Oscar e la dama in rosa
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Testa d'uovo...
Ho il cuore pesante, gonfio di lacrime...
Pochissime pagine, una semplicità stilistica disarmante, ma un messaggio potente e difficilissimo da metabolizzare.
Ci sono parole che non dovrebbero essere mai scritte nello stesso rigo: "bambini" e "malattia".
Ed invece, nella prima pagina, ti ritrovi a leggere queste parole:
?Caro Dio, mi chiamano Testa d'uovo, dimostro sette anni (ne ho dieci), vivo all'ospedale a causa del cancro e non ti ho mai rivolto la parola perché non credo nemmeno che tu esista.?
Ecco...per le restanti 58 pagine ho lottato con il cosiddetto "groppo alla gola".
Schmitt ha saputo dare voce ad Oscar, il bambino, con una leggerezza ed una delicatezza magistrali...non una parola patetica, che strizza l'occhio al facile sentimentalismo, niente letteratura del dolore, anzi...si trovano, in queste pagine, una lucidità ed una consapevolezza spiazzanti.
Non starò qui a raccontare cosa succede...vale davvero la pena leggerlo...e prendere da questo libro quello che si è pronti e disposti a ricevere (e non sempre le due cose coincidono).
Solo una riflessione: come sarebbe bello se tutti i bambini che soffrono potessero avere la loro "dama in rosa", la loro "Nonna Rosa"...
Leggere Schmitt è sempre una certezza!
Fatelo!
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Essere solo un "riparatore".
Premessa.
Giovedì, pranzo con colleghe, una decina di anni fa. Come da tradizione, ci siamo io, la neuropsichiatra infantile, la psicomotricista, la coordinatrice dell’ambulatorio.
Siamo meno “pimpanti” del solito perché abbiamo appena preso in carico un bambino da oncologia e sappiamo che, probabilmente, non sarà una presa in carico lunga.
Non è una novità, purtroppo, ma forse è più doloroso di altri casi, o forse è solo che è appena successo e non abbiamo ancora potuto metabolizzarlo, o forse solo “perché sì”, dal momento che mettersi a fare la classifica del dolore mi pare viepiù cretino.
Ad ogni modo, togliersi dalla testa certe facce, certe parole e certi sguardi in quel momento è difficile e il nostro pranzo scorre piuttosto silenzioso.
R. di punto in bianco dice “Questi sono i momenti in cui, se non avessi fede in dio, penso proprio che non potrei farcela.”
E io, senza nessun tono polemico, perché non ho voglia di fare polemiche e perché stimo moltissimo R. che è una delle persone migliori che conosco, e se mi sforzo un po’ comprendo pure il suo punto di vista, con lo stesso tono assorto osservo “Io invece penso che se mai avessi avuto fede l’avrei persa proprio in un momento come questo, e che se avessi la certezza che dio esiste gli augurerei solo di essere molto, ma molto lontano da me.”
(Sì, i momenti “Arturo Bandini” in cui maledico e minaccio dio esistono anche per me).
Siamo quattro e ci dividiamo in modo equanime sulle posizioni:
- dio esiste perché esiste l’oncologia (pediatrica).
- dio NON esiste perché esiste l’oncologia (pediatrica).
Senza acrimonia e senza discussioni accese. Non è qualcosa che si possa giudicare o di cui si possa convincere un altro. Non è qualcosa di cui si possa discutere. Il dolore dei bambini, nel suo nucleo centrale di profonda innaturalità, corrode gli adulti fino al loro, di nucleo.
La storia di “Oscar e la dama in rosa” mi riporta a quel giovedì, come ci riportano tante storie: ci racconta gli ultimi giorni di vita di un bambino malato di leucemia. Oscar sa quello che gli sta succedendo e quello che gli succederà. È arrabbiato. Con i suoi genitori, per cominciare. Che non hanno il coraggio di affrontare la cosa. E di affrontarla con lui.
È arrabbiato con gli sguardi sfuggenti, le mezze parole, gli occhi bassi.
Rosa, un’anziana signora che lavora nell’ospedale e che – per qualche motivo – riesce a creare un legame speciale con il bambino, gli propone un gioco: immaginare che ogni giorno, corrisponda a dieci anni della vita di Oscar e che lui, a fine giornata, descriva quel decennio.
Oscar immagina di vivere, sposarsi, lavorare, divertirsi, invecchiare, morire.
A centodieci anni.
E in qualche modo riesce a fare la pace con i genitori, i medici, i vivi e dio.
È un libricino di poche decine di pagine e che si legge in fretta. Descrive in modo piuttosto realistico una situazione dolorosa e difficile, trova qualche “cura” palliativa vaga (come non potrebbe esser diversamente) ed alla fine cerca di riconciliare con quello che conciliabile non è.
