Miramar
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La società egiziana postrivoluzionaria
Alessandria d’Egitto, 1966. Amore, politica, storia, denaro, morte sono gli elementi attorno a cui si dipanano le storie di sette personaggi molto diversi tra loro che si ritrovano per motivi diversi a vivere sotto lo stesso tetto, quello della pensione Miramar, un albergo che, come la sua sfiorita ma orgogliosa proprietaria Mariana, contrappone ad una ineluttabile decadenza i labili sentori dei fasti di un tempo ormai lontano. Il fulcro del racconto è la morte di Sahran, giovane avventore della locanda, che ci viene raccontata da diverse angolazioni grazie ad un progressivo alternarsi delle voci narranti: ogni personaggio racconta la sua versione, arricchendo la cronaca di particolari sempre nuovi, ma contemporaneamente racconta anche se stesso, la sua storia personale e il suo punto di vista su quella del paese, il proprio modo di essere e di vedere il mondo. Proprio questo sembra essere lo scopo principale di Mahfuz: presentare, attraverso le varie anime che la compongono, un quadro completo e soddisfacente di una società egiziana postrivoluzionaria molto eterogenea, divisa da obiettivi, visioni e interessi diversi. Con stile e originalità narrativa l’autore mischia il giallo con la cronaca rosa, la psicologia con l’analisi storica, il presente con il passato, trovando il giusto equilibrio tra personaggi antitetici e molto rappresentativi, ma forse privi di quel carisma capace di coinvolgere veramente il lettore. Tra tutti l’unica che spicca veramente è la bella cameriera Zahra, forte e decisa ragazza di origine contadina dotata di un fascino selvaggio a cui nessuno è in grado di resistere e che sembra simboleggiare in pieno la massa onesta e lavoratrice del popolo egiziano che cerca di riscattarsi dai soprusi e dall’ignoranza ma che si vede costretta a subire l’influenza e le decisioni altrui: “Credimi, il tuo tempo non è passato inutilmente, poiché chi conosce le ingiustizie conosce anche, come per incanto, il giusto a cui aspira…”.