Novella degli scacchi
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Il gioco divino
Nel corso degli anni, lettura dopo lettura, mi sono imbattuto spesso nel gioco degli scacchi. Diversi scrittori sembrano nutrire una grande ammirazione per quest’attività quasi regale, spesso equiparata addirittura a una forma d’arte, proprio come fa in questo breve racconto Stefan Zweig. Sarà perché è un gioco in cui la fortuna non ha alcun ruolo, puramente intellettuale e dunque ammirato da ogni sorta di intellettuale, sarà per la sua complessità che non può che generare nel profano una sorta di riverenza, non troverete mai nessuno che abbia il coraggio di sminuirne il fascino.
Proprio come nel caso de “La variante di Lüneburg” di Paolo Maurensig (che sospetto possa aver tratto ispirazione da questa novella), gli scacchi sono protagonisti ma anche espediente per raccontare una storia legata all’incubo nazista: perché sebbene la maggior parte dei racconti abbiano scenari e protagonisti che ben conosciamo - i campi di concentramento, gli ebrei, i campi di battaglia, i soldati - vi sono anche storie periferiche che non lesinano in atrocità. Con “La notte di Lisbona” di Remarque mi si era presentata davanti agli occhi la storia dei “fuoriusciti”, degli oppositori tedeschi del nazismo; con questa “Novella degli scacchi” di Stefan Zweig sono venuto invece a conoscenza del trattamento riservato ai prigionieri “preziosi”, coloro i quali erano in possesso di informazioni importanti e dai quali si potevano cavar fuori nomi o ingenti quantità di denaro. La metodologia per estorcere loro informazioni rivela la crudeltà sottile e psicologica perpetrata dai nazionalsocialisti, che a ogni sua vittima cucivano su misura un trattamento che doveva costringerla a cedere: un trattamento che viene riservato anche al protagonista di questa novella, che il nostro narratore incontra su una nave diretta a Buenos Aires. Sulla stessa nave è imbarcato uno spocchioso e ignorante campione del mondo di scacchi, che dietro lauto compenso si presta a sfidare chiunque lo richieda e che trova, in questo sconosciuto, un inaspettato e degnissimo avversario. Ma chi è quest’uomo, e com’è riuscito a tener testa a un campione se, a quanto dice lui, non tocca una scacchiera da oltre vent’anni?
Il narratore riuscirà a farsi raccontare la sua storia, che al suo centro ha una spoglia camera d’albergo, sottili e crudeli strategie psicologiche e il piccolo libricino delle partite più famose dei grandi campioni di scacchi: un gioco che dall’essere un ripiego per riempire giornate pregne di nulla diverrà, per lui, una vera e propria ossessione.
“Definendo gli scacchi un gioco, non ci si rende però già colpevoli di un’offensiva limitazione? […] Antichissimo eppure eternamente nuovo, meccanico nell’impostazione ma dipendente dalla fantasia, confinato in uno spazio rigidamente geometrico e ciò nonostante sconfinato nelle sue combinazioni, in continua evoluzione eppure sterile, un pensiero che non porta a nulla, una matematica che non calcola nulla, un’arte senza opere, un’architettura senza sostanza e nondimeno nella sua esistenza e nella sua essenza notoriamente più duraturo di tutti i libri e di tutte le opere, l’unico gioco che appartiene a tutti i popoli e a tutte le epoche, e di cui nessuno sa dire quale dio lo abbia portato sulla terra per ammazzare la noia, acuire i sensi, sollecitare la mente. Dove ha inizio e dove finisce?”
