Nanà
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La Venere discinta
È il 1880 quando, come un pugno in piena faccia, la pubblicazione di questo libro colpisce fragorosamente pubblico, critica, l'intero mondo letterario. "Pornografico" è uno degli aggettivi più ricorrenti per definire l'opera in questione, in cui Zola, senza in effetti andare troppo per il sottile, mette a nudo un universo di torbide passioni, di impulsi tanto irrefrenabili quanto distruttivi, di peccaminosi segreti che caratterizzano il bel mondo parigino, ma che potremmo estendere a tutta la borghesia Europea dell'epoca, di cui tutti erano a conoscenza ma del quale nessuno parlava pubblicamente, celandolo dietro una maschera di perbenismo, un velo di misera ipocrisia. Il clamore delle polemiche non fa altro che accrescere la curiosità attorno a questa nuova uscita che, complice anche quella che viene definita come una vera e propria "orgia pubblicitaria", si rivelerà un enorme successo di vendite, raggiungendo una tiratura impensabile all'epoca. Oggi, a quasi un secolo e mezzo di distanza dalla sua comparsa, Nanà ha sicuramente perso gran parte nella sua carica trasgressiva, se confrontato con una società come quella attuale in cui la pornografia è all'ordine del giorno. Tuttavia conserva un inestimabile valore letterario, per quello che ha rappresentato alla sua uscita ma soprattutto per la qualità della scrittura, per l'incontestabile eleganza dello stile, la spiccata capacità introspettiva, la delicata minuziosità delle descrizioni. Siamo in un teatro parigino gremito di pubblico. La folla è in trepidante attesa che compaia sul palco la nuova punta di diamante dello spettacolo capitolino, la bella e provocante Nanà. La discinta Venere si mostra ai presenti in tutto il suo giunonico splendore, sconquassando come un voluttuoso terremoto le concupiscenti anime degli astanti. Priva di qualsiasi forma di talento nell'arte del canto e della recitazione, la nostra "cocotte" riesce, con la sola presenza in scena, a sopperire alle sue lacune tecniche, puntando tutto sulla sensualità, su sguardi lascivi, su conturbanti trasparenze. Fuori dalla scena inizia poi l'altro spettacolo, quello in cui i pensieri peccaminosi generati durante l'esibizione vengono messi in pratica. La camera della protagonista è un porto di mare, il luogo in cui gli uomini, incendiati dalla passione, perdono dignità, onestà e gran parte dei propri averi, per avere l'occasione di sfogare i propri infuocati istinti. Denaro, gioielli, lussi di ogni genere, proprietà, rendono Nanà sempre più potente, la sua generosa carnalità prende sempre più le sembianze di una trappola in cui uomini, ragazzini, donne stesse, cadono spinti dall'ineluttabile forza della passione. Ogni tanto qualcuno prova ad ottenere l'esclusiva formulando richieste di matrimonio che vengono rifiutate con tono canzonatorio. Nelle stanze di Nanà lo sfarzo non ha fine, lo spreco è incalcolabile. Quella della protagonista, tuttavia, non è un'avidità dettata dalla sete di denaro o di beni materiali, quanto dal desiderio di sfoggiare ostentatamente la sua grandezza. La sua concupiscenza non la spinge soltanto tra le braccia di persone facoltose pronte a sacrificare ogni bene pur di giacere con lei, ma anche tra quelle di teneri ragazzi senza arte né parte, di umili e spesso grezzi uomini di passaggio, di donne passionali al pari di lei. Un'orgia continua, un baccanale senza fine che si spegne soltanto quando ogni vittima è stata privata di ogni bene, di ogni briciolo di amor proprio, di ogni parvenza di decoro, quando la consuetudine porta a noia anche il più sfrenato dei lussi, quando dagli opulenti frutti non è rimasto nulla da spremere. "E mentre, in un trionfo, il suo sesso s’innalzava e risplendeva sulle sue vittime stese a terra, simile a un sole che s’innalza illuminando una carneficina, lei conservava la sua incoscienza di bellissima bestia, ignorante di ciò che faceva, sempre brava ragazza. Continuava a essere robusta, florida, in buona salute, allegra. Tutto quello che era accaduto non aveva più importanza, il suo palazzo le sembrava stupido, troppo angusto, pieno di mobili che le davano fastidio. Una miseria, semplicemente un inizio. Sognava qualcosa di migliore, e uscì di casa elegantissima, per andare ad abbracciare Satin per l’ultima volta, impeccabile, solida, tutta nuova, come se non fosse mai stata usata."