Mille splendidi soli
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Mashallah
“Non si possono contare le lune che brillano sui suoi tetti né i mille splendidi soli che si nascondono dietro i suoi muri” con queste parole il poeta persiano Saib Tabrizi, esprime il fascino di Kabul.
Questa è una storia piena di dolore ma anche di coraggio e di rivalsa, due donne legate dal destino in una Kabul martoriata dai conflitti bellici e dalla supremazia dei Talebani. Mariam e Laila hanno età ed estrazione sociale diverse. Mariam è una “harami” una bastarda, sua mamma non tarda mai a ricordaglielo, figlia illegittima di un uomo benestante, fin da piccola sa cosa significhi la sopportazione e la privazione non solo materiale ma affettiva. Al contrario Laila cresce in una famiglia privilegiata che cerca di darle un’istruzione e la circonda d’amore. Due vite parallele che per un tragico evento dovranno incontrarsi.
Possiamo considerarlo un romanzo di denuncia. In quegli anni, a cavallo tra il 1970 e il 2000 i diritti alle donne venivano negati. Sottomesse ad uomini che le considerano solo un mezzo per procreare, una donna che non riesce a mette al mondo un figlio maschio veniva ripudiata, nella maggior parte dei casi spose-bambine vendute dalla famiglia stessa. Con l’escalation del regime Talebano le privazioni aumentarono, furono costrette ad indossare il burqa, ed uscire di casa solo accompagnate da figure maschili, non era ammessa loro nessuna istruzione perché una donna istruita è pericolosa, non avevano diritto al lavoro e alla sanità, molti ospedali non accettavano pazienti donne, l’adulterio era punito con l’esecuzione in pubblico, da parte dei Talebani, o dalla famiglia stessa, in molti casi è proprio il padre, che secondo una tradizione scellerata, doveva lavare l’onore con il sangue. Per l’emancipazione femminile bisognerà attendere ancora molto, perché la storia si ripete, dopo l’accordo di Doha nel 2020 che sanciva la pace tra il regime talebano e gli Stati Uniti, con il ritiro delle forze armate statunitensi dal paese, il 15 agosto 2021 i Talebani hanno ripreso il controllo dell’Afghanistan, facendo ripiombare nell’oscurità la città di Kabul, con milioni di profughi in fuga, ma promettendo alle donne che questa volta sarà diverso, che i loro diritti non saranno calpestati, come? Facendo ritornare di moda il burqa, con l’obbligo di indossarlo ogni volta che escono di casa.
Khaled Hosseini è nato a Kabul, conosce bene questa terra, e nei suoi romanzi ne racconta le mille sfaccettature, descrivendone la storia e le origini, le antiche tradizioni, conflitti interni, governi filo-sovietici fino l'ascesa dei Talebani. Offre la possibilità a noi occidentali di capire cosa significa nasce in Afghanistan, lo fa con una prosa semplice, diretta, non si limita a raccontare e basta, sbatte in faccia la realtà. Il primo romanzo che lessi di questo autore fu Il cacciatore di aquiloni” è stato un pugno nello stomaco, così decisi di leggere anche Mille splendidi soli, beh sono rimasta letteralmente senza parole, c’è un passaggio nel libro che ho fatto fatica a leggere, non nascondo di aver pianto, pensando alla forza di coraggio di una donna, che mette al mondo il proprio figlio, in un ospedale fatiscente dove non c’erano attrezzature e medicinali adeguati, subendo un parto cesareo senza anestesia. Consiglio questo romanzo perché tutti sappiano, perché è una storia che fa male, tocca le corde più profonde dell’animo e perché fa riflettere, quando crediamo di aver subito un torno, allora ricordiamoci di questa storia.
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Ci sono cose che bisogna vedere e sentire
Mariam e Laila sono due donne con due età e due storie molto differenti: la prima ha uno stretto rapporto con il padre e un rapporto più complicato con la madre, la quale non manca mai di ricordarle che è stata avuta illegittimamente e non perdendo occasione per chiamarla “harami”, bastarda. Non le viene permesso di andare a scuola e al compimento dei suoi quindici anni viene data in sposa. La seconda, invece, ha un bel rapporto con entrambi i genitori e le è consentito andare a scuola. Sarà un tragico evento a far incontrare le due donne e a farle scoprire di avere molto più in comune di quanto credano, in una Kabul bellicosa disposta a non risparmiare nessuno.