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IL GIOCO DEGLI SCACCHI, METAFORA DELLA VITA
Come in “Amok” (che, ricordo, narrava di una irrazionale e inesplicabile follia omicida, una sorta di “idrofobia umana”) anche in questa brevissima novella la protagonista assoluta è un’ossessione, una monomania, che rischia di portare chi ne viene posseduto alla pazzia. E come in “Amok” (il cui io narrante era spinto dal “fascino sconvolgente” per le situazioni psicologiche estreme e per le singolari persone che le incarnano) anche in “Novella degli scacchi” abbiamo un narratore il quale è attratto da “tutti i generi di persone monomaniache, chiuse in un’unica idea”. Persino la struttura narrativa è praticamente identica: un viaggio in nave nel corso del quale una lunga confessione e un colpo di scena finale suggellano il senso del libro. La differenza tra le due opere è che tra l’una e l’altra intercorrono venti anni, e fatalmente Zweig si trova a fare i conti non solo con gli strascichi della “finis Austriae”, ma anche con l’avvento del nazismo, con l’Anschluss e con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Ecco quindi che il dottor B., che è il vero protagonista del racconto (ben più del suo antagonista, il campione mondiale di scacchi Czentovic), è costretto a subire non solo il prepotente affacciarsi di una classe di “specialisti”, di uomini-robot che eccellono in un unico campo delle umane attività e per il resto fanno sfoggio di una disarmante ignoranza e mancanza di cultura, neo-barbari che non hanno alcuna remora morale a calpestare e mettere brutalmente da parte un’aristocrazia ricca di valori, di educazione e di buon gusto, ma inevitabilmente giunta al tramonto della storia; a subire non solo questo – dicevo – ma anche la subdola violenza di un’altra barbarie, politica questa volta, quella dei nazisti, pronti a usare tutti i mezzi per annientare gli avversari e diventare in breve tempo i padroni del mondo. Stefan Zweig dice tutto questo con il suo inconfondibile stile di estrema chiarezza, pulizia e precisione formale (oltre che di eccezionale economia narrativa: qui veramente si può dire che non c’è una sola parola superflua, tanto la sua prosa è asciutta ed essenziale, pur mantenendo una incontestabile eleganza di fondo), in una mirabile sintesi tematica che usa il gioco degli scacchi come folgorante metafora della vita. Gli scacchi per Zweig simboleggiano non soltanto la lotta tra il bene e il male, tra la vita e la morte, tra il conscio e l’inconscio, ma, con il precipitare del dottor B. nella schizofrenia, rappresentano anche la condizione psicologica dell’uomo del Novecento, condannato a vivere sulla sua pelle la tragedia della dissoluzione e della frammentazione dell’io.
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La paranoia degli scacchi
E' sufficiente leggere poche informazioni sulla sua vita per capire che grande autore sia stato. E' riuscito a portare in questo breve racconto la persecuzione che egli stesso ha vissuto durante la seconda guerra mondiale. Un vero peccato che la depressione l'abbia portato al suicidio prima della fine della guerra; avrebbe avuto molto di cui scrivere.
E' incredibile come l'autore sia riuscito a suscitare in me la sensazione di vuoto e di angoscia che il personaggio "dottor B" ha vissuto durante la sua carcerazione da parte della gestapo e contemporaneamente a far emergere un interesse per gli scacchi, che non sapevo di avere. Nonostante sia datato 1941, lo stile è moderno e fluido, in grado di tenere sempre alto l'interesse.
Superba la relazione tra la mente grezza e ignorante del campione del mondo, e quella dinamica ma psicotica del "dottor B" e come quest'ultimo riesca a soggiogare il campione nonostante fosse la sua prima vera partita a scacchi.
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Sotto scacco
Sul quadrante da sessantaquattro caselle bianche e nere si gioca una partita che va ben oltre le apparenze.
- “Definendo gli scacchi un gioco, non ci si rende già colpevoli di un’offensiva limitazione?” -
- “Un’architettura senza sostanza” - Non è forse vero che la danza dei pezzi di legno sulle celle, disegnata dalle loro traiettorie costruisce formidabili castelli, per quanto inafferrabili nella loro evanescenza, concreta solo nelle menti dei grandi scacchisti?
L’occhio dell’autore vede al di là di ciò che è scritto.
- “Dove ha inizio e dove finisce?” -
Il mio primo Zweig mi coglie di sorpresa con una novella semplice ma vibrante di significati arcani, con una scrittura lineare ma capace di evocare magistralmente le sfumature dell’animo.
Nella contesa animata dalle figure e dalle atmosfere del testo si colgono due elementi, che nella loro concatenazione sono emblematici della crisi, richiamando alla mente l’immagine dell’uomo che annaspa in balia dei flutti per poi annegare: prima la frenetica, esasperata lotta figlia dell’istinto di sopravvivenza, rappresentata dalle smanie del Dottor B, poi il soccombere, l’abbandono, la resa senza condizioni, la rinuncia ad offrire qualsiasi resistenza all’oblio.
