Piccole cose da nulla
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Bill
«Questa volta, appena riuscì a sbloccare il lucchetto, ebbe la sensazione che dentro ci fosse qualcosa di vivo, ma nelle carbonaie ne aveva trovati tanti di cani che non avevano un posto decente dove sdraiarsi a dormire.»
“Piccole cose da nulla” è un lungo racconto a firma di Claire Keegan ambientato nei giorni di Natale. È un libro che ha l’obiettivo di portare il lettore a riflettere sul tempo che è stato, sull’immobilità del suo scorrere, sullo scandire di questo. Per buona parte, infatti, l’opera sembra non proseguire, sembra non prendere forma, sembra essere immobile e cristallizzata in una routine senza interruzioni.
Protagonista di queste pagine è Bill Furlong, gran lavoratore, che consegna con il camion legna, torba e carbone nelle case. È un duro lavoro, il suo, ma lo svolge con cura e dovizia, tra ansia e pensieri e conti che devono tornare anche se non tornano mai. Ha cinque figlie, Bill, deve pensare al loro futuro.
Siamo in Irlanda, è il1985. Tante sono le cose ad essere state precluse. Il passato è fatto di privazioni difficili da dimenticare, lui non ha mai conosciuto i genitori, è stato cresciuto da Wilson. La madre è scomparsa prematuramente, il padre non è mai stato conosciuto.
Il Natale è per Bill sinonimo di ricorrenza che si perpetra fin troppo senza novità, è come se le cose si fossero perpetrate senza ragione, senza un vero essere. Forse proprio a causa della mancanza di quei genitori mai avuti, mai incontrati, mai vissuti.
«Lei guardò la finestra, fece un respiro e cominciò a piangere, come fanno quelli che non sono abituati alla gentilezza quando se la trovano di fronte per la prima volta, o dopo molto tempo.»
Sarà quasi per caso che Bill verrà a scoprire di un mondo di cui fino a quel momento viveva di sentito dire. O meglio, viveva di quella omertà che spesso porta a non vedere. Si troverà presso un istituto frequentato da ragazze e gestito da suore, tante le crudeltà e le voci che girano su questo. Assisterà a un qualcosa che metterà in subbuglio il suo quieto vivere e a quel punto dovrà scegliere cosa fare. Continuare a vivere nell’omertà o fare qualcosa? Rispondere al grido d’aiuto di una donna anche se le conseguenze saranno gravi o tacere?
«Mentre proseguivano e incontravano altre persone che conosceva, si ritrovò a domandarsi che senso aveva essere vivi se non ci si aiutava l’un l’altro. Era possibile tirare avanti per anni, decenni, una vita intera senza avere per una volta il coraggio di andare contro le cose com’erano e continuare a dirsi cristiani, a guardarsi allo specchio?»
Quella proposta da Claire Keegan è una favola dai toni natalizi ma che al suo interno racchiude una denuncia, la denuncia verso le Magdalene Laundry di cui l’ultima in Irlanda è stata chiusa solo nel 1996. Non è dato conoscere il numero di donne, ragazze e bambine che vi siano state incarcerate e nemmeno del numero effettivo di bambini e neonati che vi sono passati o morti. La maggior parte degli atti relativi alle lavanderie sono andati persi, sono inaccessibili o, ancora, sono stati distrutti. Tante le atrocità e le ingiustizie commesse in questi istituti dubbi.
Una fiaba leggera, che concede speranza, che offre un barlume di luce davanti a quel che è un mondo fatto di atrocità. I temi trattati sono già noti e conosciuti, affrontati con tocco delicato ma nulla apportano di nuovo. Forse troppo breve e con una narrazione evocativa ma che non riesce a far breccia pienamente nel lettore. La sensazione è quella del deja-vu in buona parte privo di mordente. Il libro ha chiaramente un suo significato e contenuto ma non riesce a convincere pienamente.
«Possibile che la parte migliore di lui stesse infine venendo alla superficie, in tutto il suo sfolgorane splendore? Una qualche parte di lui, comunque la si potesse chiamare – ammesso che ci fosse un nome – stava impazzendo, lo sapeva. Il fatto era che l’avrebbe pagata, ma non una volta in tutta la sua vita così insignificante aveva provato una felicità paragonabile a questa, nemmeno quando gli avevano messo tra le braccia le sue figlie neonate e aveva sentito il loro pianto sano, ostinato.»
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Meno ipocrisia e più Bill Furlong!
Piccolo libro, suggestivo nell'ambientazione irlandese (1985) invernale e natalizia, e apparentemente "da nulla".
Potrebbe sembrare un racconto in cui non succede assolutamente niente: famiglie numerose, gente che lavora duramente per mettere il pane a tavola, il convento, le scuole "perbene", la messa la domenica mattina...
Eppure proprio qui, negli spazi tra un rigo e l'altro, si cela una pagina di cronaca irlandese vergognosa: le "Magdalene".
