiornali, propaganda politica, propaganda militare) che convincono questi giovanissimi (parliamo di una fascia di età dai 18 ai 25) che bisogna servire la patria e che in Afghanistan andranno per perpetuare la pace e portare migliori condizioni di vita alle popolazioni locali. Le stesse famiglie cascano in pieno nell'inganno della propaganda. Si fanno convincere dalle figure in giacca e cravatta dei giornalisti che in tv parlano che bisogna servire la patria per un ideale più alto.
Si capisce che fanno leva sulle fasce più esposte della società: poveri, ignoranti, creduloni, gente limitata culturalmente e umanamente.
Gente del popolo, cresciuti tra privazioni e fame. La guerra potrebbe essere il loro riscatto. Guadagnare qualche rublo, magari porre le basi per un isba in campagna o comprare un auto al proprio genitore.
Un eldorado si apre ai loro occhi, finiranno invece alla fine per farsi saltare le dita delle mani o spararsi alle ginocchia per farsi rimpatriare e scappare da quel mattatoio.
Per quelli che invece proprio non c'è la fanno si fanno direttamente saltare in aria il cervello in caserma o magari prima di una incursione. O almeno è quello che raccontano i superiori ai loro familiari, Vai a capire se è una bugia, se è la verità. Cosa è veramente successo in quel carnaio, in quel deserto a migliaia e migliaia di Km lontano da casa, dove anche i sassi ti sono nemici.
Tutti ingannano tutti, bugie, menzogne su menzogne. Nessuno dice la verità. Tutti mentono.
I superiori mentono alle reclute per spingerle al massacro, i figli mentono alle madri per non farle preoccupare. La patria mente ai cittadini per far convincere ai loro figli ad andare in battaglia, i politici mentono agli elettori sulle vere finalità dell'intervento militare. Non si sa chi mente di più e chi ormai è talmente assuefatto alle proprie menzogne dal ritenerle comunque vere.
Poi ci sono le donne, le infermiere, le concubine. Lavano il sangue che scorre senza fine tra le corsie degli ospedali da campo. Soddisfano le voglie degli ufficiali, entrano nel grande minestrone di follia e odio che ammanta tutta la campagna russa in quei territori riarsi dal sole. Finiscono pure loro per odiare ed odiarsi.
Per riassumere il libro, basta vedere una meravigliosa pellicola, con il buon e bel Tom Cruise. Era un ragazzino allora. "Nato il 4 Luglio" che gli fruttò pure una candidatura all'Oscar.
Anche nella pellicola, i genitori erano così orgogliosi che questo loro bel figliolo andasse in guerra a servire la patria.....tornerà completamente devastato sia nel fisico nella mente.
La cosa più beffarda è che tutti quelli che all'inizio spingevano perchè facessero il loro dovere di soldati, poi quando cominciavano a tornare aerei su aerei carichi di cadaveri e storpi, allora all'improvviso l'opinione di tutti è che quella guerra fosse veramente una cosa sporca e che chiunque vi partecipasse fosse un assassino o un lavativo in cerca di guadagno facile.
Tutta la storia dell'uomo è scritta col sangue, non vi è un epoca che non si sia macchiata di guerre e massacri. Sin dagli albori delle prime civiltà e più si è andato avanti e più queste guerre sono diventate sempre più atroci e devastanti a causa dalle armi sempre più raffinate e performanti. Uno di questi soldati scampati al massacro dice che spesso i cadaveri li riportavano in "un secchio".....secchi e secchi di carne e ossa maciullate, mentre in patria la gente continuava a gozzovigliare e sbeffeggiare i connazionali che arrancavano con la lingua penzoloni tra le arse terre afgane, sotto 50 gradi di sole, con un nemico invisibile sempre pronto a farti saltare in aria.
Una delle scene più macabre, è quello di una bambina afgana, che vaga spettrale sul campo di battaglia, con una manina che penzola dal braccio e che sembra volersi staccare. (quando intervenivano gli eserciti, radevano al suolo interi villaggi, donne bambini compresi). E' sola non ha più neanche le lacrime per piangere ed un soldato russo nel vederla prova ad avvicinarla per aiutarla, e questa innocente comincia a scalciare e dare morsi, e al soldato sconvolto pare che quella manina senza vita si stia per staccare dal corpo.....
Spesso mettevano i mutilati tutti nello stesso reparto, senza gambe, braccia, parti di viso. Un lazzaretto infernale dal quale non volevano uscire, perchè sapevano che li in guerra erano accettati, ma una volta tornati a casa sarebbero stati vittima della stigma sociale e della repulsione de concittadini.