Non è difficile immaginare che questo rappresenti l’ultimo scritto dell’autore austriaco prima del suo addio, e volendo spingere oltre l’analisi, ci si può leggere una sorta di allegoria del suo dramma esistenziale. Non c’è rabbia, non c’è condanna, né volontà di rivalsa, ma soltanto una profonda impotente amarezza.
D’altra parte, questa brillante novella, offre infinite chiavi di lettura alternative o piuttosto complementari.
Zweig, ad esempio, calca la mano sull’impossibilità di vestire il rozzo con abiti signorili. Czentovic è baciato dalla fortuna che gli fa dono di una dote degna della carrozza fatata di Cenerentola, capace di spalancargli le porte dell’alta società, eppure nulla può nel compiere il miracolo di trasformare il garzone ottuso e così la metamorfosi dell’anatroccolo sgraziato nel nobile cigno non ha luogo fra queste pagine. Czentovic è oggetto di scherno, non accettato dagli altri cigni come fratello, e lui stesso, figlio della polvere, sa di non esser parte di quello stormo, motivo per cui vola leale e sincero solo al fianco dei suoi simili, freddo, criptico ed altero invece, con i suoi nuovi pari.
Sullo scacchiere sono tanti i pezzi minori, ridicoli nella loro ridotta capacità d’azione, eppure sul finale è proprio il misero pedone a sbarrare la strada all’alfiere, a diventare determinante per il volgere degli eventi. Anche qui forse si cela una piccola missiva dell’autore, difficile dire se un tenue barbaglio di luce o, più in sintonia con le tonalità plumbee del testo, il sinistro rumore del chiavistello che blinda definitivamente il buio della cella.
In conclusione, merita una menzione lo splendido cammeo dedicato al piacere della lettura. Non potrà che mettere in vibrazione le corde più intime dei lettori entusiasti e appassionati…
- “Mi avvicinai e dalla forma rettangolare della sporgenza mi parve di capire cosa contenesse quella tasca: UN LIBRO! Cominciarono a tremarmi le ginocchia: UN LIBRO! Erano quattro mesi che non ne tenevo in mano uno, e la sola idea di un libro in cui vedere parole allineate, righe, pagine e fogli, di un libro nel quale leggere, seguire pensieri diversi, nuovi, estranei, pensieri da accogliere nel cervello, capaci di distrarre, aveva un che di esaltante e paralizzante allo stesso tempo.” -
Oltre a celebrare in modo sublime ed efficace la preziosità del LIBRO, questo piccolo brano offre la possibilità di apprezzare un assaggio della scrittura di Zweig, facendosi un’idea di questo indubbio capolavoro letterario.
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Lo specialista idiota, paradigma del mondo di oggi
** Attenzione, anticipazioni sulla trama **
La 'Novella degli scacchi' è probabilmente, insieme a 'Il mondo di ieri', l’opera più nota di Stefan Zweig, e questi due testi, che a mio avviso dovrebbero essere letti in sequenza perché insieme permettono di comprendere compiutamente la personalità artistica e culturale dell’autore, furono anche gli ultimi da lui scritti prima del suicidio suo e della moglie nell’esilio brasiliano, avvenuto nel febbraio del 1942.
Della figura di Zweig, che nel periodo tra le due guerre mondiali è stato uno degli scrittori più noti e tradotti al mondo, credo sia interessante mettere in rilievo la biografia e in particolare i caratteri del suo impegno civile, perché da questo è possibile contestualizzare, e quindi comprendere meglio, le sue opere letterarie, ed analizzare quindi anche il contenuto della 'Novella degli scacchi'.
Zweig nasce nell’ambiente dell’alta borghesia ebraica viennese: il padre era un importante industriale e la madre figlia di banchieri. Sin da giovanissimo si imbeve di un intenso cosmopolitismo, sia perché la Vienna di allora è il crogiolo delle diverse culture che formano l’impero, sia in quanto il suo status economico e sociale gli permettono di compiere numerosi viaggi in Europa e non solo. L’incontro e l’amicizia con Hofmannsthal sono decisivi nella sua formazione poetica, al pari di quello con Rainer Maria Rilke.