Se devo fare un appunto, trovo che “nonna Rosa”, a tratti, sia un po’ troppo perfetta. Sappia sempre troppo esattamente quello che deve dire e lo dica nel modo giusto.
Ma probabilmente è solo invidia.
Invece la parte che ho amato è la descrizione della malattia vista dai bambini.
Quello che per noi adulti è “innaturale” per molti di loro, purtroppo, non solo è “normale”, ma è la sola realtà che conoscono. È normale essere ammalati, è normale morire, è normale andare in triciclo con la flebo. Ecco, al di là di dio e delle soluzioni, questo mi è davvero piaciuto.
Prendo congedo con Oscar che spiega questa cosa al suo dottore:
«Non bisogna fare una faccia simile, dottor Düsseldorf. Ascolti, le parlerò francamente perché io sono sempre stato molto corretto sul piano medicina e lei è stato impeccabile sul piano malattia. La smetta con quell'espressione colpevole. Non è colpa sua se è costretto ad annunciare brutte notizie alle persone, malattie dai nomi latini e guarigioni impossibili. Deve rilassarsi, distendersi. Non è Dio Padre. Non è lei a comandare alla natura. Lei è solo un riparatore.
Deve rallentare, dottor Düsseldorf, diminuire la pressione e non darsi troppa importanza, altrimenti non potrà continuare a lungo con questo mestiere. Guardi già la faccia che ha.»
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UNA VITA INVENTATA.
Come ci si comporta con una persona che sta morendo?... e se si tratta di un bambino?
Oscar, un bambino molto intelligente di dieci anni ha il cancro e ha capito che è in dirittura d'arrivo...
E' arrabbiato e deluso e ...soprattutto non si sente amato; i genitori hanno talmente paura da far credere al bambino che abbiano paura di lui...ma la malattia, fa parte di lui, perciò vuole essere accettato com'è, con tutta la sua malattia addosso...
Il dolore impedisce ai genitori di trattarlo come se niente fosse; il loro dolore è così "immenso" che non riescono più a comunicare col figlio...non riescono ad adeguarsi alla sua situazione e a saperlo ascoltare nei suoi veri bisogni.
Grazie alla presenza e soprattutto all'inventiva di Nonna Rosa, un'anziana signora che frequenta l'ospedale , il bambino sarà in grado di "vivere magicamente", grazie ad un gioco, un'intera vita fino alla vecchiaia...tutta quella vita che lui non potrà più sperimentare...
Un libro che porta a riflettere sull'importanza delle domande più importanti sull'esistenza che rimangono domande, perchè avvolte in una parte di mistero...; sul ruolo del medico e del personale sanitario nei confronti di un bambino ammalato...; sulla capacità di saper spostare l'attenzione del male fisico a quello spirituale ; su come ci si deve atteggiare nei confronti di un bambino terminale...
In particolare questo libro mi ha portato a riflettere sul ruolo e sul potere del gioco , che è capace di creare comunicazioni e allenze positive ed è soprattuto uno strumento terapeutico e di abreazione.
Grande sollievo troverà il bambino quando impara a rivolgersi a Dio, scrivendogli ogni giorno , raccontandosi e chiedendogli di esaudirgli un desiderio e , in questo modo, Oscar impara a credere, ad avere pienamente fiducia in qualcuno.
Sì, credo che più di ogni cosa, sia il dono di riuscire a fidarsi di qualcuno che porta il bambino ad affrontare con maggior vitalità...i suoi ultimi momenti di vita.
Certo io credo che il dolore narrato sia così grave da poter essere realmente capito solo da chi ha vissuto una tale triste esperienza....ma vorrei porre la mia attenzione sull'importanza di saper assumere un atteggiamento di positività , che può aiutare chiunque...in qualsiasi momento di difficoltà ...
E ciò che fa bene a tutti, ancor più a chi ci sta per lasciare, è il sentirsi pienamente accettato e amato...in un incontro mentale ed emotivo con chi ci sta accanto...con chi ci vuole bene e amiamo.
Buona lettura da Pia.
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un libro pieno di ovvietà
E' un libro furbo, che ammicca continuamente al lettore, che fa leva sui facili sentimentalismi mettendo un bambino al centro di una vicenda tanto dolorosa. Gli adulti di questo libro sono più scemi di quelli descritti nel Giovane Holden, a parte la perfettissima e insopportabile Nonna Rosa, che sa dire sempre la cosa giusta, che non sbaglia mai. E' pieno di ovvietà facili da pensare quando si è in salute, non l'ho trovato nè interessante nè coraggioso, solo molto ovvio e fintamente zen.
