Ohio
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Pensavo fosse amore invece era un calesse
Il romanzo ci racconta attraverso i ricordi di vari personaggi la storia di un gruppo di amici, che vivono in un posto dell’Ohio dimenticato dal progresso (ma a quanto pare non da Dio), e che sognano di andarsene altrove. Bill fa coppia con Lisa, il suo migliore amico Rick sta invece con Kaylyn, poi c’è Hailey che sta con Dan e Stacey con Ben Harrington, infine 56 sta ( si fa per dire) con Tina. Ovviamente uomini e donne sono tutti bellissimi, i più begli esemplari della scuola. Dan e Rick, i bravi ragazzi, partiranno per l’Iraq mentre Bill andrà al college. Dan e Lisa sono molto amici, dall’infanzia, accomunati dall’amore per i libri. Ora, anche se le coppie sono quelle che ho detto, alcuni di loro hanno amori trasversali. Per esempio, Bill ama la fidanzata del suo migliore amico Rick, Kaylyn , mentre Lisa, la fidanzata di Bill, ama Stacey e così via. Il romanzo è scritto in modo fluido e scorrevole, con uno stile buono anche se non particolarmente interessante. La storia è divisa in capitoli che sono scritti come memorie partendo da personaggi diversi, per esempio Bill, oppure Stacey o Dan eccetera, che ricordano e raccontano la stessa storia ma ognuno vi aggiunge il suo tassello come se si stesse componendo un Puzzle morboso-sentimentale, un sentimentalismo intriso di sesso, in cui sentimento e istinto si confondono . Le prime pagine del libro sono le più promettenti, nel senso che i primi malumori tra Bill e Rick sembrerebbero dovuti a una diversa visione del mondo. Rick è di educazione cattolica, un bravo ragazzo un po’ coglione, mentre Bill si dichiara di mente molto più aperta. L’11 settembre con la caduta delle torri gemelle porta a galla i malumori. All’inizio sembra che davvero Bill aspiri a una comprensione del mondo più ampia e si interessi dell’opinione altrui, anche quando l’altro è un terrorista. In realtà, si capisce presto che Bill se ne frega di tutti, degli amici prima che dei terroristi, dato che i terroristi stanno chissà dove e gli amici sono invece suoi vicini di casa. La sua apertura mentale, diventa una (anacronistica?) filippica contro la morale cattolica. Sembra che tutti i cattolici del mondo siano traslocati in Ohio e si interessino di impedire agli amici di scopare. In realtà gli amici fanno tutto quello che vogliono a partire da sesso e droga, che sembrano solo l’innesco di una forte pulsione mortifera che pervade tutto il romanzo. Ma anche questa pulsione ha una connotazione nel romanzo più commerciale che esistenziale. La grande apertura mentale di Bill consiste nel diritto di avere una relazioni anche con la ragazza del suo migliore amico senza dovergli spiegazioni, e nel consumare/spacciare droghe di ogni tipo possibilmente in combinazione con farmaci e alcool. Molte pagine sono dedicate agli effetti delle droghe spesso in miscela. I personaggi galleggiano fin dall’inizio nella nebbia dell’ipocrisia, non quella dei loro genitori, ma proprio la loro. Sono incapaci di parlarsi con sincerità, di avere rapporti umani disinteressati, di amicizia. Il finale è il trionfo dell’ipocrisia quando Bill e Stacey si confrontano e Bill ascolta le ragionevoli ma allarmanti supposizioni dell’amica, si tiene per sé la sua parte di verità, pronuncia persino la sua frase memorabile che chiude il libro: Continua a indagare Moore, eccetera. Non ho provato simpatia per molti personaggi.
Lo stile del romanzo è buono, c’è una buona capacità narrativa, ma si incontra una limitatezza di interessi che rendono la narrazione angusta. Non c’è una vera ricerca né il tentativo di mettere a nudo la pochezza delle relazioni né l’ambiente soffocante né il malessere esistenziale. A me sembra che l’interesse dell’autore non vada al di là della scopata e questo per 530 pagine è snervante. Gli ultimi due capitoli secondo me sono i peggiori, con la deriva pulp che accende il fuoco d’artificio di sesso e violenza del finale. Il libro è chiaramente un libro commerciale, ha gli ingredienti giusti per farsi leggere anche da chi non ama leggere, è scorrevole e parla di intrecci sentimentali erotici con abbondanza di dettagli morbosi per chi ama il genere.
Non lo consiglio a chi cerca qualcosa di bello da punto di vista letterario.