Zweig infatti in gioventù fece parte del gruppo della 'Jung-Wien', i letterati che negli ultimi anni del XIX secolo ruppero con le rigide convenzioni della letteratura accademica austriaca dell’800 approdando ai lidi di un modernismo fortemente pervaso delle scoperte della nascente psicanalisi, e di cui facevano parte personalità artistiche affatto diverse, come Arthur Schnitzler, Jacob Wassermann, Hugo Von Hofmannsthal e Karl Kraus (che però se ne distaccò presto, da autentico eretico quale era). Di questo straordinario ed eterogeneo gruppo Zweig incarna, insieme all’amico Von Hofmannsthal, l’animo più nostalgicamente classicista, che pur essendo pienamente consapevole della crisi del positivismo ottocentesco e del suo corrispettivo letterario, il naturalismo, vi oppone il recupero di una purezza e di una precisione di stile che è l’espressione stilistica del ripristino dei vagheggiati valori morali e culturali sui quali era stata fondata originariamente la società borghese nella sua variante asburgica, quella società che verrà spazzata via dalla grande guerra.
Allo scoppio della prima guerra mondiale trova un impiego all’archivio di stato, e dopo un primo periodo di entusiasmo patriottico, si rende conto dell’atrocità del conflitto e assume posizioni pacifiste: passerà un lungo periodo in Svizzera, collaborando con altri intellettuali europei a riviste nelle quali viene predicata la fraternità universale nel nome della comune cultura europea. Il suo impegno si intensificherà dopo la fine del conflitto, quando, rientrato in Austria, guarderà con distacco alle pulsioni rivoluzionarie del primo dopoguerra per diventare come detto, nei successivi e apparentemente più tranquilli anni, uno degli scrittori internazionalmente più noti: membro particolarmente attivo del P.E.N. Club International, sarà amico di moltissimi intellettuali europei, scrivendo e tenendo conferenze sulla necessità di superare i nazionalismi e fondare un’Europa unita della cultura. Dopo l’avvento del nazismo e l’anschluss sarà costretto all’esilio, prima in Gran Bretagna, quindi negli Stati Uniti ed infine in Brasile.
Come emerge da queste scarne note biografiche, il tratto 'politico' che caratterizza Stefan Zweig è il suo cosmopolitismo, basato sostanzialmente sull’idea che la cultura possa essere il collante di una solidarietà sovranazionale che assuma valenze politiche. Questa concezione ideale, sicuramente nobile ma intrisa a mio avviso di un velleitarismo ideologico derivante dall’estrazione sociale dell’autore, sarà smentita dalla Storia per ben due volte nel corso della vita di Zweig. La prima volta quando, allo scoppio della grande guerra, Zweig vedrà la gran parte dei suoi amici letterati austriaci, tedeschi, francesi, belgi, italiani etc. schierarsi senza se e senza ma sugli opposti fronti nazionali, e la seconda quando la barbarie assoluta del nazismo gli entrerà letteralmente in casa. In nessuno di questi due momenti il borghese Zweig riesce ad elaborare una risposta a ciò che sta accadendo basata su una vera comprensione delle cause profonde della realtà che lo aggredisce: si illude che la cultura, in quanto moralmente superiore, possa da sola estirpare il male, che le élites intellettuali europee possano portare il mondo verso nuovi lidi di pace universale. Quando quest’illusione è spazzata via dal rumore degli stivali della wehrmacht che marciano per i viali di Vienna, quando è costretto ad andarsene lungo una strada foscamente illuminata dai falò dei suoi libri e di quelli di tanti altri scrittori, allora la sua risposta sarà ancora più illusoria e nostalgica: non potendo comprendere il perché del mondo di oggi cercherà di resuscitare idealmente il mondo di ieri, quello dell’Austria felix della sua giovinezza, in questo peraltro trovandosi in discreta compagnia.
La 'Novella degli scacchi' appartiene a questo estremo momento dell’elaborazione culturale dello scrittore viennese, condizionato sicuramente dalla sua condizione di esule: pur essendo ambientata nella contemporaneità, è l’estremo tentativo compiuto dallo Zweig narratore di proporci il suo sistema valoriale derivato direttamente dal vecchio mondo asburgico, contrapposto al mondo del suo oggi, in cui i disvalori e la barbarie hanno preso il sopravvento.
