Panino al prosciutto
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La sensibilità di un duro
Un libro che arriva diretto. Diretto come il lato più crudo della vita che forma un giovane Henry Chinaski cresciuto in un contesto rigido, grezzo senza troppo spazio per fronzoli ed atti d'amore. Henry cresce alimentato da quella rigidità, odiandola ma al tempo stesso ereditandone alcuni aspetti, che lo fanno diventare un duro, un ubriacone, un disgraziato, un qualcuno di apparentemente lontano dalla sensibilità. Tra le righe di questo meraviglioso libro emergono anche quelli sprazzi di profonda sensibilità che un bambino cresciuto in un contesto lontano dall'amore deve imparare a gestire. Un bambino che si crea un mondo dove è un campione di baseball, quando la realtà gli suggerisce di essere un perdente, uno sfigato. Un ragazzino che si sorprende quando riceve le cure amorevoli di un'infermiera e che scopre nella scrittura e nella fantasia, un amico che da conforto e sollievo. Conforto che scopre anche nell'alcool e nelle risse in contesti miserabili. Bukowski in questo libro solleva un muro insormontabile fatto di mattoncini fragili mettendo in luce un dualismo fatto di profonda debolezza/sensibilità ed accese dimostrazioni di forza, con l'unico scopo di sopravvivere a questa vita cruda.
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L'adolescenza emarginata di un grande scrittore.
E’ il racconto dell’infanzia e dell’adolescenza di Henry Chinasky (alter ego dell’autore) nel periodo della Grande Depressione americana e negli anni precedenti la seconda guerra mondiale. Anni duri, soprattutto per la famiglia Chinasky, emigrata dalla Germania, senza un lavoro decente e senza prospettive. Poco affetto dai nonni Emily e Leonard, evanescenti gli zii Ben e John, cinghiate per un nonnulla da un padre autoritario e inflessibile, lacrime di compassione da una madre succube e meschina. Così cresce il piccolo Henry, scontroso, solitario, chiuso in sé stesso, insofferente alle regole della scuola e già iniziato, alle medie, ai piaceri dell’alcool da compagni più smaliziati. Anche l’aspetto non è dei migliori: l’acne inizia a tormentarlo, con escrescenze purulente al viso e al dorso e la descrizione dei ricoveri e delle cure ospedaliere è un ritratto magistrale dell’ambiente sanitario di ottant’anni fa, che, per certi versi, fa pensare a qualche ben nota carenza dell’assistenza di oggi. Ed eccolo alle scuole superiori, dove Henry inizia ad innamorarsi della lettura, divorando autori famosi, dai russi a Lawrence, da Dos Passos ad Hemingway, il suo preferito, che scrive della vita come è, in modo essenziale, chiaro, non noioso. Un libro al giorno, e tanta musica classica, che l’accompagnerà per tutta la vita. La solitudine, l’odio per l’umanità che lo circonda, l’ipocrisia e la falsità del mondo esterno, lo rendono sempre più schivo, con atteggiamenti da duro (nutrirà anche simpatie per gruppi neonazisti americani), tanto da fare a pugni con chiunque e da farsi cacciare da casa, quando il padre scopre alcuni manoscritti del figlio troppo crudi e realistici. Il giovane Chinasky (alias Bukowsky), con la sua valigia, quattro stracci e l’inseparabile macchina da scrivere, vaga da un appartamento in affitto ad un altro, trova lavori saltuari, si fa licenziare per insofferenza a qualsiasi regola, si consola affogando nelle quotidiane sbronze da vino, birra e superalcoolici le amarezze della vita. L’alcool è la panacea di tutti mali, una sorta di scudo che lo ripara dai mali del mondo, nell’alcool trova serenità e stimoli per scrivere racconti. Nei bassifondi della città e della vita fa progetti per sopravvivere: gioco d’azzardo, poker e addirittura furti e rapine a mano armata, pur non disdegnando gesti di tenerezza e compassione verso soggetti indifesi e innocenti, cani malnutriti in cerca di cibo o bambini dai quali si lascia battere a calcio balilla …
Pur emarginato dalla cultura ufficiale in America per il suo grottesco elogio dell’eccesso e dell’alcool, Bukowsky merita comunque una collocazione di riguardo nel panorama della letteratura americana ( e non solo), per la spietata sincerità narrativa ed il linguaggio aggressivo con cui racconta la disumana violenza delle metropoli.
