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Realtà virtuale
Una dimensione umana vissuta all’ interno di un piccolo gruppo di mediatori di contenuti sotttoposto a un lavoro alienante, accarezzando l’ inverosimile, sguardo imparziale e imbarazzato su migliaia di post da approvare o censurare.
La vita di Kayleigh è calpestata da condizioni lavorative inaccettabili e da una paga indecente, d’altronde è piena di debiti e ha bisogno di soldi, accetta l’impiego in una piattaforma per social media incurante della pressione psicologica e dello stress cui sottopone i propri dipendenti, indirizzata a indicatori di quantità, velocità e basso indice di errore.
Chi sopravviverebbe in una condizione siffatta, ne va della propria salute mentale, a Kayleigh non resta che cercare e coltivare relazioni sentimentali all’ interno del proprio gruppo di lavoro, la propria vita.
È noto che l’ essere umano ha la capacità di resistere e di adattarsi mentre l’ odore di marcio lentamente diminuisce, anestetizzati dalla necessità ( denaro e lavoro ) si finisce per assorbire e riproporre il vissuto.
Quanto lo sguardo incessante su abusi, violenze, razzismo, immagini scioccanti intercettate e consumate quotidianamente, può deviare la vita e le relazioni del singolo e quanto questi post ne impregnano l’ animo riproponendosi nel privato, indirizzando giudizi e generando eccessi, modificando le opinioni, inscenando un reale distopico e schizoide?
Ci sono codici e regole per postare contenuti, l’ uso di un certo linguaggio, l’ astenersi dal mostrare determinati particolari, la protezione di determinate fasce deboli, quale il limite della decenza, come regolarizzarlo e non oltrepassarlo?
Questa è una storia personale da raccontare per denunciare l’ inverosimile, con la certezza che è stata vissuta, ma la protagonista è tuttora credibile o è stata a sua volta fagocitata e a sua volta stenta a riconoscersi?
Il mondo social è un macro contenitore di micro contenuti, immagini e fotogrammi scorrono ininterrotti sotto l’ occhio acritico e anestetizzato di chi sembra godere delle sofferenze altrui, guarda e non vede, nessuna pietas ne’ coscienza critica, la sola versione possibile e’ l’ impossibile, l’ unica realtà l’ irreale.
A Kayleigh non resta che andarsene, dimettersi, denunciare cercando di conservare un briciolo di umanità, se non è troppo tardi, in un coinvolgimento e capovolgimento emotivo. Forse la salvezza sta nell’ umana presenza, la denuncia la sola possibilità di arginare l’ inverosimile.
Questo breve romanzo della scrittrice olandese Hanna Bervoets, esito di un’ accurata ricerca sulle condizioni di lavoro dei moderatori di contenuti commerciali in tutto il mondo, caratterizzato da una certa linearità e chiarezza espositiva, suo pregio e limite, ci consegna argomenti già noti, i limiti della decenza, l’ orrore sul web, sfruttamento, precariato, assenza di dignità lavorativa, alienazione, ma credo che una riflessione andrebbe estesa al concetto più esteso di “:socialità “ cui il romanzo non fa riferimento.
La deriva sociale non è più futuribile, è tra noi e dentro di noi, realtà tangibile, anime perse, anestetizzate, sofferenti, inconsapevoli, deboli, furiose, cinicamente e ciclicamente esposte al pubblico ludibrio.
La ricerca del male affonda le proprie radici nell’ origine del male medesimo, vittime e carnefici si incastrano, il tutto sotto lo sguardo indifferente dei più, tra fotogrammi irrinunciabili di velocità e dipendenza acritica.
Qualcuno potrebbe opporsi, distinguere, inorridire, astenersi, negare l’ orrore proposto e generato, i più lo ignorano, sospinti da un narcisismo eccedente e da una morbosa superficialità, esito di insipienza e noncuranza, chi fagocitato da un sistema assai poco etico, chi indirizzato a un’ inconsapevole isteria paranoica, un giuoco al massacro gestito da un reale virtuale assai poco virtuoso, tutto il resto, essenza e contenuti, ridotti, azzerati o mai pervenuti.