La trama della novella è molto semplice. L’io narrante (Zweig) sta effettuando una traversata atlantica; sulla nave vi è anche il campione del mondo di scacchi, Mirko Czentovic, un giovane slavo che, pur essendo un genio della scacchiera, è ottuso, ignorante e venale, come veniamo a sapere dalla sua vita narrata lungo alcune pagine. Incuriosito dalla personalità contraddittoria del campione, il narratore per accalappiarlo comincia a giocare a scacchi con la moglie, ed in breve sulla nave si forma un piccolo gruppo di giocatori. Tra questi vi è McConnor, un ricco scozzese che riesce, grazie all’offerta di un lauto compenso, a convincere il campione a giocare contro di loro. Dopo la prima facile vittoria di Czentovic, uno sconosciuto suggerisce alcune mosse ai dilettanti, rivelando una straordinaria competenza scacchistica, e la seconda partita finisce in parità. Conosceremo quindi la storia di questo avvocato viennese, il dottor B., la cui famiglia da decenni curava gli interessi particolari della curia e dei principali membri della corte asburgica, anche dopo la fine della grande guerra. Sapremo che egli fu arrestato dai nazisti, e come gli scacchi, giocati solo con il pensiero grazie ad un manuale di cui viene in possesso, lo abbiano tenuto in vita durante la prigionia, ma come lo abbiano anche portato alla soglia della pazzia. Nelle ultime pagine del racconto si svolge la drammatica sfida al gioco tra il campione e il dottor B.
La novella, scritta nel classico stile pacato e preciso di Zweig, uno stile che rende bene il carattere moderato che in molti hanno rinfacciato a questo autore, assume in trasparenza quasi il carattere di una parabola allegorica, nella quale sono personificati gli elementi storici e culturali che Zweig in quello stesso periodo stava fissando in forma autobiografica ne Il mondo di ieri.
Innanzitutto, a mio modo di vedere assume una forte connotazione simbolica l’ambientazione sulla nave in mezzo all’oceano, lungo la rotta da New York va a Buenos Aires. Oltre ad essere stata una delle tappe concrete del viaggio dell’esule Zweig, questa nave rappresenta una chiara metafora dell’Europa che egli conosceva e considerava culla di civiltà e del suo andare alla deriva. I pochi protagonisti della novella sono infatti tutti europei: austriaci, anzi viennesi, il narratore e il dottor B., slavo Czentovic, scozzese McConnor.
Vi è poi, come elemento centrale della storia, la totale contrapposizione di personalità tra Czentovic e il dottor B., dei quali le vicende sono narrate in dettaglio al fine di una loro precisa caratterizzazione come tipi che incarnano i poli opposti della 'buona e vecchia Europa' e di quella 'barbara e nuova'. Notiamo quindi che il dottor B. è viennese, è nato al centro del vecchio impero, mentre Czentovic proviene dal Banato, dall’estrema periferia del dominio asburgico. Il dottore appartiene ad una antica e stimata famiglia austriaca, mentre Czentovic è figlio di uno slavo meridionale, povero in canna, battelliere sul Danubio. Ancora, B. è colto, e il suo cruccio maggiore durante la prigionia è di non avere libri e di non poter scrivere, mentre Czentovic non è capace di scrivere una frase senza errori d’ortografia e ”…la sua ignoranza era parimenti universale in tutti i campi”. Tutti gli aspetti della personalità di Czentovic sono descritti con disprezzo da Zweig: Il suo talento per gli scacchi è meccanico, figlio della sua stessa ottusità; è volgare nel vestire, venale ed avaro e ”si lascia ritrarre sulle réclames delle saponette”. Ancora, mentre il dottor B. non ha praticamente mai giocato a scacchi se non con la mente, Czentovic non è in grado di pensare il gioco, tanto che porta sempre con sé una piccola scacchiera pieghevole con la quale provare le mosse.
E’ una contrapposizione, quella tra i due personaggi, che trovo sin troppo manichea, soprattutto in quanto volta a dimostrare quanto eccellenti fossero le virtù del mondo di ieri, quanto in quel mondo allignassero la correttezza morale e la cultura.