E poi ci sono gli ustionati, bruciati vivi, con la pelle che si stacca a pezzi, pieni di piaghe e con ancora un briciolo di vita nelle vene e che morivano tra atroci sofferenze.
Più che un libro, un biglietto di sola andata nell'orrore.
"Non è mai esistita una buona guerra né una cattiva pace". Benjamin Franklin
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Afganency
Svetlana Aleksievic raccoglie le testimonianze di una guerra che per dieci anni si è combattuta in silenzio, il silenzio di chi sapeva ma taceva, il silenzio di chi ha preferito credere in un male giusto, necessario, il silenzio di chi non poteva opporsi perché senza voce, il silenzio di chi partito per una causa è morto per caso.
"Romanzo a più voci" lo definisce la scrittrice vincitrice del Premio Nobel per la letteratura 2015, sì perché a parlare è chi quella guerra l'ha combattuta più o meno da vicino. I soldati che sono partiti in nome della Patria, le madri che hanno educato quei soldati all'obbedienza, le donne desiderose di aiutare tanto i soldati quanto i civili. Tutti reduci, quando non defunti, ingannati da una politica che ha agito in modo sotterraneo fino a quando è stato possibile.
Aleksievic denuncia gli orrori e le nefandezze che l'uomo è in grado di compiere quando non è imbrigliato dalle catene della legge. In guerra l'unica legge valida è quella della sopravvivenza e tutti si trasformano in aguzzini senza scrupoli, incapaci di distinguere la necessità dal piacere. E la morte diventa una compagna di viaggio, un'amica di cui è difficile fare a meno.
La cosa bella di questo libro è la capacità della scrittrice di farsi narratrice silenziosa, portavoce quasi invisibile del male compiuto e del male subito, tanto silenziosa da riportare perfino i commenti suscitati dalla sua denuncia.
Capisco che si sia voluto insignire l'autrice di un premio tanto prestigioso come il Nobel visto il suo continuo impegno nella lotta per i diritti civili e lo smascheramento del lato oscuro che alberga in qualsiasi uomo. Un contenuto potente che si accompagna a uno stile fluido e immediato, privo di caratterizzazioni di stile e di svolazzi narrativi, un libro scritto nel modo più semplice e chiaro possibile così che tutti possano cogliere l'orrore senza fronzoli. Uno stile forse troppo semplice e chiaro.
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Documento a più vocii
Con il titolo “Ragazzi di zinco” Svetlana Aleksievich consegna all’opinione pubblica una raccolta di testimonianze sulla guerra sovietica in Afghanistan rilasciate da reduci, da madri, parenti e amici di giovani deceduti in quell’inferno. Una verità allucinante emerge dai racconti, verità che non lascia alcun dubbio sull’inganno di cui erano stati vittime in tanti , e che diventa una condanna inesorabile per ogni guerra. È la demistificazione dell’illusorietà di ideologie fasulle, basate sulla propaganda capziosa.
Sono i reduci stessi, a volte gravemente mutilati, che descrivono gli orrori che venivano commessi, in nome del socialismo e di una patria a cui tutto era dovuto. La realtà che si presenta ai loro occhi è del tutto diversa da ciò che era stato loro descritto. Morti e carneficine, corpi straziati, costituivano le esperienze quotidiane. I feriti desideravano solo morire come estrema fuga per la libertà.
Le testimonianze più laceranti sono quelle delle madri, alle quali vengono restituite salme chiuse in bare di zinco. E il sospetto che le bare non contengano i resti dei figli si fa insistentemente strada. Qualcuno afferma che invece dei corpi si rimpatriava droga e ogni genere di mercanzia commerciabile. Perché non venisse realizzato dall’opinione pubblica il numero dei caduti, le bare venivano disseminate in cimiteri diversi senza lapidi.
Un susseguirsi di immagini raccapriccianti crea in chi legge un giusto sentimento di indignazione e di ribellione verso la vessazione a cui alcuni popoli vengono sottoposti. Si fa più forte il rifiuto della guerra. Ci si chiede se sia ancora valido quel principio di autodeterminazione dei popoli, secondo il quale ogni stato è sovrano e ha il diritto di scegliere il proprio governo. In quei paesi dove regimi repressivi e sanguinari si macchiano delle più delittuose colpe, la democrazia dovrebbe essere una conquista autonoma e indipendente. Se imposta essa non è un bene di cui si possa essere consapevoli. Eppure la follia umana sembra essere ben lungi da queste considerazioni. E le guerre dilagano sul nostro pianeta.