Qualcuno volò sul nido del cuculo
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 5
Storia originale ed avvincente
Finito stamattina davanti alla tazza di tè a colazione. Un libro davvero splendido che consiglio a tutti. Io non ho visto il film, per cui non sono in grado di fare confronti, se non quello riguardante il punto di vista: nel film non c’è una voce narrante, mentre nel libro quella di uno dei pazienti dell’istituto psichiatrico, Capo Bromden, un pellerossa, racconta la storia. L’ho trovata originale, soprattutto per L’ambientazione e la tematica trattata. La storia è avvincente, va dal drammatico all’esilarante, mi ha trascinata in una lettura piacevole e interessante. Indimenticabile il protagonista McMurphy, un uomo di 35 anni , rosso di capelli, che col suo charme, il suo modo di fare, spiccio, diretto e talvolta furbo, mette in crisi la direzione dell’istituto psichiatrico incarnata dalla Grande Infermiera, una anziana donna che da anni mette in riga imalati, quali burattini incapaci. Interessante e indimenticabile il colto e saggio Hardy, un alito paziente dell’istituto dispensatore di saggezza e riflessioni importanti. Consigliato vivamente
Indicazioni utili
" Divampino le libido "
La genesi di un autentico capolavoro come “ Qualcuno volò sul nido del cuculo “ non poteva non essere alquanto singolare.
Negli anni ’50 Ken Kesey è un giovane e talentuoso scrittore affascinato dagli slogan rivoluzionari della Beat Generation. Dedito all’ uso di sostanze stupefacenti, si fa assumere come inserviente nel reparto psichiatrico di un ospedale e stando a stretto contatto con i pazienti si convince del fatto che non siano affatto pazzi ma semplicemente rifiutati dalla massa, superficialmente dichiarati non idonei alle rigide imposizioni della società.
E proprio un ospedale psichiatrico è il luogo dove sono ambientate le vicende di questo intramontabile romanzo datato 1962.
In particolare ci troviamo catapultati nella corsia dei Cronici, ovvero coloro che non nutrono sufficienti speranze di guarigione, e dei volontari, cioè pazienti fragili che si ritengono non idonei a condurre una normale esistenza al di fuori delle pareti della struttura.
Il narratore è Bromden, un gigantesco pellerossa che da anni si finge sordo e muto e che accompagna il lettore tra realtà e visioni notturne causate dalle pillole che tutti sono costretti a ingurgitare prima di andare a dormire.
La direzione del reparto è affidata a Miss Ratched, fredda infermiera che dietro l’ apparenza forzatamente cordiale e rilassata nasconde una personalità crudele e tirannica, maniaca del controllo e della routine.
E poi arriva lui. Il boscaiolo impettito con i pollici infilati nelle tasche e i rinforzi di ferro sotto le scarpe. Lo spavaldo giocatore d’ azzardo. Il rissoso irlandese dai capelli rossi. Randle McMurphy.
Giunto all’ ospedale per sfuggire alla galera e ai lavori correzionali, l’ energico e provocatore ultimo arrivato ci mette poco a creare un piacevole scompiglio all’ interno del reparto con richieste e proteste non convenzionali, audaci scommesse, giochi d’ azzardo e mirabolanti racconti di donne innamorate, risse nei bar di periferia e bevute interminabili.
Tutto questo con il solo e dichiarato obiettivo di risvegliare dal torpore i compagni di corsia e di sfiancare Miss Ratched, da subito individuata da McMurphy come il simbolo della tirannia ospedaliera.
Il testo è un’ altalena di emozioni tra situazioni divertenti e riflessioni profonde volte al graduale recupero di identità private da troppo tempo di orgoglio e leggerezza.
Soltanto grazie alle gesta del rosso irlandese gli indimenticabili e originali pazienti riscoprono il potere terapeutico di una sana risata, di quanti benefici sono in grado di apportare anche solo un pizzico di coraggio e spavalderia.
Impareranno che non è mai troppo tardi affinchè anche persone stravaganti, incomprese, emarginate e destinate alla sconfitta come loro possano definirsi libere.
“ Si deve ridere delle cose dalle quali si è feriti per mantenere l’ equilibrio. Non si può essere realmente forti finchè non si vede l’ aspetto divertente delle cose “.
“ Qualcuno volò sul nido del cuculo “ è un romanzo coraggioso. Impossibile non notare le critiche all’ eccessivo uso di elettroshock e lobotomia tipico di quegli anni. “ A noi fanno ingurgitare pillole per impedire gli attacchi, e ad altri danno la scossa per farglieli venire”.