Secondo romanzo di Khaled Hosseini in cui appare chiara la denuncia verso tutte le brutalità che hanno visto protagonista l’Afghanistan durante gli ultimi anni del secolo scorso. Il libro copre un arco di tempo considerevole: dagli anni ‘70 ai primi anni 2000 e, immancabilmente, gli avvenimenti raccontati sono tanti. La trama mi è piaciuta in quanto lineare e di facile comprensione, seppur all’inizio del racconto ho faticato un po’ a comprendere il periodo di cui si parlava, visto che il libro si apre con Mariam bambina e vengono fatti dei salti avanti nel tempo non sempre ben spiegati. Tuttavia una volta superati i primi capitoli, tutto risulta di più facile comprensione.
I personaggi del romanzo non sono molti, ma hanno tutti caratteristiche ben chiare e delineate. Ho apprezzato il cambiamento che hanno avuto alcuni, pur mantenendo i loro comportamenti originari. Lo stile l’ho gradito molto e ho apprezzato l’inserimento nel corso del racconto di termini arabi, anche se non sempre sono stati tradotti dallo scrittore in italiano, il che ha reso leggermente più complicata la comprensione. Tuttavia i molteplici avvenimenti del racconto sono ben spiegati in tutta la loro essenza e il finale mi ha indotto inevitabilmente a sorridere, nonostante tutto.
Mi sento di consigliare fortemente questo romanzo perché, seppur faccia male leggerlo per via della verità messa a nudo raccontata, è una realtà che a mio parere va conosciuta. Purtroppo non tutti viviamo nelle stesse condizioni e leggere la storia di Mariam e Laila ne è la prova: una vita fatta di paura e oppressione, in cui essere succube del proprio marito è considerato normale, il tutto incorniciato da un conflitto senza fine.
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Nel cuore di una "piccola, goffa harami"
Il cuore di Nana è pieno di risentimento verso la vita e le parole di quel risentimento sono quelle con cui si rivolge a sua figlia Mariam. Mandare a scuola lei? E perché esaudire questo suo desiderio? "Sarebbe come lustrare una sputacchiera". A donne come loro serve imparare una sola abilità nella vita: il tahamul, la sopportazione, e ad insegnargliela può bastare lei. Sì, perché Nana ne è convinta: il destino di sua figlia è già segnato. È una donna e "il dito accusatore dell'uomo trova sempre una donna a cui dare la colpa". Ma sopra ogni cosa, Mariam è una harami, una bastarda, "qualcosa di indesiderato", e mai avrebbe potuto rivendicare per sé le stesse cose cui i suoi fratelli e le sue sorelle, degli estranei per lei, hanno invece diritto: "l'amore, la famiglia, la casa, l'essere accettata".
"Pensi che ti consideri una figlia?... Non hai altro che me al mondo, Mariam... Sai che ti voglio bene, Mariam jo."
Tuttavia Mariam si fida di Jalil, suo padre, uno degli uomini più ricchi di Herat; lui le insegna a pescare, a disegnare un elefante con un solo tratto, le insegna poesiole. Lei lo attende con ansia ogni giovedì alla kolba di legno in cima ad una collina. Accanto a lui, Mariam "sentiva di meritare tutta la bellezza e la bontà che la vita aveva da offrire".
È il 1974 e i suoi quindici anni segnano una triste svolta nella sua vita. Il risentimento di Nana le raccontava la verità: Jalil, suo padre, non ha il dil, il coraggio, e lei, Mariam, per le sue tre mogli legittime rappresenta "la personificazione in carne ed ossa della loro vergogna" e ora, che Nana non c'è più, non rinunciano all'occasione di allontanarla per sempre dalle loro vite.
Laila, "Bellezza della notte", "Ragazza Inqilabi, ragazza Rivoluzionaria" perché nata la notte del colpo di stato dell'aprile 1978, è invece orgogliosa del suo Baba, "orgogliosa della dedizione che le riservava e determinata a continuare gli studi come aveva fatto lui". La presenza di suo padre però compensa solo in parte l'assenza di Fariba, sua madre, ancorata al ricordo di Ahmad e Nur, i figli che la jihad le ha portato via. Laila non ha che un vago ricordo di loro, "Era difficile sentire, sentire veramente la perdita patita dalla mamma". Per lei suo fratello è Tariq, il figlio dei vicini, suo compagno di giochi che la difende dai dispetti dei coetanei. Tariq, un amico, un amico speciale.
