Piccoli colpi di fortuna
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Recensione della Redazione QLibri
Il "perché" di una vita.
Recensire “Piccoli colpi di fortuna” di Claudia Piñeiro, una delle scrittrici più importanti della letteratura argentina e latino americana contemporanea, è davvero complicato.
E' complicato perché non credo di essere capace, in poche righe, di esprimere tutte le emozioni che un racconto così intenso riesce a suscitare nel lettore.
E' complicato perché questo libro, davvero ben scritto (penso che leggerlo in lingua spagnola debba essere ancora più emozionante), è molto scorrevole (sono circa 200 pagine) ma lascia un segno indelebile nel lettore.
E' complicato perché questo romanzo, una biografia scritta in prima persona? un diario di viaggio? una confessione?, costringe il lettore a pensare, a riflettere su temi delicati, drammatici, con cui noi tutti dobbiamo confrontarci almeno una volta nella nostra vita.
Il dolore.
Questo è, forse, il tema centrale dell'intero racconto.
Il dolore di una bambina, la piccola Marilé, che osserva impotente la propria madre consumarsi in un male oscuro e il padre affogare nel disperato tentativo di mantenere la famiglia a galla.
Il dolore di una donna, la moglie Marilé, costretta in una vita falsa, ipocrita, che, a causa di un terribile evento, si rivela in tutta la sua atrocità.
Il dolore di una madre che, per il bene del figlio, deve prendere la decisione più difficile della sua vita.
Vent'anni è il tempo che Marilé impiega per comprendere le sue colpe e le sue responsabilità ma anche i suoi pregi e le sue virtù. In vent'anni Marilé riesce davvero a crescere come persona, riuscendo ad affrontare con incredibile e fredda lucidità temi come la famiglia, il destino, la maternità: “Perché tante donne considerano la maternità come qualcosa di scontato? Perché crediamo che la maternità arrivi con la naturalezza – e l'irreversibilità – con cui arrivano l'autunno o la primavera? […] Troppe domande in solitudine. La maternità o si prende in modo del tutto naturale e ineluttabile o genera troppe domande”.
Il racconto intrappola il lettore in un crescendo di suspence: chi è il “lui” a cui Marilé si riferisce nelle prime pagine? Che ruolo hanno un treno e un passaggio a livello nella vita di questa donna?
Claudia Piñeiro cattura con il suo stile semplice, commovente, mai banale.
Il lettore vuole capire il perché di un evento, vuole capire il perché di una determinata azione.
Tuttavia alcune domande potranno restare aperte: come spesso capita nella vita vera, molte cose accadono senza alcun perché.
Quindi, che dire se non buona lettura? :)
“Sono tornata in Argentina. Dopo vent'anni. Tuttavia, tra i miei piedi e la terra c'è ancora una certa distanza, per ora il suolo che tocco è quello dell'aereo. Quand'è che si torna davvero? Quand'è che si può dire di aver nuovamente calpestato il suolo dove si è nati? Cos'è in realtà il ritorno? […] Ma di lì a poco chiedo all'autista di fermarsi sul ciglio della strada. 'Non si sente bene?' mi chiede. 'Sì,' mento. Scendo dall'auto, faccio qualche passo, mi tolgo le scarpe, chiudo di nuovo gli occhi. I piedi scalzi sul prato. Li muovo da ferma, e poi da una parte e dall'altra senza voler andare in nessuna direzione, solo per sentire – non guardare ma sentire – la gramigna che punge sotto le piante dei piedi. Riapro gli occhi, finalmente. Adesso sì. Ecco, sono tornata.”
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FUGA Y MISTERIO
Per essere felici bisogna avere anche fortuna. Ma molte persone non sono fatte per la felicità e sembrano nate per vivere in un perenne stato di malessere. Per loro non è la fortuna che conta, non sarebbero nemmeno capaci di approfittarne, non la vedrebbero passare o si girerebbero dall’altra parte. A rendere più accettabile e più dolce la vita di queste persone sono sufficienti “piccoli colpi di fortuna”, quelle lievi increspature del destino che pur non potendo risarcirle dei colpi subiti, possono però deviare la loro traiettoria di perdenti e offrire un po’ di consolazione, di pace, di lenta scoperta di molti “perché”.
Non si può dire nulla della trama di questo bellissimo romanzo senza incorrere negli spoiler. Claudia Piñeiro ha scritto una storia in cui sensibilità e mistero si fondono perfettamente e sarebbe un peccato rovinare la suspence che la scrittrice usa per accompagnare il lettore nel viaggio alla scoperta dei sentimenti e delle emozioni molto intime, molto femminili, della protagonista.