Indicazioni utili
- sì
- no
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 1
Rusty Belt
“Ohio” è l’opera prima di Stephen Markley ed è un grande libro. E’ un romanzo mondo, dentro ci sono l’adolescenza, la perdita dell’innocenza, il male, il bene, la guerra, la crisi esistenziale ed economica di questi nostri anni. Bellissimo, poetico e allo stesso tempo crudo, è veramente uno degli esempi più validi della nuova narrativa americana. L’incipit è da brividi - “ Il feretro non conteneva nessuna salma. La bara Star Legacy modello Platinum Rose in acciaio calibro 18, in prestito dal Walmart locale, era solo ricoperta da una grande bandiera americana”- già con queste poche righe veniamo scaraventati nel profondo degli Stati Uniti, per la precisione nel Midwest, in quella rusty belt che è il regno dei Walmart, delle molteplici chiese, delle fabbriche chiuse, delle Budweiser e dei cappellini da baseball, del consumo abnorme di alcol, oppiacei, psicofarmaci e droghe sintetiche. Il libro inizia con un Preludio, siamo nel 2007 ed è in corso una parata trionfale per il funerale di Rick Brinklan, caduto in Iraq, campione di football al liceo e uno dei protagonisti del racconto. Nulla è da sottovalutare di ciò che scrive Markley, nemmeno le date, il 2007 infatti è l’anno della crisi dei subprime, degli sfratti, delle disillusioni per quell’umanità che qualche anno dopo voterà compatta per Trump. La parata funebre è il mezzo attraverso il quale l’autore ci fa conoscere New Canaan (nome biblico di terra promessa usato ironicamente) immaginaria cittadina dell’Ohio e con lei quella provincia americana tradita e delusa fatta di case fatiscenti, di famiglie disfunzionali, di fabbriche dismesse, di ipocrisia, di disoccupazione, di dolore.
In questa parata i protagonisti del romanzo sono in realtà assenti: il morto Rick, del quale non c’è la salma, e i suoi amici del liceo Bill Ashcraft, Stacey Moore, Lisa Han, Danny Eaton, Kaylyn Lynn ex di Rick in realtà presente con il fisico ma non con i sensi. Il loro gruppo è tutto racchiuso in una foto piegata in quattro che Bill conserva gelosamente.
Ma la vera storia del romanzo inizia sei anni dopo nel 2013 quando in una notte d’estate le vite degli amici del liceo si incontreranno di nuovo a New Canaan ma non ci sarà un vero epilogo perché l’ultimo tassello andrà a posto soltanto nella Coda, datata 2017. La storia è divisa in capitoli nei quali, per mezzo di salti temporali che attraversano il decennio 2003/2013, conosciamo la vita di tutti i componenti del gruppo vincente del liceo. Erano belli, giovani, campioni e li attendeva un futuro scintillante.
La trama del romanzo è volutamente celata lungo tutti i capitoli, i tanti episodi della vita dei protagonisti, letti come in un gioco di specchi da ogni personaggio, piano piano alla fine ci rendono una visione d’insieme dell’intreccio. Ogni tassello alla fine troverà la sua collocazione ma il lettore arriva quasi sfinito all’ultima pagina, sfinito dal dolore, dalla perdizione, dalla cattiveria, dal nulla espresso da questi personaggi, sono tutti colpevoli, non si salva nessuno. Persino azioni che normalmente possono sembrare positive sono in realtà stravolte nel loro significato da sentimenti negativi, da opportunismo.
Ognuno di loro uscirà segnato, nel corpo ma soprattutto nella mente da questo decennio di passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Forse l’aspetto più agghiacciante è che la terribile storia ha i suoi prodromi proprio negli anni dell’adolescenza, quelli che dovrebbero essere spensierati e felici. Le 544 pagine del romanzo sono ricche di personaggi minori, ex amici, mariti, mogli, genitori, fratelli ma ognuno di essi lascia una traccia di sé funzionale alla storia, a volte la svolta parte proprio da loro (questo mi ha ricordato un po’ i grandi romanzi russi). In questo romanzo non c’è riscatto, non c’è salvezza, l’unico barlume di speranza viene affidato alle ultime parole di Bill a Stacey e lei infatti -”Non avrebbe più scordato quello che Bill disse dopo”-
Che dire dello stile di Stephen Markley? Lirico, poetico, fatto di immagini visionarie che ti prendono e ti trasportano in un altro universo, pieno di associazioni azzardate ma che valgono l’intero libro. E’ proprio l’accostamento coi temi crudi, dolorosi trattati e la poesia della scrittura che fa di “Ohio” un grande libro. Non è facile sviluppare una trama così triste e senza speranza, usando tra l’altro una voce narrante, senza mitigarla con uno stile emotivo. L’autore usa questo stile anche nelle molteplici descrizioni di luoghi, molte notturne, usando la natura e i suoi fenomeni (ad esempio i temporali) per rendere ancora più incisivi gli avvenimenti e gli stati d’animo dei personaggi.
Ho amato moltissimo “Ohio”, sono stata totalmente rapita dalla storia e dalla scrittura di questo impegnativo romanzo che non lascia indifferenti, che ti rimane dentro a lungo e che ti fa guardare questi nostri tempi senza filtri e ipocrisie.
PS: ho deciso di rileggerlo anche in inglese perché la traduzione, forse per rendere il parlato americano, è quasi totalmente priva di congiuntivi, tutta declinata all’imperfetto e l’ho trovata un po’ fastidiosa.