Ad unire le vite, così diverse, di Mariam e Laila ci saranno la guerra e Rashid.
La guerra, inferno per il paese, per Kabul, priva Laila dei suoi affetti, ma le insegna a mettere da parte se stessa quando c'è un bene più grande da preservare.
Quella stessa guerra 'concede' a Mariam di vedere la sua vita attraversata da "alcuni momenti di bellezza".
"Pensa come deve pensare una madre, Laila jo. Pensa come una madre. Io lo sto facendo."
Sotto la coltre del tahamul, della vergogna, del disprezzo, dei falsi spiragli di felicità, quella "piccola, goffa harami" ha custodito la capacità di dare amore e una silenziosa e insospettabile forza.
"Pensò al suo ingresso in questo mondo, figlia harami di una povera ragazza di paese, una cosa indesiderata, un malaugurato, increscioso incidente, un'erbaccia. Eppure lo lasciava dopo essere stata un'amica, una compagna, una donna che si era presa cura degli altri. Una madre. Una persona di valore, finalmente. No. Non era poi tanto male che dovesse morire in quel modo, pensò Mariam. Era la fine legittima di una vita che aveva avuto un inizio illegittimo".
Un romanzo coinvolgente che dà spazio all'Afghanistan, alla sua storia e alla sua cultura soprattutto attraverso le voci e la forza delle donne.
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Guerra fuori, dentro e dietro gli occhi
Due donne, un uomo, destini che si incrociano nelle fine di una guerra fuori e dentro le mura domestiche. Parliamo di Kaboul, di Hetar e del cuore afgano. Un cuore che ha l'animo femminile in questi romanzo crudele, diretto, ricco e profondo.
Ho letteralmente divorato le pagine, non ci si può staccare dal destino di Maria mentre, ragazzina, vorrebbe approcciarsi al padre naturale. Quest'ultimo è un facoltoso uomo di Herat che vive con la sua estesa famiglia... Esclusa questa figlia, la cui madre è relegata in un kolba. Proprio questo amore per il padre che vede ogni giovedì la porta ad accettare un matrimonio ed andare a Kabul.
Sogni che svaniscono quelli di Mariam. Dopo la firma del matrimonio non toccherà più una penna sino alla fine. Dopo la firma del matrimonio si apre la via di gravidanze andate a male, marito molto più vecchio di lei e violento. Botte, impara ad indossare il burqa voluto dall'uomo e subisca colpo su colpo, litigate sfrenate dal marito calzolaio in proprio.
Gli anni passano e la situazione afgana peggiora, la guerra di metà/fine anni '90 si fa più incresciosa. L'autore pertanto ne dà conto in maniera fluida. Poi ecco Co. Parure una nuova moglie, Laila. Ragazza giovane che ha perso la famiglia sotto i bombardamenti. Marim la ostacola poi nasce la complicità. Laila diventa mamma di Aziza ma c'è un amore, di lei, lontano e vicino, vivo e nascosto. Iniziano le botte anche per questa moglie dall'uomo.
Donne che resistono, Laila aveva una cultura, credeva nel futuro che la guerra annienta. Morti, distruzione, fame e miseria si avvicendano con scene nitide e dalle tinte forti di emozioni.
La trama si evolve su eventi tragici dei quali non spoilerizzo per chi non avesse letto. Quel che mi preme evidenziare è l'importanza che assumono i sentimenti tra le donne. La forza ma anche la debolezza malcelata di lacrime e graffi. Donne che si difendono da un sopruso casalingo. Donne che però non smettono di CREDERE per vincere, per sperare, per essere qualcuno nella comunità.
I personaggi sono ben delineati, benché emergano soprattutto le sensazioni. Si sente che come evince la prefazione, l'autore ha approfondito la sua terra di origine, non soltanto dal punto di vista cronicistico ma soprattutto dal versante femminile. Ha parlato molte donne ed è nato un romanzo che lascia il segno. La volontà umana è ben più forte di quanto ci si aspetta.