Da un lato, a mio modo di vedere, è infatti sicuramente efficace la figura paradigmatica del mondo e dell’uomo nuovo rappresentata da Czentovic, di cui Zweig sa tratteggiare non solo la volgarità, ma anche un carattere che effettivamente assume estrema importanza nella società del ‘900, e la cui coscienza gli era derivata probabilmente dal periodo trascorso negli Stati Uniti: l’affermarsi della specializzazione. Nel nuovo mondo, nell’era della tecnologia e del capitalismo avanzato, non conta più essere colti; conta essere specialisti. Czentovic è un idiota, ma sa giocare benissimo agli scacchi, per cui ha successo, esattamente come perfetti idioti al di fuori del loro campo sono molti degli specialisti che già ai tempi di Zweig, e ancora di più oggi, occupano posti di rilievo in campo scientifico e nella società in generale.
L’alternativa agli Czentovic che hanno portato il mondo verso l’abisso, però, secondo me non può essere il rifugio nel passato rappresentato dal dottor B.: di ciò peraltro era sicuramente consapevole anche Zweig, come dimostra il finale della novella ma come dimostra anche, molto più tragicamente, il suo suicidio pochi mesi dopo avere terminato la Novella degli scacchi. Il problema a mio avviso è che questa non soluzione dimostra come Zweig non avesse compreso le vere cause di ciò che stava accadendo, visto che la sua unica proposta si chiude entro una nostalgia che egli per primo sa essere impraticabile.
Se quindi si deve il massimo rispetto alla figura morale di questo intellettuale integro, che seppe, a differenza di altri, non scendere a compromessi con il potere montante del nazismo, pagando le estreme conseguenze delle sue convinzioni, non si può non sottolineare come queste stesse convinzioni fossero estremamente deboli, frutto di una estrazione altoborghese ed elitaria da cui non seppe mai liberarsi, non capendo mai che le cause vere delle tragedie che stava attraversando erano interne a quel mondo di cui sognava il ritorno, erano anche i frutti diretti del suo mondo di ieri. Eppure, lui così attento ai simboli avrebbe potuto riflettere sul fatto più drammaticamente simbolico che capitò nella sua vita. A Salisburgo, tra le due guerre, Zweig viveva in una vasta casa situata su una collina da cui dominava la città, e nella quale accumulava i pezzi della sua collezione di autografi degli artisti del passato e di mobili a loro appartenuti. Da lì, da quella posizione di privilegio, vedeva non lontane le montagne dell’Obersalzberg, dove un giorno, alla stessa altezza della sua, fu costruita la casa per le vacanze di un signore chiamato Adolf Hitler. I due si potevano quindi in un certo senso guardare negli occhi, e se Zweig fosse stato più attento, avrebbe potuto notare che tra i numerosi ospiti che andavano a riverire l’inquilino del Berghof c’erano anche molti degli appartenenti a quella borghesia industriale di cui egli era figlio, molti di quelli con i quali sperava di ricostruire il suo mondo andato per sempre in frantumi.
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Scacco matto
“Antichissimo eppure eternamente nuovo, meccanico nel suo impianto eppure efficace solo attraverso l’immaginazione, limitato in uno spazio geometrico fisso e allo stesso tempo illimitato nelle sue combinazioni”, il gioco degli scacchi, con il suo fascino immortale, è protagonista di questa novella scritta da Stefan Zweig nel 1942.
Sullo sfondo informe e incolore di una nave da crociera, si svolge una partita emblematica. Da un lato Mirko Czentovic, goffo e rozzo campione mondiale, privo di cultura e di fantasia, arrogante e orgoglioso nella propria pochezza intellettuale. Dall’altro il Dottor B., giocatore dilettante, pacato e modesto avvocato dalla mente fine e visionaria, rappresentante della vecchia Austria imperiale, istruita, garbata, educata. Quell’Austria che non c’è più.
Una partita nel gioco intellettuale per eccellenza, quello che poco concede al caso e alla fortuna, quello dove contano solo la strategia, la lungimiranza, la mente. Un quadrato bianco e nero. Sessantaquattro case. Trentadue figure. Pezzi da sacrificare per il bene di altri, posizioni da difendere, vantaggi da conquistare: una guerra. Ma allora, qual è la vera partita che si sta giocando?
