Mille gru Mille gru

Mille gru

Letteratura straniera

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Il protagonista, il giovane Kikuji, vive sulle tracce del padre defunto, frequentando le antiche amanti di lui, nell’impossibilità di prescindere dalla fi- gura paterna. La giovane Fumiko, parallelamente, vive il suo rapporto con Kikuji, di cui è amante, nell’impossibilità di prescindere dalla figura materna. La madre di Fumiko e il padre di Kikuji, un tempo amanti, rivivono così nei loro figli, in tutto ciò che li circonda e che porta ancora le tracce dell’amore che li unì. Sono dunque i morti, più dei vivi, ad avere dimensione, purezza, vita senza tempo.



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Mille gru 2021-07-23 09:03:49 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    23 Luglio, 2021
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L'AMORE SACRIFICATO

In uno dei più bei film della storia del cinema, “In the mood for love”, girato all’inizio del nuovo millennio dal regista hongkonghese Wong Kar-wai, i due protagonisti sono un uomo e una donna, vicini di casa, i quali, traditi dai rispettivi consorti, intessono una delicata e struggente relazione platonica, fatta di sentimenti inespressi, emozioni trattenute e segreti taciuti. Questi due indimenticabili personaggi cinematografici mi hanno ricordato il rapporto, per molti versi analogo, intessuto da Kikuji e Fumiko nel corso del breve romanzo di Yasunari Kawabata “Mille gru”. Qui non ci sono dei coniugi fedifraghi a condizionare la relazione, ma due genitori che in passato sono stati amanti e che, pur morti entrambi, continuano a far sentire i loro influssi sui due discendenti, trasformandoli in simboli delle occasioni mancate e dell’amore procrastinato. La persistenza del ricordo dei morti nella vita dei vivi, la quale crea un paradosso tale che questi ultimi sono figure più sbiadite e passive di coloro che, pur non essendoci più, purtuttavia fanno sentire la loro ingombrante presenza, così come l’ineliminabile permanenza del passato nelle cose (l’ombra del rossetto della signora Ota sulla tazza da tè), mentre la fisionomia delle persone fatalmente svanisce col tempo (Kikuji ricorda di Yukiko il fazzoletto che indossava il giorno in cui l’ha conosciuta, ma non riesce più a rammentare il suo viso), sono solo due dei temi di quest’opera caratterizzata da un’algida (e molto nipponica) eleganza formale e da una semplicità sintattica capace di nascondere sotto la sua cristallina superficie una apprezzabile profondità tematica. “Mille gru” è un romanzo che, pur nella sua apparente astrazione, mette in primo piano, assai più che le persone, gli oggetti (il fazzoletto col disegno bianco delle gru al collo di Yukiko, il vaso cilindrico con l’omaggio funebre in onore della signora Ota, ecc.), i quali da una parte hanno un forte significato simbolico, come nel capitolo conclusivo in cui la scomparsa di Fumiko viene anticipata dalla rottura della coppa Shino, dall’altra si elevano dalla loro materica concretezza per farsi ipostasi di concetti come la bellezza e l’armonia, valori di un mondo in cui la forma sublima le imperfezioni della vita, assorbendo paure, meschinità e sensi di colpa. Pace, compostezza e serenità spirituale trapelano così dalle tante cerimonie del tè cui assistiamo nel corso dell’opera, in cui l’accostamento dei colori di tazze, bricchi e teiere e la giusta corrispondenza di fiori e disegni con la stagione in corso assumono un’importanza tale da poter essere compresa solo da un pubblico iniziato e sensibile alle filosofie orientali e alla disciplina zen. E’ forse per questo che “Mille gru” è visto da molti come l’archetipo di una “giapponesità” ideale e fuori dal tempo, fatta di variopinti kimoni tradizionali, eleganti padiglioni del tè e compunti maestri di cerimonia. In realtà lo sguardo di Kawabata è tutto tranne che artefatto e manierato, come questa visione lascerebbe presumere. Basti pensare al fatto che la cerimonia del tè, con la sua ritualità quasi religiosa e la sua raffinatezza di gesti e suppellettili, è appannaggio nel libro di un personaggio negativo come Chikaku, sgradevole e ripugnante come la voglia che porta sul seno, donna insinuante, furba e intrigante, una mezzana falsa e calcolatrice che, con la ipocrita pretesa di aiutare Kikuji a trovar moglie, persegue solo i propri meschini obiettivi. D’altro canto Kikuji e Fumiko non hanno alcun interesse a coltivare questa tradizione, da loro considerata come un retaggio del passato. Si insinua pertanto nella prosa di Kawabata, al di là della sua apparente perfezione formale, una notevole ambiguità tematica: da una parte la cerimonia del tè rappresenta infatti i valori di un mondo che, come i genitori morti, è ormai scomparso ed è visto con una sorta di idealizzata nostalgia, dall’altra essa rivela i limiti di un formalismo che intralcia l’avvento dei tempi nuovi (si veda il bricco Shino che Kikuji tenta inutilmente di convertire in vaso da fiori), Nella cerimonia del tè Kawabata delinea quindi il dissidio interiore di una nazione sospesa tra tradizione e modernità, tra rimpianto dei bei tempi andati e l’affermazione inesorabile dei modelli di vita occidentali. Kikuji, uomo debole, irresoluto e senza volontà, goffo e spesso interdetto nel corso dei dialoghi con le donne (più simile in questo ai personaggi di Tanizaki, come il Kaname de “Gli insetti preferiscono le ortiche”, che a quelli di Mishima), un inetto a vivere irretito e manipolato in una spregiudicata partita di scacchi in cui lui è, pur ignorandolo, una semplice pedina e le due giovani “candidate”, Yukiko e Fumiko, la posta in gioco, Kikuji – dicevo – sta in mezzo a tutto ciò, incapace di scegliere quello che gli suggerisce il cuore e di adeguarsi tanto al passato e al suo lascito emotivo e materiale (la casa di famiglia e gli oggetti ereditati della cerimonia del tè che dice più volte di voler vendere) quanto al futuro di una vita matrimoniale desiderabile e non imposta dall’esterno. “Mille gru”, in cui i cinque capitoli sono quasi dei racconti perfettamente compiuti e autosufficienti, ha un finale aperto, triste e malinconico, che ha reso possibile, a distanza di un solo anno, un suo seguito, “Il disegno del piviere”.