L'istinto alla sopravvivenza umana ha una evidenza emozionale e sentimentale che ci rende unici. La vita, l'ambiente sociale, la storia in cui viviamo non possiamo controllarlo, ci siamo dentro nella maggior parte delle circostanze, tuttavia un gesto può rappresentare una scintilla. La scintilla che per quanto piccola è pur sempre uno spiraglio di vita essenziale per qualcuno.
Primo libro che leggo di questi autore, no l'ultimo. La sua penna si è calata bene nell'animo femminile eccetto per alcuni stereotipi, a mio parere, classicamente sentimentali.
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RADIO KABUL
Mariam vive con sua madre nella Kolba una piccola casa di legno vicino Harat.I suoi giorni trascorrono in attesa del giovedì giorno in cui le fa visita Jalil suo padre che lei ama e ammira profondamente. Sua madre le fa presente che lei è una "harami" ossia una bastarda e l'unica cosa che deve apprendere è la sopportazione; inizialmente Mariam non crederà alle sue dure parole ma ben presto si renderà conto di quanto ha ragione infatti suo padre un uomo ricco e potente la deluderà dimostrandole che mai la considererà come figlia leggittima e tanto meno la inserirà nella sua famiglia e da quel momento nutrirà un profondo odio verso suo padre. Morta la madre, Mariam ormai quindicenne verrà costretta da suo padre e dalle sue tre mogli a sposare Raschid un uomo molto più grande di lei.Nella capitale condurrà una vita modesta e sottomessa alla volontà del marito un uomo violento e di vecchio stampo.
In contemporranea conosceremo Laila, una bimba bella e istruita,vive a Kabul con i suoi genitori e conduce un'infanzia serena e agiata. Ha una profonda amicizia con Tariq e con il passare degli anni si trasformerà in amore. Molto più giovane di Mariam diventerà una donna forte e corraggiosa.
Le due donne dopo varie sventure si ritroveranno a vivere sotto lo stesso tetto all'inizio fra le due ci sarà una profonda avversione ma con il passare del tempo diventeranno grande amiche. Due donne molto diverse tra loro ma tragicamente unite dalle stessa sventura ossia essere donne in uno stato come l'Afghanistan.
La storia raccontata da Laila e Mariam in realtà è la storia di molte donne Afghane costrette a vivere nell'ombra, nascoste dietro le grate del burqa con un marito padrone, picchiate e sottomesse.
E' un libro duro, triste e soprattutto reale che ci porterà a vivere la lunga guerra iniziata nel '79 narra l'occupazzione dei sovietici e la loro ritirata , il regime dei mujadehhin e la presa del potere da parte dei talebani i quali attuarono un nuovo regime politico fondato sulla legge islamica e imposero le loro rigide regole, ad esempio: vietare di ascoltare musica, vedere film, proibire ogni forma d'arte (distrussero I Budda di Bamiyan)e bandirono tutto ciò che veniva dall'occidente . Se prima dell'avvento dei Talebani le donne (tema centrale del romanzo) erano libere e indipendenti con il loro arrivo fu la fine infatti considerate una nullità (servono solo per servire l'uomo l'unico essere superiore) emanarono un decreto che vietava l'uso dei cosmetici, di lavorare, di studiare, di ridere, divieto di uscire se non accompagnate da un mahram (parente stretto)e molto altro con esecuzioni atroci per chi non obbediva.
Sempre del periodo storico Hossein menziona l'attacco alle torri gemelle e l'intervento degli americani (secondo me una visione troppo ottimista).
Ho provato dolore ,rabbia ,disgusto e impotenza verso questa tirrania governata da gente ignorante, non nego di essermi commossa più di una volta perdendomi tra le pagine di questo romanzo che esprime la quotidianità di queste povere donne vittime di guerre e di soprusi e noi occidentali conosciamo ma non possiamo nemmeno immaginare il loro dolore. L'autore comunque conclude il romanzo lasciando un messaggio di speranza per un mondo migliore.
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Una storia di speranza in una città devastata
"Mille splendidi soli" è stato il libro che mi ha spinto ad avvicinarmi al mondo dello scrittore Khaled Hosseini e ad approfondirne la conoscenza. Devo ammettere che avendo sentito parlare molto bene del "Cacciatore di aquiloni", suo primo romanzo, pensavo che "Mille splendidi soli" non avrebbe potuto superarne la bellezza, ma mi sbagliavo. Questo romanzo non solo (a mio parere naturalmente) supera il primo, ma è anche diventato uno dei miei libri preferiti in assoluto.