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Le parole crude possono essere eleganti!
Charles Bukowski è riuscito a rendere elegante anche parole rozze come possono essere "masturbazione" o "sesso",perchè le parole hanno tanto potere,ma nel 2014 queste parole fanno ancora un pò senso.Meno si possono dire meglio è!!.Questo libro narra la storia di Henry Chinaski,narra la sua vita semplice,ma molto molto dura.Fin da piccolo maltrattato da quel padre che per lui doveva essere un esempio si è rivelato l'aguzzino di una vita.Una vita segregata dentro mentre fuori libera,ma violenta.Fin da piccolo scopre l'alcool che diventà amico della sua vita.Una storia molto vicina a quella di molti adolescenti di oggi.Henry vivrà la difficile situazione dell'acne,acne molto forte che lo porterà a non uscire.Vita difficile quella di Henry che riesce comunque a sopravvivere e a farsi una vita,ma non con una donna...Ma con l'alcool.
All'inizio della lettura ero un pò perplessa,per il linguaggio e per la storia,ma giorno dopo giorno,pagina dopo pagina hai solo voglia di aiutare Henry e di portarlo via con te per calmarlo e dargli quell'affetto negato da tutti.
Un bel libro da leggere assolutamente perchè anche se non è degli ultimi tempi parla di problemi attualissimi.!!
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Panino al prosciutto
A volte mi capita di entrare in libreria senza ispirazioni e senza un'idea precisa.
In questi casi adopero una tecnica che, per quanto stramba, ritengo infallibile. Mi avvicino agli scaffali con gli autori sistemati in ordine alfabetico e comincio a tirar giù i libri che mi colpiscono, per i colori, per la fattura della copertina, o per chissà che altro. Il più delle volte, infatti, è il solo caso a guidarmi.
Poi apro una pagina qualunque, di solito a metà del libro, e ne leggo non più di dieci righe. A questo punto il gioco è fatto. Se la reazione è di indifferenza, poso il libro immediatamente.
Ma se c'è qualcosa, anche una sola parola, che riesce a stupirmi in qualunque modo, allora procedo spedita. Prendo il libro, rientro a casa, e inizio a leggerlo, praticamente da subito.
Ecco le righe che ho letto di Bukowski, proprio in uno dei miei girovagare senza meta:
"Non mi piaceva nessuno, in quella scuola. Credo che loro lo sapessero. Credo che fosse per quello che mi odiavano. Non mi piaceva come camminavano, come parlavano, non mi piacevano le loro facce, ma d'altra parte non mi piacevano nemmeno mio padre e mia madre. Avevo ancora la sensazione di essere circondato da bianchi spazi vuoti".
È tanta, è densa, è quasi gelatinosa, l'aria bianca che si insinua negli spazi vuoti intorno a Henry Chinaski, detto Hank, nient'altro che l'alter ego letterario, fatto di verità e immaginazione, di Charles Bukowski.
"Panino al prosciutto" è una cronaca spietata, è una sorta di romanzo di formazione, in cui lo scrittore racconta gli anni della sua infanzia e della sua prima giovinezza, mettendosi a nudo oltre ogni pudore.
La storia di Henry/Charles è una storia triste, in cui la disillusione insegue la disperazione, e in questa in fondo finisce per specchiarsi.
Non so quale sia la percentuale di verità contenuta nel racconto di Bukowski, so però che la vita di Henry Chinaski non è stata per niente facile: un'educazione tinta di sadismo, impartita dal padre a colpi di coramella; una madre fondamentalmente poco presente; la sensazione di vivere da reietto, sempre ai margini, a contatto con i bassifondi della vita e della società; un'acne deturpante sul corpo e sul viso, sui quali la gente faceva fatica a trattenere lo sguardo; la magica compagnia dei libri ("le sole voci che mi parlavano"); il rifugio alienante nell'alcol ("bere mi liberava dall'ovvio, e forse se si riusciva a liberarsi spesso dell'ovvio non si finiva col diventare ovvi"); i primi, tutt'altro che romantici, contatti con la sessualità.
