Nina per caso
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Vola Nina, vola!
La diciottenne Nina, apprendista parrucchiera da appena due mesi, è alle prese con i turbamenti tipici della sua età, ed è proprio tra una delusione ed una illusione che si appresta ad abbandonare la spensierata giovinezza per entrare nel mondo “degli adulti”. Ingenua, ricca di ideali in antitesi con la realtà spesso dura e arida, la giovane protagonista è una ragazza in erba, in cerca della sua strada.
Suzy, la madre dai “capelli rossi, occhi verdi, non molta alta, piuttosto sexy, forse un po’ ingrassata dopo l’ultima delusione d’amore” è una donna di temperamento e non ancora disillusa nonostante viva la sindrome dell’abbandono degli uomini che transitano nella sua vita dopo la separazione dal marito lasciato in quel di Parigi. Lavora nella fabbrica di merletti capitanata dai due arcigni capi ed è affiancata da operaie fiere e battagliere in perenne lotta con il sistema al fine di ottenere – scenario dalla suggestione tipicamente ottocentesca – il miglioramento di quelle condizioni di lavoro così precarie e al limite.
Dal punto di vista maschile Nina ha come riferimento Arnold, l’amico degli uccelli, questo rappresenta l’uomo in positivo quello a cui la giovane si rivolge e da cui si rifugia quando ha bisogno di aiuto. Del padre sappiamo ben poco, è descritto come una figura scolorita sulla tela, di esso continua a vivere soltanto un ricordo sfocato nel e dal tempo.
Inevitabile il confronto tra la nostra Nina e quella del Gabbiano di Checov. Ella sogna qualcosa di diverso, di lontano, quell’elemento che possa dare un senso alla sua vita ed il caso vuole che trovi quel significato arcano e vitale nel fugace incontro con uno sconosciuto che alloggia nell’hotel Splendid di fronte casa sua e che sta per imbarcarsi. Si sente come un gabbiano che risale il corso del fiume per scoprire qualcosa di diverso ma rivelatore, una nuova maturità, una raggiunta consapevolezza. Nell’arco temporale di 3-4 giorni – dal venerdì al lunedì successivo – la vicenda nasce e si sviluppa portando la protagonista a diventare una donna, una femme con un segreto nascosto tra le pieghe del suo animo e che forse un giorno condividerà con la madre. Nonostante tutto davanti a sé vede il futuro, questo si apre dinanzi ai suoi occhi come un’immensa spiaggia dove il vento solleva la sabbia e spinge i gabbiani indolenti.
Il romanzo è interamente incentrato sul rapporto, esclusivo e complice, tra madre e figlia: la figura materna è protetta ed amata con indulgenza dalla progenie. Narrato in prima persona con l’alternanza dei caratteri normali da quelli in corsivo, il testo si presenta lineare nello stile, corretto e scorrevole, ma la storia non riesce a coinvolgere completamente il lettore. Interamente permeato da una grande tristezza, il componimento a tratti può risultare pesante, farraginoso. Inoltre alcuni aspetti potevano essere maggiormente approfonditi; tra i tanti il personaggio di Arnold (che obiettivamente aveva una buona base su cui lavorare e che sinceramente incuriosisce chi legge) rigorosamente “abbandonato alla fantasia del lettore”, o ancora in merito al vecchio Delplat e alla sua proposta di un rapporto a pagamento con la giovanissima, non è riservato altro che un breve accenno. Interessante la figura del gatto bianco del padrone della fabbrica dove lavora la madre di Nina: è sinonimo di libertà e purezza in un mondo di oppressione e artifizi. Nell’ultimo capitolo l’autrice passa dalla prima persona narrante alla terza del narratore onnisciente, probabilmente per dare uno smacco al testo.
Sono trascorsi già 5 anni da quando ho letto questo romanzo e continuo a pensare che o lo si ama o lo si odia, è uno di quegli scritti per i quali una via di mezzo non c'è.
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