Hosseini ambienta la vicenda nella città di Kabul,narrando della vita di due giovani ragazze, Mariam e Laila, le cui vite si intrecciano per un evento casuale. Mariam è una donna che cresce isolata dal mondo con la madre ( poichè ripudiata dal padre) e quando quest'ultima muore è costretta a vivere con il padre Jalil che la da' in sposa a Rashid, un uomo molto più avanti con l'età rispetto a lei.
Laila invece è una ragazza più giovane e bella di Mariam e anche lei , suo malgrado, sarà costretta a sposare Rashid, seppur per motivi profondamente diversi. Hosseini sviluppa magistralmente il rapporto tra le due: in un primo momento Mariam nutre odio e gelosia nei confronti di Laila, che,essendo più bella e più giovane,ottiene tutte le attenzioni di Rashid, ed è capace addirittura di dargli un figlio (anche se poi si scoprirà non essere legittimo) , cosa che lei non era mai riuscita a fare.
Pur essendo molto diverse tra loro, le due donne col passare del tempo instaurano un legame di amicizia e una complicità molto profonda, proteggendosi a vicenda dalle violenze e angherie che compie Rashid su entrambe,sostenededosi e aiutandosi come sorelle.
Consiglio la lettura di questo romanzo in primis perchè il messaggio che trasmette è molto forte,è un messaggio di speranza che invita a non arrendersi mai, neanche nelle situazione più difficili in cui sembra di non avere via d'uscita, ma anche perchè delinea uno spaccato di quotidianità della difficile Kabul del tempo, devastata dalla guerra, aiutando il lettore a capire quanto possa essere difficile vivere e,soprattutto, essere donna in un simile contesto.
Inoltre Hosseini ha uno stile molto particolare, riesce a far vivere al lettore le emozioni provate dai protagonisti, a suscitare sentimenti contrastanti, commozione (uno dei pochi libri che è riuscito a farmi commuovere davvero), ma anche sentimenti positivi.
Uno di quei libri che quando finisci di leggere ti fa sentire dentro un vuoto incolmabile, e ti fa venir voglia di rileggerlo da capo.
"Imparalo adesso e imparalo bene, figlia. Come l'ago della bussola segna il nord, così il dito accusatore dell'uomo trova sempre una donna cui dare la colpa. Sempre. Ricordalo, Mariam. "
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Ricordarsi di cosa si ha
Spoiler (poco ma c’è)
C’è stato un momento preciso in cui mi sono quasi commossa durante la lettura di questo romanzo: quando Aziza ancora neonata stringe il dito di Mariam, senza volerla lasciare andare.
Ed è esattamente questa la sensazione che l’autore fa provare al lettore, la sensazione di essere ancorato in un luogo che non vuole lasciarti andare via. Nel caso di “Mille splendidi soli” si tratta dell’Afghanistan, ma bisogna sempre tenere a mente che in molti altri posti meno “discussi” accade lo stesso.
Sarà per l’educazione ricevuta o per presunzione insita che non dimentico mai le fortune che ho, tentando di aiutare in tutti i modi chi non le ha; e questo romanzo non fa altro che ricordare e dipingere con impareggiabile poesia la realtà che ancora oggi vivono alcune donne.
Nonostante il romanzo sia incentrato sulle due figure femminili protagoniste (Laila e Mariam), non è da sottovalutare anche la netta differenza tra Rashid e Tariq, due uomini della stessa terra, ma con opposti modi di pensare e agire; punto a favore per la speranza di un futuro migliore.
Hosseini non cade mai nel pietismo o nella retorica e questo lo apprezzo molto.
Leggerò sicuramente altro di suo.
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L'apocalisse di essere Donna.
Quando lessi questo libro di Hosseini, una volta terminata l'ultima frase dell'ultima pagina, chiusi il tutto ed osservai la copertina, immaginando quante cose prima non sapessi davvero su questa condizione di terribile sofferenza che alcune "prigioniere" sono ancora costrette a vivere. Grazie a questo capolavoro, ho scoperto di avere dentro di me un mondo completamente all'oscuro, che desiderava uscire e che forse aspettava soltanto il momento giusto: quello che mi fa sentire fiera di poter essere una Donna che può mettersi in discussione.
