Padiglione cancro
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Grandioso affresco della Russia di metà Novecento
Avrei voluto mettere 5 stelle a ogni voto, però è difficile dare un giudizio pieno riguardo la "piacevolezza" del libro, se questo tratta di malattie mortali e follie all'interno di un padiglione oncologico russo.
Per il resto è un romanzo, meravigliosamente attuale e reale.
In cui disperazione e speranza si determinano ai malati condannati nella maggior parte dei casi a una morte lenta e tremenda.
Il libro si concentra sulle vicende di un malato in particolare, che sembra avere una certa ascendenza sulle femmine che lavorano all'interno del padiglione.
Il lettore viene catapultato allora in questo strano e affascinante mondo di un ospedale dove si cerca in ogni modo di riuscire a dimenticare la sofferenza a cui si è soggetti, appunto raccontando la propria storia, provandoci con una bella infermiera o facendo la corte a una dottoressa particolarmente avvenente.
Il grande autore russo, premio Nobel proprio per questa Opera, riesce, come nella migliore tradizione di Santa Madre Russia, a tracciare perfettamente gli aspetti psicologici dei personaggi che orchestrano l'opera.
La lettura è molto fluida, ma non piacevole. Poichè, almeno io, sono stato per tutto il romanzo in attesa del dramma conclusivo, con la morte che aleggia in ogni pagina, come figura nascosta ma incombente sui destini delle persone.
Certo che se uno avverte qualche dolorino o in qualche maniera è un poco ipocondriaco, non credo sia questa una delle letture migliori da farsi.
Per il resto, c'è una grande speranza che comunque veleggia forte per tutto il racconto.
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La sofferenza vera
Nel Padiglione Cancro entri "qualcuno" e diventi un ammalato.
E non importa se entri con giacca e cravatta o con degli stracci, perchè varcata la soglia ogni singolo dettaglio o persona ti fa ricordare che tu hai il cancro.
Pavel Nikolaevic Rusanov credette di entrare in un ospedale ordinario, nulla di che, poi lui, dirigente di partito, sarebbe stato trattato da vero ospite d'onore; per questo, famiglia al seguito che lo scortava, non si fece mancare nemmeno il "pigiama nuovo nuovo, color verdebruno, e delle soffici pantofole da camera, con il risvolto di pelo", per rendere la degenza un pò più confortevole.
Per non parlare delle premure di sua moglie Kapitolina Matveevna che si sincerò immediatamente con l'infermiera che il marito fosse trattato con premura in quanto funzionario molto quotato, per cui avvezzo ad essere trattato con le massime attenzioni da tutti quelli che in qualche modo ci avevano a che fare.
Sino a quando non entrò nella stanza alla quale era stato destinato.
La famiglia non c'era più, il mondo esterno nemmeno, le attenzioni della gente solo un lontano ricordo.
Ora solo altri ammalati, come lui, chi più grave, chi meno, "otto esseri squallidi, in quel momento a lui quasi uguali, otto malati dai pigiama bianchi e rosa, ormai molto stinti e lisi, uno rattoppato, l'altro strappato, quasi tutti sproporzionati alle persone che li portavano".
Rusanov non ci mise molto a capire che l'aria che avrebbe respirato in quel posto aveva poco a che fare con ciò a cui egli era abituato; eppure ciò era un passo obbligato per prendere totale coscienza della gravità della malattia.
I veterani della stanza ormai riuscivano a sdrammatizzare il loro disagio, come Efrem, dalla parola facile che usava disinvolto termini quali "cancruccio" e "cancrone", un pò per sdrammatizzare, un pò perchè la lunga degenza portava effetti disastrosi e faceva perdere la pazienza.
La narrazione procede con la descrizione degli altri ospiti, ognuno con la sua storia, ognuno con il suo cancro, per ognuno dei quali Solzenicyn ci regala dei ritratti eccezionali che con poche pennellate ci trasportano dentro di loro facendoci comprendere la sofferenza e la voglia di guarire oppure, sembrerà strano, quella di morire, perchè per alcuni di loro solo la morte poteva rappresentare l'assenza di ogni dolore.
E tra tutti un posto d'onore spetta a Kostoglotov, ex deportato che subì la tragica esperienza del gulag, e nel quale è facile scorgere i forti tratti autobiografici dello stesso Solzenicyn, cancro incluso.
Rusanov contro Kostoglotov, il potere politico contro la lotta per i diritti umani, la finzione contro l'autenticità, la freddeza nei rapporti contro la voglia di amore, spesso soffocata.
La narrazione è attenta e scorrevole, ogni capitolo è compiuto e si sofferma su di un personaggio oppure su un rapporto tra più personaggi dando sempre quella sensazione di piacevole pesantezza che ci fa riflettere e soffrire insieme a tutti gli ospiti.
Un finale non scontato che accompagna Kostoglotov al di fuori dell'ospedale, finalmente "libero" come fosse uscito da prigione a godere di semplici cose quali una passeggiata e finalmente pronto a dichiarare il suo amore per quella persona che lo aveva curato, la dottoressa Gangart, verso la quale non era mai stato capace di esternare nulla, sia per timidezza, sia perché nel Padiglione cancro non c'era spazio per l'amore!
Un romanzo pieno di sofferenza, ma anche di amore, amore celato, ma non per questo di scarsa potenza; una cornice alla vita dell'autore che la sofferenza l'aveva vissuta e in tal modo ha deciso di farcela conoscere con un monito a non dimenticare.