Devo dire che Bukoswi è un maestro nel depistare il lettore. Infarcendo di frasi, parole, espressioni scurrili e triviali buona parte delle pagine, crea una sorta di insolente cacofonia che potrebbe indurre chiunque ad abbandonare la lettura, o peggio ancora a giudicarlo soltanto uno "sporcaccione" senza speranza.
Io, personalmente, dei suoi tentativi di depistaggio me ne sono infischiata.
E allora, ho visto tratti di genialità, una sensibilità esasperata che lo porta a rinvenire scintille di vita negli occhi del prossimo, la bianchezza spettrale della sua solitudine, la volontà di non trovare un cliché da adattare alla propria esistenza, uno stile quasi perfetto fatto di frasi schiette e serrate, certamente non frutto di meri esercizi di stile, e alla fine, chiamatemi illusa, sono riuscita a sentirlo quell'uccello azzurro che canta nel petto di Bukowski.
"nel mio cuore c’è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma io sono troppo furbo, lo lascio uscire
solo di notte qualche volta
quando dormono tutti.
gli dico: lo so che ci sei,
non essere
triste
poi lo rimetto a posto,
ma lui lì dentro un pochino
canta, mica l’ho fatto davvero
morire,
dormiamo insieme
così col nostro
patto segreto
ed è così grazioso da
far piangere
un uomo, ma io non
piango, e
voi?"
(Frammento tratto da "Bluebird", poesia di Charles Bukowski)
Vi lascio, infine, il link ad un cortometraggio di appena due minuti. A parer mio, rende onore all'animo irrimediabilmente insolente, tenero e snervante di quest'uomo tanto discusso e controverso.
http://www.youtube.com/watch?v=jsc3ItAKSLc&feature=youtu.be
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Il piccolo Buk.
Eccolo qua. Tutte le risposte che cercavo. Il tassello mancante. Ormai di libri del vecchio ne ho letti ben nove. Mi ha subito affascinato, da “Taccuino di un vecchio sporcaccione” a “A sud di nessun nord”, letti tutti in ordine cronologico. L’ho subito amato, e sebbene all’inizio mi sembrasse un po’ troppo diretto e un po’ troppo crudo con il passare del tempo sono riuscito a comprenderlo in tutta la sua durezza in tutta la sua spontaneità. Ho cominciato a capire il suo rapporto con l’alcool, con le donne, con i cavalli e con la gente che lo circondava. Ho cominciato a capire il suo modo di pensare, mi sono immedesimato in lui, nelle sue giornate vuote, nella sua nullafacenza, e nel suo stare ai margini della società. L’avevo capito e spesso apprezzato. Ma la domanda è: perché? Perché questo suo comportamento con le donne, perché questo suo rapporto con la bottiglia, perché questo grande odio verso la società. Finalmente ora ho le risposte che cercavo. In questo libro Bukowski, o meglio Chinaski, ci racconta tutta la sua vita, dalla prima infanzia all’università. Non ci sono donne, nessun rapporto sessuale, nessuna descrizione di corpi nudi o altro come invece succede in tutti gli altri libri, ma d’altra parte il primo rapporto con una donna il vecchio Charles lo ha avuto a 25 anni. Diverse volte però nel corso del libro ci pensa alle donne, ma poi nemmeno ci prova, come se non ci fossero donne adatte a lui, al suo ceto sociale, al suo personaggio. Poi c’è il rapporto con la bottiglia. Parte da giovane Buk. E non la lascia più, la bottiglia. Lo dice diverse volte, è una fuga dalla realtà, qualcosa che lo rende felice nella sua infelicità, qualcosa che non lo fa pensare. Se ne innamora subito, parte dal vino, fino a bere tutto…anche rum bollito con il burro….E poi c’è l’odio e il disprezzo per la società. Intenso. Forte. Pressante. Ho pensato mille volte al perché odiasse così la società, da dove veniva tutto quell’odio. Ora lo so. In questo libro c’è lui contro i ricchi, lui contro i poveri, lui contro i professori, lui contro gli amici, lui contro il padre…lui contro se stesso. Una vita passata a sopravvivere, a combattere. Cresciuto in uno dei quartieri più poveri di Los Angeles, educato in una delle scuole più povere di Los Angeles, un padre che si vergogna delle sue condizioni umili e fa di tutto per nasconderlo al vicinato, addirittura facendo si che il piccolo Buk non giochi con i suoi vicini di casa, poveri anch’ essi. E poi le ripetute percosse del padre quando non tagliava bene l’erba del giardino, il fatto di essere sempre emarginato perché, prima solitario e taciturno, poi perché afflitto da una grave forma di acne vulgaris che non gli permette di stare bene con se stesso e con gli altri ( evita anche di andare al ballo di fine anno…). Ecco da dove arriva tutto quell’odio…Perc hè alla fine, come dicono in America:”Puoi levare una persona dal ghetto, ma non leverai mai il ghetto da una persona”. Nudo e crudo, a volte eccessivo, a volte più tenero, ma sempre e comunque Bukowski.Un libro imperdibile se amate il vecchio Buk.