E' come se fossi riuscita a sentire l'asfalto sotto ai piedi nudi di Mariam o di Laila nelle lunghe passeggiate; come se avessi ascoltato i loro suoni, annusato i loro stessi odori e visto anche io da dietro una grata, per un momento. Mi sono sentita offesa per le parole denigratorie di Rashid, come se rivolte ad ogni donna, ad ognuna di noi. Ma poi mi sono detta che tutto questo non può essere capito: non deve. Capire in questo contesto significa far si che la nostra mente si adatti ad una situazione, cercando di identificarsi in essa e noi non possiamo accettare così drasticamente che una vergogna simile si adatti al nostro essere umani, perchè ciò non è umanità, è essere trattati come la peggiore delle creature. L'unica cosa che dobbiamo sempre fare è guardare altrove, mobilitarci affinchè i diritti che tutte le donne d'Occidente possano essere condivisi con qualcuno che non sa cosa ci sia al di là di quella terribile prigione e di quel burqa.
Per tutte le volte che abbiamo dedicato parte del nostro tempo a delle sciocchezze non degne di nota, ricordiamo che abbiamo dinanzi la possibilità di votare, di scegliere chi amare e sopratutto non in età prematura nè contro voglia, di parlare, di discutere così come sto facendo io in questo momento, come farete tantissime altre di voi. Di poter leggere, scrivere, arricchirci studiando cose che ci piacciono.
Che la Donna non sia considerata come un accento sul "fa", un fiore da non curare o da estirpare prima che cresca la sua parte più bella. Che non sia un libro da lasciare a metà, una bozza che non diventerà mai racconto. Che sia, invece, Bellezza, Rispetto, voglia di Vita, perchè quella non si perde mai.
Grazie ad Hosseini che ci ha ricordato quanto sia importante non dimenticare, non accantonare parti del mondo in piccoli pezzetti da mettere in tasca; che anche Donne silenziose, che subiscono tutto ciò, abbiano la parte di Vita che meritano.
Lo consiglio vivamente a tutti.
Voglia di libertà
Nel romanzo "Mille splendidi soli", Khaled Hosseini si riconferma: con una storia che fa luce sulla vita di due donne, falciate come fiori a causa della concezione del "nang e namus" estremamente maschilista e retrograda. Vengono esaltati temi come la guerra e l'amore, l'oppressione e la ribellione, la devozione ed il sacrificio: elementi che accostati tra di loro rendono questo romanzo un flusso irrefrenabile di emozioni. È un immersione in mezzo secolo di continua evoluzione dell'Afghanistan, che va dalla fine degli anni cinquanta con la nascita di Mariam: educata all'oppressione e all'idea di non poter aspirare a nulla di grande in questa vita; ai primi degli anni 00, con la conorazione del sogno d'amore e libertà della giovane Laila: ricca di aspettative e con la forte concezione di uguaglianza che nemmeno il monopolio talebano riesce a spegnere. Due donne completamente differenti, accomunate da un destino crudele presentato loro con il nome, con l'aspetto e con l'odore acre del terribile Rashid: vecchio calzolaio di Kabul, iracondo e violento. Un uomo che ha rubato loro l'innocenza e la spensieratezza attraverso brutali e massicce fustigazioni. Con l'omicidio dell'orco e con il sacrificio dell'amorevole Mariam, Laila ed i suoi bambini riescono ad evadere da quella gabbia di cattiveria e sottomissione. Ed eccoci presentato un romanzo che tocca le corde più intime di ogni animo, così coinvolgente da far sentire sulla pelle i colpi animaleschi e crudeli del cuoio, da lasciar impresso nella mente ogni singolo particolare. È un po' come provare l'ebrezza del volo con al piede un palla di ferro, si assapora la libertà che si cela nella speranza anche quando tutto intorno brucia e cade a pezzi. In questo libro capace di sensibilizzare ogni persona sentiamo ed arriviamo a condividere il desiderio di cambiare il mondo e di creare qualcosa di speciale da poter lasciare in eredità all'umanità, il diritto di poter scegliere e decidere, la dimostrazione che ogni inverno è destinato a finire. È posta innanzi tutto la verità chiave dell'esistenza: siamo tutti esseri umani, e a prescindere dal sesso tutti meritiamo una vita dignitosa e nessuno puó negarcela. Nessuno puó nasconderci dietro metri di cotone perchè siamo donne, come se fosse una colpa. Nessuno puó privarci del piacere dei raggi del sole sul viso.