Così come forte nella società descritta da Kesey è il razzismo nei confronti di un certo tipo di individui, siano essi i pazienti o i pellerossa come Bromden.
Mi è occorso davvero poco tempo per capire che ero di fronte ad uno struggente capolavoro, destinato ad entrare nella testa e sotto la pelle di qualsiasi lettore. Al pari del bellissimo omonimo film che ne è stato tratto, girato da Milos Forman e con uno strepitoso Jack Nicholson nei panni dell’ inimitabile Randle McMurphy.
Indicazioni utili
Il Gigante Invisibile.
Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo – Ken Kesey, 1962
SPOILER (abbastanza lieve)
La scienza ci insegna che non c'è situazione patologica, a livello mentale, che non sia suscettibile di un miglioramento, pur minimo. Kesey, invece, ci riporta l'eterna lezione di Terenzio:
"Homo sum, humani nihil a me alienum puto." (Sono un uomo. Niente di umano mi è estraneo).
Documentandomi un po' per scrivere questa recensione, ho scoperto che probabilmente siamo rimasti in due, nell'emisfero occidentale a non aver visto "Qualcuno volò sul nido del cuculo". Io e l'autore del libro, Ken Kesey.
Il tutto era per dire che leggo McMurphy e non vedo la faccia di Jack Nicholson.
E forse è stato un bene.
(Nel frattempo ho provveduto. Il film è molto bello e Nicholson è perfetto, ma rispetto al libro perde a peculiarità del punto di vista del narratore, che, a mio avviso, è la genialità del libro).
Il romanzo è ambientato in un ospedale psichiatrico, vi sono pazienti "acuti" e "cronici", e un nuovo arrivo, Patrick McMurphy, che – forse – non è pazzo davvero, ma finge di esserlo per scontare una condanna più lieve. Nell'ospedale ci sono medici, infermiere ed inservienti, ma impera e domina la capoinfermiera Ratched.
L'esperienza quotidiana ci fa spesso incocciare in anonimi "cattivi" (sempre la solita "banalità del male" della Harendt).
Il "tipo" miss Ratched credo che sia uno dei più comuni e pervicaci.
"Ha la faccia sorridente, compassionevole, paziente e al contempo disgustata… un'espressione dovuta al tirocinio." È sorprendentemente vero.
La prima cosa che ti dicono, al tirocinio, è: non guardare in faccia le persone, altrimenti poi ti chiedono cose.
Poi sta a te decidere se dare retta o meno.
Senza grande sforzo mi vengono in mente una dozzina di miss Ratched.
Probabilmente c'è un qualche involontario (?) meccanismo sociale che addestra e sforna a ciclo continuo questi "cattivi". Con poche qualità, scarsa intelligenza, nessuna fantasia, nessuna eccellenza, e un potere piccolo piccolo (bidelli, uscieri, impiegati delle poste, dell'anagrafe, segretari…)
Avrei anche qualche remora linguistica a definirli "cattivi".
Perché i cattivi dovrebbero essere Moriarty, il Cardinale Richelieu, Mordred e Morgana, Jocker, Lecter, Loki, Lucifero, insomma… personaggi intelligenti, scaltri ed astuti. I cattivi tipo la Ratched, secondo me, stanno meglio nella categoria "idioti"; che è immensamente più pericolosa di quella dei cattivi.
Sono imprevedibili perché non hanno una logica.
Per dirne una.
Sono tanti, per dirne un'altra.
Anyway.
Di Miss Ratched ci cale assai poco, perché altrimenti questo sarebbe un banale librotto già visto e già letto in cui ci sono un gruppo di infelici, vessati da un idiota sadico, che ottiene infine la "libertà".
Invece non è così. Il paragone più calzante è forse con "L'Attimo Fuggente" di Peter Weir, dove abbiamo un potere ottuso (rettore/Ratched), un elemento esterno che rompe l'equilibrio (Keating/McMurphy), l'elemento più fragile (Neil/Billy,Cheswick) che si suicida, quello più forte che riesce in qualche modo a trovare la forza di cambiare (Nuanda/Harding) e quello apparentemente più debole e da cui meno te lo aspetti (Tod/ Grande Capo Bromden) che davvero recepisce l'insegnamento e "svolta".
Già visto?
No, perché qui siamo in un manicomio e la voce narrante della storia non è l'elemento esterno, ma una voce interna, piccola e a lungo completamente muta, quella di "Grande Capo" Bromden.
Il protagonista che emerge non è McMurphy, ma Bromden.
