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Poiché ero carne Poiché ero carne

Poiché ero carne

Letteratura straniera

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Edward Dahlberg è stato un irriducibile eccentrico della letteratura. Fin dalla sua giovinezza in America, passata fra avventure di vagabondo e il meglio della letteratura di quegli anni (D.H. Lawrence fu il suo padrino letterario), aveva qualcosa di ispido e brado rispetto ai suoi amici e nemici. Poi, col tempo, apparve il suo segreto: Dahlberg è l’unico americano del secolo che abbia immerso nella sua prosa l’incanto dei grandi classici, greci e latini, riscoperti come da un barbaro. Il risultato è sorprendente: così la Kansas City dove, in questo libro, che è il suo più bello, la madre dell’autore tira avanti una vita difficile facendo la barbiera e la callista, questa «città selvaggia, concupiscente, dove quasi nessuno pensa alla morte finché non è vecchio o malato», raggiunge nelle sue parole la dimensione di un epos miserabile e solenne.



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Poiché ero carne 2015-12-13 01:07:54 Visitatore
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Visitatore Opinione inserita da    13 Dicembre, 2015
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Un romanzo americano in stile "celiniano"

Ci sono libri che vanno letti, contengono tutto ciò che necessita per essere considerati capolavori: stile, storia, personaggi, messaggio e armonia nel suo insieme.
Questo romanzo li contiene tutti, non è un libro semplice ne' scorrevole ma è assolutamente bello. Lo stile eccentrico e unico di Dahlberg ne fanno uno scrittore non facilmente riconducibile al solo genere americano, sviluppa il racconto utilizzando citazioni classiche e bibliche che ti portano ogni tre parole a correre su Wiki per capire di cosa sta parlando, citazione filosofiche e poetiche sulla natura dell'essere umano, niente in questo romanzo è scontato o liscio, niente.
Narra la sua storia, o per essere più chiari, narra la storia di sua madre e di conseguenza la sua. Tutto è legame, tutto è famiglia e nessun legame è forte come quello tra genitori e figli.
Una prosa stupenda e meravigliosa per dire che noi siamo schiavi delle nostre passioni carnali, per raccontare che l'uomo, per quanto si infiorettano le cose, rimane un groviglio di emozioni che controlla a stento e men che meno le pulsioni. La sua onestà intellettuale incanta e ridimensiona a livello umano il suo stile eccezionale.
Il finale mi ha aggrovigliato lo stomaco e mi sono sentita felice di avere letto un autore di questa caratura. Unire la capacità di scrivere in maniera superlativa alla lucidità di non sapere che altro non siamo che "carne" ne fanno il miglior autore letto quest'anno.
Piccolo stralcio del libro: " Il fatto è che la mia sensibilità esisteva soltanto per me, e per nessun altro. Pensavo forse che la perversità fosse sensibilità, pensavo forse che la sensibilità implicasse una pur minima compassione di fronte a quelli che soffrono? Il signore indurì d'orgoglio il collo di Faraone, ma io non ero il Faraone dell'antico Egitto, ero soltanto il figlio di una donna-barbiera, la quale mi aveva fornito la scodella da saponata che poi avrei dovuto tradurre in elmetto di Mambrino. Mia madre mi aveva dato quella disperazione coraggiosa senza di cui non possiamo trasformare gli oggetti intorno a noi in pensieri ideali. Se non avessi ricevuto una porzione della sua forza, sarei perito chissà da quanto tempo, o sarei incorso nel triste errore dell'uomo comune, che è certo di essere vivo soltanto perché mangia, defeca e dorme. Non siamo meno morti di Lazzaro, e portiamo le nostre credenze mediocri come Lazzaro portava il suo sudario"

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