Mosca Petuski poema ferroviario
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Morte e resurrezione: metafisica dell'ubriacatura
Il poema ferroviario Mosca-Petuškì di Venedikt Erofeev è stato un mito culturale della tarda Unione Sovietica. Come tanti altri scrittori dell’età della Stagnazione, anche Erofeev era una figura marginale del paese. Era addirittura un bomzh, ovvero un senza fissa dimora. L’aspetto autobiografico è centrale nel suo capolavoro. È un romanzo ambivalente, perché gli elementi picareschi si alternano con quelli sacri, così come la commedia si perde nella tragedia. Mosca-Petuškì indica un tragitto: dalla capitale alla periferia. Petuškì è un luogo che realmente esiste e si trova leggermente più a est di Mosca. Il romanzo nasce come una dissacrazione parodica dell’Unione Sovietica ma pagina dopo pagina si trasforma nel cammino di espiazione dell’eroe, attanagliato dalle sue debolezze. Proprio per questo Venicka, il protagonista che ci ricorda già dal nome Venedikt Erofeev, non ha nulla di eroico e anzi è agli antipodi rispetto agli eroi sovietici. È vicino ai piccoli uomini della grande letteratura russa ottocentesca. È un protagonista caratterizzato da un’universale pochezza d’animo. Parla delle sue fragilità come di una malattia dell’anima, nella quale la pena e la paura si mischiano. Sono proprio la pena e la paura a generare il mutismo di chi soffre. Venicka, nonostante le difficoltà e l’umiltà, è un eroe che si fa portatore delle sofferenze altrui. Lo si può quasi considerare come un vate, un asceta spirituale. Sembra avere un afflato mistico, anche perché, pur appartenendo al popolo, ha un bagaglio culturale superiore rispetto agli altri bizzarri personaggi che incontra sul treno. Tuttavia, Mosca-Petuškì si caratterizza rispetto a qualsiasi altro romanzo soprattutto per la quantità di alcool che scorre dalla prima all’ultima riga. Si può affermare che si seguono tutte le evolutive tappe dell’ubriacatura di Venicka, dall’apertura dei negozi alla chiusura. È l’alcool a muovere i fili dell’intreccio narrativo: si passa da momenti di apertura a momenti di abbattimento, di tormento e di ansia. Venicka prova sulla propria pelle ognuna delle sensazioni dell’ubriacatura e proprio per questo comprende profondamente le ragioni per cui la gente in Urss si affoga nella vodka e quanto altro. Bere bevande alcoliche conduce da esperienze creative (si è come un pianista mentre si porta il bicchierino alla bocca) a esperienze metafisiche (si aprono altri mondi grazie all’alcool, mondi che non sarebbero altrimenti percorribili). Erofeev mette bene in evidenza l’ambivalenza dell’azione: quando manca l’alcool Venicka vive una vera e propria esecuzione, mentre quando può bere risorge. Il calvario del protagonista equivale alla passione di Cristo e non è un caso che nel romanzo si susseguono i riferimenti evangelici (il più esplicito è “alzati e cammina”, seguito nel finale da “perché Signore mi hai abbandonato?”). Inoltre, è significativo che il viaggio si svolge il venerdì (stesso giorno dell’uccisione di Gesù). Siamo anche in autunno e simbolicamente potrebbe indicare l’opposizione rispetto al periodo del Disgelo, alquanto diverso rispetto alla Stagnazione. Seguiamo nel corso della narrazione il viaggio dell’anima di Venicka, il suo pellegrinaggio così vicino agli scritti evangelici, tanto che ci sono anche dialoghi con gli angeli e il Signore, presentati come voci della coscienza del protagonista; proprio per questo si può definire il romanzo come una composizione polifonica. Anche Petuškì richiama alla sfera spirituale. È considerata come un Paradiso, uno spazio ideale. Viene descritta così: “Petuškì è un posto dove gli uccelli non smettono mai di cinguettare, né di giorno né di notte, dove né l’estate né d’inverno sfiorisce il gelsomino. Dove il peccato originale non tormenta nessuno”. Però, Venicka non arriverà mai a Petuškì, non ci riuscirà a causa della sua ubriacatura che risulterà sempre più offuscante. Anche i personaggi incontrati, d’altronde, perdono la loro concretezza stazione dopo stazione (all’inizio avevano nomi bizzarri, come decabrista o baffo nero, ma apparivano concreti) e nel finale diventano una sfinge, un re, una principessa e Satana. Sono naturalmente delle allucinazioni del protagonista che si trova in uno stato di dormiveglia senza più bevande alcoliche nella propria valigetta. L’effetto della sbornia lentamente passa e, come detto, Venicka subisce la sua esecuzione. Il Cremlino, simbolo del potere sovietico, apre e chiude ad anello il romanzo. Al posto di raggiungere Petuškì, infatti, Venicka torna a Mosca e lì verrà aggredito da quattro uomini dai tratti classici. Nella parola classici è racchiusa la filosofia di Erofeev, per il quale, a differenza di quanto sosteneva la classicità, l’uomo è tutt’altro che perfetto. L’uomo è emblema dell’imperfezione, proprio come Venicka che prova dolcezza soprattutto per “chi di fronte a tutti si piscia sotto”. Anche per tale motivo Mosca-Petuškì è divenuto in breve tempo un mito culturale della tarda Unione Sovietica, poiché ha saputo parlare agli ultimi, agli emarginati del sistema e a coloro i quali hanno cercato di cancellare le sofferenze con la vodka.