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Il mondo da una grata
"Come sei stupida! Pensi di contare qualcosa per lui, di essere gradita in casa sua? Pensi che ti consideri una figlia? Che ti accoglierà in famiglia? Ascolta bene. Il cuore dell'uomo è spregevole, spregevole, Mariam. Non è come il ventre di una madre. Non sanguinerà, non si dilaterà pre farti posto. Solo io ti voglio bene. Non hai altri che me al mondo, Mariam, e quando io non ci sarò più, tu non avrai più niente. Più niente. Tu non sei niente!"
Chi pronuncia queste parole è Nana, madre di Mariam: entrambe vivono in una kolba, una casa di campagna potremmo definirla, alla periferia di Herat in Afghanistan, gentilmente concessa loro da Jalil, il padre di Mariam, uomo ricco e potente, uno dei più influenti nella città di Herat e che proprio per tale motivo deve nascondere agli occhi degli altri i suoi peccati, la sua colpa, il disonorevole frutto del suo rapporto carnale con una serva, la sua serva Nana.
Così Mariam sin da piccola cresce con la consapevolezza di essere una harami, una figlia illegittima, uno sbaglio, una nullità, "Tu sei niente" le ripete continuamente la madre.
Ma Mariam è una ragazzina e lei vede il mondo con gli occhi ingenui della sua età, il suo cuore è ancora intatto, non conosce odio, vendetta, ipocrisia, è solo un ricettacolo di amore e speranza.
E svaniscono alle orecchie di Mariam le dure parole della madre quando ogni giovedì vede il padre Jalil che la raggiunge alla kolba per trascorrere con lei qualche ora del suo tempo, giocano insieme, ridono, parlano e a Mariam sono sufficienti quelle poche ore di felicità per convincersi che il mondo non sia così ostile come lo descrive Nana.
Forse ha ragione suo padre, Nana è malata, è stata colpita da uno jinn, uno spirito maligno, per questo dice tutte quelle cattiverie, per questo c'è tanto risentimento nel suo cuore.
Un giorno però Mariam, spinta dal desiderio troppe volte represso di conoscere il resto della sua famiglia, i fratelli e le sorelle nate del matrimonio di Jalil con altre tre mogli, decide di superare i confini della kolba, guadare il torrente per giungere così a Herat, una città tanto vicina alla kolba quanto sconosciuta ai suoi occhi, spingendosi sino alla casa del padre Jalil: una casa enorme, favolosa, come mai avrebbe neanche potuto immaginare, ma con un portone chiuso, chiuso su ordine del padre che lei intravede dietro la tenda di una finestra mentre cerca di nascondersi dal suo sguardo implorevole, che chiede solo di entrare per salutarlo e conoscere la sua famiglia.
Solo in quel preciso momento, Mariam capisce: capisce che quella non è la sua famiglia, che la madre aveva ragione, ha sempre avuto ragione, lei è una nullità, è niente agli occhi del mondo.
E questa dolorosa constatazione si palesa nella vita di Mariam con un impatto devastante come quello di un meteorite, sgretolando in una reazione a catena tutti i suoi sogni, le sue ambizioni per il futuro: avrebbe voluto proseguire gli studi, frequentare una scuola e poi viaggiare, esplorare il mondo intero, quanti luoghi avrebbe voluto visitare.
Invece, tornata a casa, trova la madre appesa ad un albero e ne subisce i sensi di colpa per averla indotta al suicidio col suo comportamento ostile e ribelle; poco dopo, neanche quindicenne, viene data in moglie ad un calzolaio di Kabul, Rashid, un uomo irascibile, violento, ai cui occhi una donna è un essere indegno di qualsiasi forma di rispetto, un corpo su cui soddisfare i propri istinti sessuali, un corpo da preservare dagli sguardi altrui non perchè prezioso bensì perchè proprietà esclusiva del marito, un corpo che deve dedicarsi esclusivamente alle faccende domestiche e alla preghiera.. un corpo che perde valore e merita di essere sostituito non appena si scopre incapace di generare un erede maschio o non appena diventa 'vecchio' e ci sia un corpo più giovane da sposare, come quello di Laila.