“Ricchezza significava vittoria, e la vittoria era l’unica realtà”
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Genesi di un genio al limite...
Ne ho letti un po di libri del grande B, ma questo è di gran lunga quello che mi è piaciuto di più.
E’ stata un’immersione nell’infanzia e nelle esperienze che hanno fatto di lui quello che è diventato. Un libro che ripercorre un periodo senza emettere giudizi, semplicemente raccontando quello che era e come l’ha vissuto. Niente ricerca di compassione, solo la cruda e semplice verità.
Il suo rapporto con il padre, un uomo violento che ogni mattina usciva di casa e prendeva la macchina per recarsi a un lavoro che non aveva ma che non accettava l’idea di poter essere considerato un povero.
La difficoltà di trovare degli amici, a causa del suo carattere solitario che però finiva sempre con l’attirare i deboli, gli sfigati.
L’inizio della sua grande amicizia con la bottiglia che lo accompagnerà per tutta la vita. L’alcool come cura ad ogni dolore, interno ed esterno. La cura per l’acne che lo stava sfigurando, che lo costringeva a subire cure molto dolorose, dolore che del buon vino, o della buona birra, ma anche quella cattiva, attutivano.
Il rapporto col sesso femminile, praticamente inesistente proprio a causa della sua acne che non lo rendevano certo un ragazzo di quelli ammirati.
I giochi con gli altri ragazzi, duri e violenti. Il disgusto per le altre persone e per il pensiero che l’aspetto e lo stato sociale siano il metro di giudizio delle persone e della vita, e per il fatto di essere così rilegato al gradino più basso.
E l’inizio della sua vita sregolata dopo l’abbandono della casa in cui aveva vissuto. Vita fatta di alcool, partite a carte, scrittura e ricerca di un lavoro per poter pagare l’affitto…
Il college, che viene infine visto come un parcheggio momentaneo per evitare di doversi scontrare con la vita esterna.
Ma anche la scoperta dei libri, della lettura. Il potersi immergere in un mondo diverso. Il divorare tutti i libri che si trovava per le mani. E poi il suo approccio alla scrittura, i suoi racconti e le sue poesie. Le sue ancore di salvezza.
Questo libro riesce a far comprendere da dov’è nato l’uomo che abbiamo imparato a conoscere attraverso le vicende di Henry Chinaski, le interviste e tutto il resto.
E’ la storia di un ragazzo che ha dovuto confrontarsi con una realtà dura, di un ragazzo che è dovuto crescere in fretta e che ha conosciuto troppo presto il nero della vita ma che alla fine ha continuato a viverci, ed ha iniziato a raccontarcelo.
Un libro disperato e bellissimo, duro e crudo ma a tratti anche molto tenero, che vi terrà incollati alle sue pagine. Un libro che fa capire com’è nato il suo stile e il suo essere spietato e pessimista, che spiega il suo pensiero e il suo stile di vita.
Forse lo stile di questo libro è un po diverso dal solito, è meno serrato, veno veloce, meno botta e risposta. E’ più romanzo e meno copione… ma assolutamente stupendo
”Nessuno cambiava posizione. Eravamo come eravamo e non volevamo essere diversi. Venivamo da famiglie della Depressione, e non mangiavamo mai abbastanza, eppure eravamo diventati grandi e grossi, e forti. Nessuno di noi, credo, riceveva affetto e comprensione sufficiente dai genitori, ma non ne chiedevamo a nessuno. Eravamo ridicoli, ma la gente stava bene attenta a non riderci in faccia. Eravamo cresciuti troppo in fretta ed eravamo stanchi di essere bambini.”