Un nemico ignorante, che non sa scrivere correttamente in alcuna lingua e neppure giocare partite a mente, che conosce solo la legge del denaro e le regole degli scacchi. Sembra facile da combattere. Ma è davvero lui il vero nemico? O è la passione del gioco, la brama di vincere, l’esaltazione di trionfare? La follia di giocare una partita in cui il nemico vero potresti diventare tu stesso?
Bellissima questa novella capace di racchiudere in un momento di gioco una molteplicità di significati e possibili interpretazioni, capace di rappresentare con un aggettivo o un gesto la profondità psicologica di un personaggio e forse di un’intera epoca, capace di immortalare nella brevità di un racconto l’intensità di un momento storico e la difficoltà di trovare il proprio equilibro per riuscire ad affrontarlo.
Scacco matto. Finisce così una partita. Triste pensare che con questa novella si sia chiusa la partita della vita di Zweig, morto sucida poco tempo dopo.
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Lotta interiore tra bianco e nero
La novella degli scacchi è l'ultimo racconto di Zweig prima del suicidio avvenuto nel 1942. Scritto nel 1941 racconta la storia di due personaggi molto particolari che,destino vuole, si incontrano di fronte ad una scacchiera. Il primo è un certo Czentovi?, un contadinotto rozzo e ignorante ma è il campione mondiale in carica degli scacchi, l'altro è un personaggio molto affascinante, chiamato Dottor. B., è un avvocato che copriva i conti della chiesa tedesca.
Tutte le vicende si svolgono su un piroscafo transatlantico, uno spazio limitato, dove i personaggi finiscono per incontrarsi. Quello che li accomuna (anche se in maniera del tutto diversa) è il gioco degli scacchi. Nel libro vengono narrate, sotto forma di racconto le storie dei due protagonisti. Da un lato il campione in carica, cresciuto in campagna, ha scoperto il suo talento per gli scacchi per caso. Ha un comportamento arrogante e non curante ed è legato solo al denaro e agli scacchi (tanto da giocare sulla nave solo in cambio di denaro), dall'altro lato, la storia è più interessate. Il nostro avvocato Doctor.B fu arrestato dalla gestapo e rinchiuso per mesi in una stanza d'albergo tutto solo con l'obbiettivo di sottoporlo a continui interrogatori. I mesi passano, 1-2-3 mesi, lenti, finché non riesce a sottrarre di nascosto un libro, un compendio di scacchi di 150 partite di partite famose. Il nostro doctor B inizia ad imparare a memoria le partite e a ricostruirle mentalmente, finché non decide di giocare da solo. Questo è il punto chiave del romanzo. Come può giocare da solo se non ha un compagno ? avrebbe mosso sia per i bianchi che per i neri, ma lui chi era ? il bianco ? il nero ? l'amico o il nemico di se stesso ? Iniziando a giocare esultava quando il suo Io nero facevo una buona mossa, ma si disperava se il bianco ne faceva una pessima. C'è una spaccatura interiore, una totale mancanza di senso di interiorità personale che rappresenta l'uomo durante il secondo conflitto mondiale. Questa condizione lo porterà ad una grave schizofrenia che sfocerà all'aggressione di una guardia mentre esclamava nella più totale confusione mentale "fai la prossima mossa bastardo, tocca a te ".
Comunque venne liberato e costretto all'espatrio dall'Austria, i due si incontreranno davanti alla scacchiera sulla nave.
Il libro è assolutamente scritto benissimo, ad un ritmo lento e pacato dell'inizio, si contrappone una prosa incalzante, frenetica, che trasmette una forte empatia al lettore tanto da sentirsi angosciato per quella condizione mentale in cui si trova il doctor B. l'Io narrante è un personaggio che assiste agli eventi e che interroga i protagonisti sulla loro storia. Notevolmente complessa è l'analisi dei personaggi. con Il campione mondiale (e qui cito la critica) "Zweig sottolinea nella figura del campione l'aridità di chi vive unicamente e spietatamente per denaro. Czentovi? è il simbolo del tramonto dell'anima aristocratica, degli antichi valori destinati a soccombere di fronte a un'intelligenza arrogante, selettiva e solo per questo vincente." , mentre il Doctro B è un uomo spaccato in due, che riflette la condizione umana di un mondo aperto al secondo conflitto mondiale, le fazioni opposte e la guerra, la disperazione di Zweig e ne anticipa il suicidio avvenuto l'anno dopo.