Posso solo darvi degli indizi e assicurarvi che prenderete in simpatia “la donna danneggiata”, apprezzerete “la gentilezza degli estranei”, volerete tra Boston e Buenos Aires e guarderete con molta apprensione i treni. Inoltre, ogni libro parla di altri libri. Questo è pieno di citazioni, di rimandi, di probabili fonti di ispirazione per l’autrice e di altrettanti inviti alla lettura: Le bambine restano (Alice Munro), Un tram chiamato Desiderio , Una donna spezzata , Frammenti di un discorso amoroso, Wakefield (N. Hawthorne).
Pur non avendo ancora letto nulla della Munro, giunto a pagina 162 di questo romanzo ero pronto a scommettere che l’idea,lo spunto iniziale fosse stato dato alla Piñeiro dal racconto del premio Nobel 2013, cui è anche dedicata l’epigrafe iniziale: “ Questo dolore acuto. Diventerà cronico. Cronico vuol dire che perdurerà anche se forse non sarà costante. Può anche voler dire che non ne morirai. Non te ne libererai ma non ti ucciderà. Non lo avvertirai in ogni istante però non passerà molto tempo prima che torni a farti visita. E imparerai alcuni trucchi per mitigarlo o tenerlo a bada, cercando di non distruggere ciò che tanto dolore ti è costato”.
Ringrazio molto Anna Maria Balzano che mi ha consigliato questo libro. I libri parlano sempre di altri libri, ma in genere prestiamo più ascolto ai consigli delle persone intelligenti cui vogliamo bene.
“E sorrido rendendomi conto che nonostante sia morto continua ad accompagnarmi, a fare le cose per me, non dall’aldilà in cui per altro non credo, ma cose che ha lasciato già fatte qui, in questo mondo, prima di andarsene, e riesco a vederle soltanto adesso”.
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Fortuna, fors, fatum, sors.
Straordinaria complessità nel titolo del bellissimo romanzo di Claudia Pineiro “Piccoli colpi di fortuna”.
Il concetto stesso di “fortuna”, così come era inteso nella lingua latina, è legato ai termini “fors”, “fatum” e “sors” che in sé possono contenere una forte connotazione negativa.
Tutta la vita della protagonista è infatti condizionata da scelte di cui è parzialmente responsabile, si, ma il cui disgraziato esito è determinato dal caso, da un caso malauguratamente sfortunato. Un interrogativo si fa impellente su quanto la nostra vita sia condizionata dal libero arbitrio o quanto piuttosto da un fato prestabilito.
L’infelicità di Marilè è accentuata da un senso di colpa schiacciante, che la porta ad abbandonare il figlio per restituire a lui quel posto che gli spetta nella comunità di cui è parte e a se stessa la dignità di madre.
Un racconto sull’amore, la perdita, l’assenza, sulla solitudine e sul desiderio e la necessità del riscatto. Un racconto che si interroga e ci interroga su quanto sia giusto ritirarsi nell’ombra di un mondo sconosciuto o piuttosto combattere per non lasciare alcunché di incompreso e di incomprensibile. La Pineiro descrive il dolore nei suoi più intimi aspetti, la disperazione della solitudine e offre nella letteratura una via di scampo. Saranno i testi della Munro, di Tennessee Williams, della de Beauvoir a offrire qualche sollievo a Marilè. La letteratura è lì a rappresentare il dolore che agita l’animo umano, è lì a colmare sia pure in parte quel vuoto che crea l’assenza di chi si ama.
È nelle parole di Alice Munro che Marilè riconosce il proprio strazio e fa sua la sensibilità della scrittrice: “Questo dolore acuto. Diventerà cronico. Cronico vuol dire che perdurerà anche se forse non sarà costante. Può anche voler dire che non ne morirai. Non te ne libererai ma non ti ucciderà. Non lo avvertirai in ogni istante però non passerà molto tempo prima che torni a farti visita. E imparerai alcuni trucchi per mitigarlo o tenerlo a bada, cercando di non distruggere ciò che tanto dolore ti è costato.” (Le bambine restano)
La Pineiro sceglie di scrivere questo romanzo in prima persona: una scelta assai appropriata perché è la forma più idonea ad esprimere sentimenti così intimi, considerazioni così personali. Non un romanzo autobiografico, ma la biografia della protagonista, Marilè, che si racconta.
Un’opera che pur nella sua straziante narrazione offre uno spiraglio di speranza ad una vita che appare definitivamente distrutta di ricostruire le basi per un breve futuro di serenità.