Nativo americano, forte e colossale, è una creatura mite e spaventata; da anni in manicomio, si finge sordo e muto, e viene ribattezzato "ramazza" per l'abitudine degli inservienti a dargli una scopa in mano e lasciare che lui svolga il loro lavoro.
Un po' per caso e un po' per desiderio sto incontrando molti tentativi di narrazione attraverso personaggi con malattia o ritardo mentale o che in qualche modo e per cause diverse vivono una percezione alterata della realtà (viene anche citato, in qualche modo il Ben di Faulkner, proprio attraverso miss Ratched "la nostra cara capoinfermiera è una delle poche che hanno il coraggio di difendere la grande e antica tradizione faulkneriana nella terapia dei rifiuti dell'equilibrio mentale: la Bruciatura del Cervello").
Il tema è complesso e rendere in prosa un malato di mente è una sfida che si può approcciare da molteplici punti di vista e con innumerevoli stili.
Dove Faulkner spezzava e ripeteva, Kesey sceglie di unire e di dare un filo continuo alla narrazione del suo personaggio. Di dargli uno stile articolato e fluente. Logico e preciso.
Senza mai fornire, però, il punto di vista "reale" ed oggettivo.
Siamo noi "lettore" a dover capire che cosa sia realtà e cosa allucinazione; cosa mania e cosa concretezza. Se la nebbia che Bromden vede nei corridoi e i pavimenti che si inclinano siano incubo, delirio o realtà, se ci siano davvero cavi nei muri, microfoni sotto la pelle e similia.
La narrazione di Bromden ci porta avanti ed indietro fra reale ed immaginario e fra presente e passato, attraverso le tappe della sua vita che lo hanno portato da una riserva indiana al manicomio.
Emblematico l'episodio in cui "i bianchi" si comportano come se lui, bambino, non esistesse, non parlasse, non fosse lì davanti a loro. Analogamente viene privato anche del suo nome, che non viene quasi mai usato dal personale dell'ospedale, sostituito da "Ramazza".
E privare qualcuno del suo nome non è certo una tecnica di annientamento originale.
Fin da giovane, il nostro protagonista capisce che l'unico modo per salvarsi è diventare invisibile. E scopre presto che essere invisibile, nonostante le sue dimensioni, gli riesce facile.
Finisce all'ospedale psichiatrico, luogo perfetto per l'invisibilità, e finge di essere sordo e muto e viene lasciato in pace.
Per anni.
L'invisibilità è comoda sia per chi sparisce, che per chi non vede.
L'arrivo di McMurphy turba questo equilibrio, perché, di fatto, costringe Bromden, ad uscire dal suo isolamento e dalla sua invisibilità.
E gli altri a "vederlo".
Le riflessioni del nostro narratore, a questo punto, sono molto lucide. Teme che schierandosi dalla parte di McMurphy, gli altri (e la "Cricca") capiranno che in realtà sente e può parlare, nonostante questo decide di farlo.
Decide di farlo (e secondo me è la parte più importante e toccante del libro) perché McMurphy, che non è un eroe, non è un santo e neppure un filantropo, gli restituisce (non so quanto volontariamente) una parvenza di umanità. E soprattutto, gli fa vedere che può esistere qualcosa di più e di meglio che essere invisibile.
La chiave è qui.
Non è McMurphy, non è Miss Ratched.
Bromden si delinea a poco a poco, emergendo dalla nebbia e dal silenzio.
Alza una mano.
Si alza, di notte, per andare a guardare un cane, fuori dalla finestra.
Risponde a McMurphy.
Parla.
E per ricambiare un suo provvidenziale voto, McMurphy gli regala qualcosa di inestimabile:
" Notai vagamente che stavo cominciando a intravedere qualcosa di piacevole nella vita intorno a me. McMurphy mi aveva fatto da maestro."
Una giornata di all'aperto, in barca. Tornare "a casa" stanchi.
E poi, ancora di più, quasi alla fine.
"Mentre seguivo gli altri, mi accadde di pensare, con una sorta di improvviso stupore, che ero ubriaco, effettivamente ubriaco, ubriaco al punto da esultare, da sorridere e barcollare per la prima volta da quando avevo fatto il soldato, ubriaco insieme a una mezza dozzina d'altri amici e a un paio di ragazze - proprio nella corsia della Grande Infermiera! Bevuto, correvo e ridevo e facevo baldoria con donne al centro della più potente fortezza della Cricca! Ripensai a quella notte, a quello che avevamo fatto, e mi fu quasi impossibile crederlo. Dovetti seguitare a rammentare a me stesso che era accaduto davvero, che lo avevamo fatto accadere. Avevamo appena aperto una finestra e fatto entrare le ragazze come si fa entrare aria pura. Forse, tutto sommato, la Cricca non era poi onnipotente. Che cosa avrebbe potuto impedirci di ricominciare daccapo, dopo aver constatato che era possibile? O impedirci di fare altre cose che avessimo voluto? Mi sentii così felice, pensando a questo, che lanciai un urlo, mi precipitai su McMurphy e la ragazza Sandy, i quali mi stavano precedendo, li sollevai entrambi di peso, uno in ciascun braccio, e corsi fino alla sala comune con loro due che strillavano e scalciavano come bimbetti. Fino a questo punto ero felice."