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L'ALLEGORIA DEL GIOCO
Il racconto di Zweig è una storia breve ma interessante. Impossibile sintetizzare in poche parole la trama, poiché significherebbe anticipare il libro intero: possiamo dire che Czentovic, campione di scacchi, si ritrova nel corso di una traversata marina a giocare con un misterioso sconosciuto, che sembra riuscire a tenergli testa. La novella di Zweig è tuttavia molto più di questo.
La partita a scacchi è un’interessante allegoria di distrazione, di un piacere più o meno transitorio che diventa ragione di vita in presenza di situazioni che tale la fanno diventare. Novella degli scacchi non vuole limitarsi a raccontare uno scontro a scacchi tra due soggetti più o meno geniali, ma si fa portavoce di un’analisi psicologica sottostante alle ragioni dietro la maniacalità verso il gioco, si concentra non sugli scacchi, ma sugli scacchieri dipingendoli come allegorie di soggetti bisognosi di un’ancora di salvezza, riuscendo al contempo a dipingere tratti della società circostante.
Arrivato a questo punto Zweig si trova al termine della sua carriera letteraria (si suiciderà solo l’anno dopo), e lo stile ne è testimone: la scrittura è assai scorrevole, risultando adatta inizialmente per una leggera lettura per poi riuscire a trasformarsi in una delle più angoscianti narrazioni mai lette, e non perché la trama preveda momenti narrativamente studiati per risultare tali, ma per la semplice empatia che Zweig riesce a far si che il lettore leghi con il personaggio interessato. Come detto infatti, Novella degli scacchi è prima di tutto un racconto psicologico.
Mi tocca segnalare una a mio avviso inadeguata e troppo improvvisa transizione dai toni leggeri dell’introduzione alla storia narrata dal dottor B., che vuole si risultare pesante per il lettore proprio per meglio permettere l’identificazione del lettore stesso con la situazione narrata, ma risulta mal digeribile da quest’ultimo proprio per l’inaspettato e a tratti quasi traumatico cambio di tematiche, e un protrarsi troppo a lungo nella narrazione stessa. Ciononostante, tale momento riesce nell’intento di immergere il lettore nel mondo narrato. Trova il suo apice nella sequenza finale, incredibilmente ansiogena, che riesce a mischiare con un’arte quasi perfetta la “leggerezza” di una partita a scacchi con la situazione psicologica di B. ad essa sottostante.
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il gioco
Lettura veloce e interessante. Veloce perché la novella è breve e lo stile incalzante, interessante per una serie di motivi, che, nel mio caso, prescindono tutti dal gioco in questione.
Un lessico da strategia militare, la rappresentazione di una partita a scacchi, a più riprese, surreale e grottesca messa in scena dopo una magistrale descrizione di Czentovic, uno zotico campione del mondo, una negazione di tutte le doti intellettive che normalmente attribuiamo ai grandi giocatori, un campione atipico insomma. Un giocatore che mina, casualmente e momentaneamente il suo predominio, l' enigmatico Dottor B con la sua storia dentro la storia.
Un testo breve di cui di più non posso svelare perché il suo fascino è, oltre che nello stile, nella trama.
Un autore interessante che si cimenta con una tematica da tanti affrontata prima e dopo di lui.
Un testo, l'ultimo dell'autore prima del suicidio esule dalla sua tanto amata e compianta Vienna imperiale quando l'annessione tedesca era già un ricordo ma una ferita ancora sanguinante.
Uno scritto che è stato variamente interpretato e al quale sono stati dati molteplici significati, mi limito a segnalarlo come una lettura gradevole ricca di spunti che se si vuole si possono inseguire, personalmente mi sono piaciuti il modo di indagare l’animo umano o meglio la psiche, i riferimenti agli eventi storici e il potere di una storia di farmi pensare a certe altre storture ludiche, meno intelligenti, che purtroppo, legalizzate, si insinuano nelle debolezze dell’uomo contemporaneo.