Stella
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Dio amico mio
Un libro di una dolcezza infinita, mi son trovata spesso a chiedermi: "Ma se un bimbo come Oscar riesce a fare amicizia con Dio nella situazione tragica in cui si trova, perchè non dovrei riuscirci io? Cos'ho da lamentarmi tanto con Lui?". Un insegnamento da tenere presente in ogni singolo minuto della nostra vita, apprezzare e godere delle piccole e semplici cose, guardarle come se le si guardasse per la prima volta e vivere, vivere, vivere...sempre, accettando della vita anche e soprattutto la sua doppia faccia.
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Facciamo tutti finta di essere immortali
"Oscar e la dama in rosa" è un piccolo libro di sole 90 pagine che si legge in un'ora, dalla copertina con disegni di tipo infantile e dai colori pastello che mettono allegria. In realtà racchiude al suo interno una storia drammatica, un piccolo scorcio di soli dodici giorni nella vita di Oscar, un bambino malato di leucemia. Oscar, aiutato dalla complicità e dall'affetto di una signora che lavora all'ospedale, che lui chiama "nonna Rosa", racconta i suoi ultimi giorni di vita come una sorta di lettera-diario indirizzata a Dio, e lo fa con un linguaggio semplice e delicato, disincantato e saggio. La malattia gli dona una consapevolezza speciale per un bambino della sua età e una forza interiore capace di dare lezioni di vita perfino ai suoi stessi genitori, che affranti dal dolore non riescono ad affrontare la situazione. In questo libro il lettore sa già il finale, la trama non ne fa segreto, ma tuttavia non può fare a meno di gioire con lui dei suoi piccoli momenti piacevoli, delle sue piccole conquiste, della sua scoperta di guardare il mondo ogni giorno come se fosse la prima volta per riuscire a capire la felicità di esistere. Ma non mancheranno i momenti di tristezza, nei quali ci si trova con gli occhi colmi di lacrime senza neanche accorgersene. Ciò nonostante la storia di Oscar non è deprimente, tratta la tematica della vita che finisce con serenità, elargendo importanti insegnamenti e note positive, un libretto delizioso dal cuore grande, da leggere e custudire nel tempo, da prendere in mano quando si è amareggiati e arrabbiati con il mondo, quando ci si sente depressi e si pensa che la nostra vita faccia schifo.
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Oscar e la dama in rosa
Una preghiera a Dio scritta da un ragazzino di dieci anni negli ultimi dieci giorni di vita.
Grazie alla misteriosa presenza della Dama in rosa, la Madre spirituale che intercede per lui nei confronti della Vita, Oscar vede compiersi il proprio tempo, nonostante la malattia, attraverso la malattia, in dieci giorni.
Oscar, tenuto per mano dalla Dama in rosa, attraversa il mondo dei sentimenti, delle esperienze, della vita, da una camera di ospedale (un giorno uguale a dieci anni) in compagnia dei suoi amici malati, dei suoi genitori disarmati, del medico scienziato che non sa accettare di aver fallito la cura e tutto alla fine trova la giusta collocazione sul palcoscenico dell’esistenza.
Oscar si rivolge a noi genitori, che copriamo di regali i nostri figli anziché donare loro cinque minuti del nostro tempo. Dice Oscar: “Quando mi sono svegliato, ho visto che, naturalmente, mi avevano portato dei regali. Da quando sono ricoverato in permanenza all’ospedale, i miei genitori hanno qualche difficoltà con la conversazione; allora mi portano dei regali e trascorrono dei pomeriggi schifosi a leggere le regole del gioco e le istruzioni per l’uso. Mio padre si accanisce nello studio dei foglietti illustrativi: anche quando sono in turco o in giapponese, non si scoraggia. E’ campione del mondo del pomeriggio domenicale sciupato.”
Oscar si rivolge a Dio, che all’inizio della storia non conosce (i suoi genitori credono a Babbo Natale) e in dieci giorni arriva a scriverGli: “Grazie, Dio, di aver fatto questo per me. Avevo l’impressione che mi prendessi per mano e che mi conducessi nel cuore del mistero a contemplarlo. Grazie. A domani, baci, Oscar”.
Schmitt in fondo scrive all’uomo di oggi, sia esso sano o malato (ma non siamo tutti malati d’infinito?), medico o paziente (ma non siamo tutti bisognosi d’amore?), genitore o figlio (ma non siamo stati tutti figli una volta?) e a quest’uomo vecchio di duemila anni che sembra aver smarrito la propria identità sussurra con la voce di un ragazzino di dieci anni: “Ho cercato di spiegare ai miei genitori che la vita è uno strano regalo. All’inizio lo si sopravvaluta, questo regalo: si crede di aver ricevuto la vita eterna. Dopo lo si sottovaluta, lo si trova scadente, troppo corto, si sarebbe quasi pronti a gettarlo. Infine ci si rende conto che non era un regalo, ma solo un prestito. Allora si cerca di meritarlo. Io che ho cent’anni, so di che cosa parlo.”
E noi lo sappiamo?
Un romanzo da tenere sul comodino per tutta la vita.