Laila, scampata miracolosamente all'esplosione di un razzo che ha distrutto la sua casa a Kabul, uccidendo i suoi genitori, si ritrova sola e gravemente ferita dopo essere stata estratta dalle macerie proprio da Rashid che la porta a casa sua per curarla; ma non c'è compassione ed altruismo nel suo atto, non c'è amore, solo un crudele opportunismo e viscido cinismo. Rashid gode nell'umiliare Mariam dinanzi alla giovane e bella Laila:
"Se fosse una macchina, sarebbe una Volga. Tu invece sei una Mercedes. Una Mercedes nuova di zecca."
E' sconcertante la violenza psicologica e fisica che Mariam prima e Laila dopo saranno costrette a subire; tanto più sconcertante se si pensa che le vicende narrate nel romanzo non sono reali solo perchè fanno riferimento a personaggi inventati, ma potrebbero esserlo in quanto riflettono esattamente quella che è la condizione della donna nella società afghana.
E da uomo provo vergogna e sdegno: la violenza sulla donna è un atto deprecabile a priori, come qualsiasi atto di violenza, indipendentemente dalla società o religione di appartenenza.
Ma quello che trovo assurdo è che questa violenza venga tutelata e quasi imposta come diritto dell'uomo attraverso leggi e regole dettate in nome di un dio che invece dovrebbe esaltare la vita ed il rispetto della vita.
E' assurdo che non un uomo, due, tre, ma un intero popolo, una società di persone nel secondo millennio siano testimoni passivi di una tale ingiustizia basata su una follia di fondo, su un inconcepibile diritto di supremazia dell'uomo ed annullamento della donna che trova un paragone solo nello sterminio degli ebrei da parte del regime nazista, anch'esso alimentato da una folle pretesa, la purezza genetica.
"Imparalo adesso ed imparalo bene, figlia mia. Come l'ago della bussola segna il nord, così il dito accusatore dell'uomo trova sempre una donna cui dare la colpa. Sempre. Ricordalo, Mariam."
E in tutto ciò c'è solo da ammirare la forza di sopportazione, la strenua resistenza delle donne che subiscono un tale sopruso, la negazione assoluta della propria libertà personale e dignità umana e nonostante tutto non voltano mai le spalle alla vita, non cedono alla disperazione anche quando la guerra, i bombardamenti, la fame rendono ancora più buia e precaria la loro esistenza.
Se mi capitasse di incontrare per strada una donna col burqa non potrò fare a meno di pensare a Mariam e Laila e alle migliaia di donne afgane costrette a spiare il mondo da quella grata senza mai alzare lo sguardo; ma a cui nessun burqa, nessun uomo, nessun assurdo precetto religioso potrà mai nascondere la luce di quei mille splendidi soli che accendono una speranza nel futuro, che rendono la vita degna di esser vissuta.
Un romanzo bellissimo, una lettura che consiglio vivamente: anche per l'ottimismo, il messaggio di speranza che lo stesso titolo trasmette e che fa bene a chi legge.
Per questo motivo preferisco non associare a tale messaggio un'implicazione politica, preferisco non accostare tale ottimismo alla fine del potere talebano dopo l'arrivo delle Nazioni Unite in Afghanistan, una conseguenza facilmente ipotizzabile essendo l'autore uno scrittore statunitense di origini afgane, inviato in Afghanistan dell'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Forse questo romanzo avrebbe avuto un epilogo diverso se a scriverlo fosse stato un afgano non trapiantato in USA, forse alcune considerazioni sulla guerra e sulle cause che l'hanno determinata sarebbero state esposte in modo diverso; ma non importa perchè non è la guerra la protagonista di questo romanzo: è la donna.
"Una volta Nana le aveva detto che ogni fiocco di neve era il sospiro di una donna infelice da qualche parte del mondo. Che tutti i sospiri si elevavano al cielo, si raccoglievano a formare le nubi e poi si spezzavano in minuscoli frantumi, cadendo silenziosamente sulla gente. "A ricordo di come soffrono le donne come noi" aveva detto. "Di come sopportiamo in silenzio tutto ciò che ci cade addosso".