Quando la nostra terra toccava il cielo. Una saga tibetana
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Passato, presente, futuro…
…” Qui smetterò di interrogarmi sul mio passato e sul mio futuro, perché vedrò il mondo con occhi nuovi. Lo vedrò dalla prospettiva del santo senza nome, con una memoria infinita e una libertà senza tempo. La casa della tua infanzia. I tuoi Pascoli. I tuoi genitori che non ho mai conosciuto. Tutti i nostri antenati. Ho infine trovato il modo di udirli. Finalmente il loro messaggio è chiaro. Questa terra sopravviverà. Molto tempo dopo che le nostre luci tremule ed effimere si saranno spente, queste montagne, questi altopiani, questo vento, continueranno a esistere. E poiché è questa terra la fonte di tutto ciò che siamo, noi saremo ancora qui”…
Tibet, due sorelle ( Lahmo e Tenkyi ), una madre ( Ama ), una figlia ( Dolma ), cinquant’ anni di narrazione condivisa dai protagonisti di una regione invasa, destituita, perduta, che non possiede un esercito ma solo monaci e monache, strappati da una terra in un esilio senza nome in attesa di un ritorno improbabile, alla ricerca dei propri Dei, la migrazione in Nepal ( 1962 ) convivendo con i locali e con i propri incubi, un esercizio di sopravvivenza in un luogo non proprio.
La verità è che i cinesi (Gyami ) non possono essere sconfitti con le preghiere, ci vorrebbero pallottole e bombe, l’odio non serve senza una guida spirituale.
Canada, 2012, Dolma, innamorata della storia del Tibet e dell’ intero passato vorrebbe raggiungere gli uomini e gli Dei di una nazione che non ha conosciuto, vedere i morti di allora che riprendono vita, Lahmo da cinquant’ anni vive in Nepal rinnovando il suo permesso di rifugiata, tralasciando un passato dissolto e la sua vita in Tibet.
Tutti i tibetani nati in Nepal dopo il 1989 sono ragazzi apolidi, è come se non esistessero, una separazione non voluta ma necessaria, una vita rescissa da anni,
generazioni a distanza, chi sperando di rivedere la propria terra, chi costretto altrove, chi obbligato dalle circostanze, chi in cerca di un futuro migliore.
Figli, zii, nonni, nipoti, l’eco spirituale di una madre che per anni ha prestato la propria voce agli Dei, accomunati dal legame viscerale con una terra di incantesimi, di uomini, di spiriti, di voci, di valli, di laghi, di montagne e il dono inestimabile della loro conoscenza.
Ad accompagnare i protagonisti una statuetta ( Ka ) di argilla di un santo senza nome capace di resistere agli anni e a cotanta distruzione, che sembra condividere il destino degli uomini, inseguirli, una statuetta perduta, sottratta, venduta, ritrovata, che unisce più generazioni in un cammino sofferto, una identità sradicata dagli invasori.
Anni a desiderare il ritorno nella terra d’ origine, la condizione di libertà all’ origine del cambiamento, molti gli interrogativi a contorno.
Che cosa significa essere scacciati dalla propria casa senza potervi fare ritorno nel ricordo di una felicità accarezzata per anni, viceversa essere nati altrove, in un altro continente, vissuti di storia e di racconti per arrivare un giorno in un luogo raccontato e immaginato che non si è mai visto?
Che cosa significa essere dimenticati dal mondo, non contare nulla, un popolo apprezzato solo per i suoi oggetti e per la sua filosofia, non per le persone e per le loro vite, che cosa significa essere profughi, rifugiati, con un invasore che si è impadronito della propria terra, ha ucciso la propria gente, in possesso di documenti considerati illegittimi dalla maggior parte delle nazioni?
La memoria condivisa e le storie alimentano il senso di appartenenza, il respiro di un sentimento comune avvalorato da uno spirito di affinità, anime disperse in altri corpi proseguono lo stesso racconto.
E allora la ricerca della statuetta rincorre un’ identità ingiustamente sottratta, radici che sono il solo senso possibile, una terra che esprime l’essenza di un popolo, la forza della memoria in una libertà atemporale. Questo luogo racchiude le voci infinite della memoria, in lui tutto si conserva e si mantiene, il suo popolo in primis, un luogo che rimane il solo immortale e imprescindibile archetipo.
….”Di fronte a me c’è un paese che mi è precluso. Alle mie spalle una realtà alla quale non appartengo. Avanti o indietro nessun cammino ha senso. Perciò devo rimanere sospesa tra due universi”….
Un romanzo quantomai necessario per non dimenticare, per rievocare un forte senso di appartenenza nella condivisione ancestrale di una terra che non c’è, un popolo vessato e dimenticato nella propria essenza più vera. Che cosa oltre la memoria, la poesia, la spiritualità, l’arte, il destino degli uomini, la voce dei loro Dei, un canto sospeso nella tragedia di un popolo apolide ma ancora così profondamente radicato .
Tra cruda realtà e sogni infranti, desideri vividi e poesia dell’ anima, l’ infinita bellezza custodita negli occhi della memoria e nei suoi racconti, la purezza di giorni che non torneranno, sospesi tra illusione e speranza in una terra di mezzo che preclude qualsiasi accesso alla propria realizzazione più vera.