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La rivincita morale del dissidente
Di fronte alla morte gli uomini non sono più classificabili in base al ceto sociale, ai privilegi di cui hanno potuto godere, alla gente influente che conoscono. La differenza la fanno inequivocabilmente lo spessore umano, la dolcezza, la sensibilità e l'amore di cui sono capaci. E' questo che distingue chi ha vissuto l'involucro della sua esistenza e chi è arrivato a qualcosa di più vero e profondo. Ogni esistenza viene scoperchiata e il lettore guarda all'interno. Alla fine non è la condanna della malattia incurabile a segnare le persone ma la condanna di uno spirito gretto a un'esistenza senza valore. Un libro appassionante e vero.
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vivere o morire
Ho affrontato questo libro con la paura di non riuscire a vederne la fine. Mi sembrava troppo: troppo importante l'autore e le parole che ha saputo scrivere. Mi chiedevo: non sarà uno di quei sacri testi così pesanti da leggere per una mente semplice?
Invece ho raggiunto le ultime pagine con l'amaro in bocca per dover lasciare delle persone alle quale mi ero affezionato. Persone, perchè Solzenicyn le rende vere.
E' certamente uno scritto politico contro un regime autoritario che ha provocato milioni di morti e reso nulle milioni di vite. Un regime che si ripropone, forse si amplifica nelle stanze di un padiglione d'ospedale dove chi comanda, il medico, ha completo ed assoluto potere decisionale sul degente.
Uno stato, quello sovietico, che viene riassunto in una piccola stanza: abbiamo un confinato politico, un dirigente comunista, un giovane che ancora crede agli ideali dello stato, un assuefatto al regime in preda al rimorso per non essersi mai ribellato.
E quella maledetta malattia che ancora si pensava di poter arrivare a sconfiggere in poco tempo.
Leggendo, sorgono domande alla quali non credo si possa dare una risposta definitiva. Fino a che punto è degna d'essere vissuta una vita? Il solo essere in grado di respirare e nutrirsi è un successo? Oppure ci sono limiti oltre i quali sarebbe bene porre fine alle sofferenze? Personalmente opto per la seconda. Però non mi sono mai trovato davanti alla morte, e questo è un dettaglio non da poco.
Leggete questo romanzo.
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Tutti uguali davanti allo spettro della morte...
Una lettura sconvolgente, un viaggio nell'inferno della malattia e degli ospedali.
La divisione cancro è numerata con il 13 e qualcuno pensa entrando in quel reparto, che questo numero porta male...la realtà è ancora peggiore...si tratta di un reparto occupato da persone ad alto rischio e ciò che si può pensare è: "Lasciate ogni speranza o voi che entrate"...
Tutti uguali davanti allo spettro della morte ricchi e poveri, giovani e vecchi, e ciò impone una doverosa riflessione: pensando alla nostra arroganza nel vivere con pienezza la nostra vita, non
ci viene mai in mente che siamo canne al vento e che come tali potremo essere spazzati via con un lieve soffio di vento?
Questa è secondo me la lezione del libro, che comunque nel presentarci un'umanità ferita e sofferente, ormai incastrata nelle fauci del mostro (il cancro) ci esorta a ringraziare ogni giorno per il dono prezioso della salute e della vita.
Consigliato per lo spunto di riflessione che ci offre.
Ovviamente ci vuole uno stomaco forte...
Vietato ai paurosi e ai malati immaginari....
Saluti.
Ginseng666
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Reparto C (gioco in casa).
Aleksandr Isaevi? Solženicyn ci ha fatto un grave torto andandosene qualche anno fa, un grandissimo torto.
Io ho letto tutto di lui, ma è qualcosa che mi porto dietro, che viene da lontano, non saprei.
Fatto sta che quando quel genio, antisemita dichiarato certo, ma genio letterario pur sempre, ci ha lasciato...mi sono sentito smarrito.
E' stato l'ultimo grande russo.
C'è poco da fare.
Arcipelago Gulag non è che un immenso saggio, Solženicyn non ha vinto il Nobel per quello.
L'avrebbe dovuto vincere per "Il primo cerchio", per "Agosto 1914" o, ancora, per la silloge mirabile "Per il bene della causa".
Ma l'ha vinto per questo romanzo:"Padiglione Cancro", pubblicato in Italia con questa firma...anonima.
L'Einaudi lo pubblicò con il titolo "Reparto C", di anonimo russo.
Io auguro a tutti gli amici della community di leggere questa eccezionale prova di maestria letteraria.
La scena si svolge in un non meglio specificato ospedale dell'Unione Sovietica...siamo nel 1955 e Koba è morto da due anni.
Il repertorio umano che Solženicyn ci pone di fronte è meravigliosamente vario ma unificato dala povertà di prospettiva.
Ricordo con grande piacere di lettore il passo dove si descrive l'entrata in ospedale di un cosacco vestito unicamente della sua divisa militare.Gli viene rifiutato il posto letto. Il cosacco non batte ciglio, si siede nell'atrio e si rovescia tutta la riserva di tabacco da pipa che porta in tasca in una bottiglia di vodka. Poi, dopo avere agitato il litro di veleno, con grande calma, se lo tracanna fino in fondo.
Quindi si avvia verso i letti.
Ora gliene spetta uno, per diritto.
Lo so, molto spesso i giovani sostengono che i grandi libri intristiscono, che non si sentono di leggere opere così pesanti.
Ragazzi, una grande opera viene di solito scritta col sangue. E' difficile risulti...allegra.
Leggete Padiglione Cancro, si tratta di un'opera d'arte.
Io lo so bene, la leggo tutti i giorni.