Per chi non lo sapesse, le "Magdalene" erano case/prigioni (travestite da vere e proprie lavanderie) gestite da suore e preti (ma va?!?) dove venivano rinchiuse le ragazze che si erano macchiate di azioni immorali: gravidanze fuori dal matrimonio, stupri (ebbene sì, subire uno stupro nella cattolicissima Irlanda era una cosa disdicevole per la vittima!!!), ma anche la semplice "esuberanza" di una ragazza era un buon motivo per rieducarla in questi posti di violenza e umiliazioni.
Tutti erano a conoscenza della loro esistenza, ma non di cosa avveniva al loro interno, fino a quando non vennero trovati centinaia di corpi senza nome tumulati nelle aree circostanti.
Non stiamo parlando mica del 1800, l'ultima Magdalene fu chiusa nel 1996!!!
Alla luce di tutto questo (che NON è la trama del libro eh!), il romanzo della Keegan assume una grande valenza anche solo come spunto per approfondire questa pagina di storia recente, e ci mostra come quelle che potrebbero essere piccole cose, piccoli gesti, sono invece in grado di cambiare la vita di qualcuno.
Siamo abituati a chiudere gli occhi, a girarci dall'altra parte, a far finta di non vedere e non capire...poi magari siamo seduti in prima fila in chiesa, la domenica mattina.
Meno ipocrisia e più Bill Furlong, per favore.
Consiglio la lettura di questo libro piccolo piccolo, come "prologo", come "intro", prima di dedicarvi alla visione di un bellissimo (e durissimo) film del 2002, per la regia di Mullan, "Magdalene".
Il libro, da solo, non è sufficiente.
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Quale Natale?
,,,” Il peggio doveva ancora venire e lo sapeva. Già sentiva un mondo di guai ad attenderlo dietro la porta che si preparava a varcare, ma allo stesso tempo il peggio che avrebbe potuto succedere se lo era già lasciato alle spalle: la cosa che aveva potuto fare e non aveva fatto, e con cui avrebbe dovuto convivere per il resto della sua vita”…
Un racconto di Natale ambientato nel recente passato, che per alcuni temi ( il viaggio della memoria, la ricostruzione di una vita, il cambio di rotta ) e atmosfere ricorda il celeberrimo “ Canto di Natale “ fatte le dovute proporzioni.
L’ atmosfera natalizia non si addice particolarmente a chi, come il quarantenne Bill Furlong, è sempre al lavoro e, in questi giorni in particolare, consegna con il suo camion legna, torba e carbone nelle case, una quotidianità di duro lavoro, denaro da riscuotere, ansia e pensieri sul futuro prossimo, una famiglia numerosa da mantenere ( cinque figlie ).
A lui sogni e desideri sono preclusi, eppure, in questo angolo d’ Irlanda nella metà degli anni ‘ 80 e in questo periodo, riemergono l’eco della memoria, frammenti della propria infanzia, sensazioni vivide di un passato privato del focolare domestico, una madre scomparsa prematuramente, un padre mai conosciuto, la famiglia Wilson che lo ha cresciuto.
E’ l’ avvicinamento a un altro Natale, in cui riflettere sulle cose che accadono, da decenni sempre le stesse, persone, luoghi, relazioni, accadimenti, scavando nel proprio io.
Da bambino Bill per il suo Natale avrebbe desiderato un padre da amare e un puzzle da costruire, non ha avuto nessuno dei due, niente torna una seconda volta.
A bordo del proprio camion si presenta alla porta di un mondo che non ha mai considerato proprio, un istituto frequentato da ragazze, gestito da suore, a proposito del quale circolano voci crudeli e contrastanti. Da questo luogo uscirà spogliato e scosso, con il dubbio se proseguire il quieto vivere nel silenzio di una comunità religiosa benpensante o osare e rischiare rincorrendo la voce della coscienza, rispondendo alla disperata richiesta d’ aiuto di una giovane donna.
Quale vita finora, oltre la moglie Eileen e le sue ragazze, quali le cose importanti, e il senso delle sue giornate?
Una voce interiore risuona continuamente nella propria testa e, quando il presente preclude gioia e benessere , si arriva a considerare una vita altrove o si rigetta l’ idea che essa sia soggetta al caso, fermi davanti a una porta in attesa che si apra, realizzando che le cose più vicine spesso sono le più difficili da vedere.
Una fiaba natalizia ben scritta, leggera e dal gusto un po’ amaro che si concede alla speranza. Temi già noti, il senso di appartenenza, il significato dell’ essere cristiani, il guardarsi e leggersi dentro, il rifiuto di tradizioni obsolete, il senso della vita e della comunanza, la forza di osare.
Anche qui, come nel recente “ Una buona madre “ di Catherine Dunne, si fa riferimento agli istituti di correzione per ragazze madri, agli abusi e alle morti ivi scoperte e a lungo celate, un capitolo buio e riprovevole della storia d’ Irlanda.