Il punto più commovente è che Bromden, qui, non parla più di "acuti" o "cronici" come ha fatto fino a quel momento. Non parla di pazienti, parla di "amici". Amici con cui a realizzato delle cose.
Belle.
Più belle che essere invisibile.
Certo potremmo dire che non è normale, prendere sottobraccio un uomo e una donna e portarli in giro sgambettanti come bambini. Però forse essere uscito dalla nebbia ed essere tornato visibile costringe ad azioni un tantino "anormali". Riappropriatosi dei propri contorni, della propria umanità e di un linguaggio in cui trovano posto la lealtà, l'amicizia e la libertà, Bromden si avvia ad un finale molto potente in cui dovrà dare l'addio al suo "maestro" nel modo più drammatico e si conquisterà la libertà vera nel modo più eroico, superando lo stesso maestro.
Da leggere.
Indicazioni utili
Top 1000 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Una storia che emoziona in ogni sua forma
Celebre principalmente nella versione cinematografica di Milos Forman, il primo libro di Ken Kesey si propone come una delle pagine più toccanti ed intense della narrativa americana del Novecento.Vero classico contemporaneo, la storia narrata in prima persona dal paziente psichiatrico Chief Bromden dipinge in dense pennellate di emozione l'arrivo nel grigio mondo di un manicomio del chiassoso e corpulento McMurphy, e lo scontro frontale tra questo paziente atipico e il sistema che regna nella Ward. Le paure e le gioie che caratterizzano le vicende descritte si snodano in un complesso coacervo di relazioni e dialoghi dove la condizione umana viene spinta al limite per essere riscoperta e celebrata. La prosa è estremamente emotiva, a tratti rabbiosa, commovente, sincera al punto da lasciare che un lieve velo di follia avvolga la narrazione come una nebbia, che via via si dirada fino alla lucida drammaticità del finale.
Indicazioni utili
Top 500 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
One flew over the cuckoo's nest
Il titolo originale americano è "One flew over the cuckoo's nest" ed il termine "cuckoo" può essere tradotto sia come cuculo, sia come "pazzo", modificando l'intero titolo del libro in "qualcuno diventò pazzo". Ed è di una follia che narra questo romanzo. Della follia crudele di Miss Ratched, la "Grande Infermiera" di un reparto di un ospedale psichiatrico nell'Oregon, un ospedale in cui convivono malati inguaribili e malati in via di guarigione, personaggi sottomessi dal mondo, dai genitori (l'esempio più calzante è il più giovane dei "malati", Billy Bibit, continuamente minacciato dalla pressione della Grande Infermiera di svelare ogni sua possibile ribellione alla madre) e soprattutto, da Miss Ratched, la quale instaura un regime di terrore che soltanto l'arrivo di un iracondo irlandese, Randle Patrick McMurphy, potrà incrinare. Mcmurphy dovrà fare i conti con il forzato ambiente bigotto e ostentatamente conformista che l'infermiera è riuscita a creare, plagiando le già deboli menti dei suoi "pazienti" che altro non sono se non "diversi" che non hanno retto allo scontro con il sistema. Un sistema che Mcmurphy tenta di mettere duramente alla prova con la sua umanità, uscendone sconfitto, ma aiutando a riscattare uno dei "pazienti", Capo Bromden, un colosso indiano di colore, che finge di essere ciò che non è per paura della società fuori dalle mura dell'ospedale. La presa di coscienza di Bromden e di altri "pazienti" è la grande prova del fallimento del tentativo di omologazione della Grande Infermiera.
Pubblicato nel 1962, è un romanzo che smuove gli animi, che affronta le tematiche più disparate, dal trattamento discutibile dei ricoverati negli ospedali psichiatrici alla lotta al conformismo imperante, di ieri come di oggi.
Da non perdere è anche la trasposizione cinematografica del regista ceco Miloš Forman, che vede protagonista nei panni di Randle Patrick McMurphy un indimenticabile Jack Nicholson.