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Junichiro Tanizaki: "Gli insetti preferiscono le ortiche"
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Mille gru 2016-11-21 14:18:58 siti
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siti Opinione inserita da siti    21 Novembre, 2016
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E se nulla fosse accaduto?

Cinque episodi : Mille gru, I boschetti al tramonto, Il bricco dipinto, Il rossetto della madre, La stella; cinque elementi che nella loro specificità consegnano una storia o un frammento di essa o un intero mondo sensoriale che si risveglia.
La vista è rapita nel primo episodio dal particolare: la ragazza Inamura ha un fazzoletto da collo col disegno “mille gru”, è bianco su fondo rosa, Kikuji ne è come rapito mentre ignaro si avvia ad un miai, un incontro prematrimoniale nel tempio Engakuji a kamakura, invitato alla cerimonia del tè da Chicako, signora avviata ad un processo di mascolinizzazione. Progressivamente, come in una sorta di gineceo, lo stesso Kikuji si ritrova circondato da sole presenze femminili: due madri, due giovani fanciulle e la stessa Chicako. Da allora si assiste ad un recupero di eventi passati i quali si riallacciano con il presente mentre vanno convergendo nell’unica figura maschile che veicola il passato e lo trasforma rinnovandolo e in qualche modo appestandolo in un gioco di nuove relazioni amorose. Due delle donne, le più attempate sono state amanti del padre.
Il risveglio sensoriale, reso attivo dalla vista, nutrito di fantasie infantili, acuito dal ricordo di un padre ormai morto ma presente attraverso gli astanti e tramite la cerimonia del tè di cui era un cultore, scivola in un delicato erotismo, in un nuovo rapporto e nei successivi risvolti. E se nulla fosse accaduto?Non è il fatto in sé , generatore di trama, a dare lo sviluppo. È ciò che il lettore percepisce, anticipa, e faticosamente cerca di capire, il fatto è narrato nel suo realizzarsi, è colto in presa diretta, lo sguardo d’insieme può attendere. Sorprende quando finalmente ci si giunge e ci si chiede a che cosa tendesse lo scrittore. Io, purtroppo, non ho risposte, solo qualche conferma sugli eventi narrati giusto per essere certa di aver, tutto sommato, capito. Mi lascia un senso di incompiutezza come la vita, come l’occasione mancata, come l’incapacità di vivere il presente, mi lascia inoltre un maschio alla deriva, le sue supposizioni e i suoi forse.
Kawabata, maestro di stile, arricchisce ogni volta l’immaginario e incanta con le nostalgiche ambientazioni natie. Da apprezzare.

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Koto
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Mille gru 2014-06-06 10:51:53 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    06 Giugno, 2014
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Senzaburo

Peccai di lussuria quando decisi di comprare questo volume inserito in un cofanetto SE ; un'edizione le cui forme incantevoli non potevano che indurre in tentazione.
Circa il contenuto, la bellezza incorporea non e' peccato, quindi io merito il paradiso letterario  di Kawabata.

Tenui ricordi di carnalita' passata sembrano assalire la progenie nel presente, le passioni clandestine e gli errori commessi dai genitori si intersecano irrimediabilmente alle vite dei figli. 
Un amplesso consumato e sconveniente da cui non ci si puo' liberare nemmeno dopo la morte e un amore tanto pulito, possibile, auspicabile quanto sfuggente.
Cautamente osserviamo un sentimento genuino e timido che vorrebbe scalare le pareti del tempo, eppure la presa e' troppo debole, così distante la vetta. Quasi che il tempo perduto non possa andarsene mai , continuando a infierire sul presente.

Giardino zen di parole, esplode rigoglioso in contenuti così intensi. Senza virtuosismi lirici, senza soste filosofiche, l'autore ci offre uno spaccato classico di vita giapponese, ma soprattutto un'infinito amore per i dettagli. Dettagli di cose o azioni, invisibili forse alla routine di occhi occidentali, eppure così caratteristici della visione nipponica.
La cerimonia del tè e le morbide forme di coppe  smaltate generate piu' di trecento anni prima da abili, esclusive mani artigiane. Un alone rosso impresso sul bordo, lascito di labbra femminili che tante volte vi si posarono per sorseggiarne l'infuso.
Solitaria, una campanula selvatica si disseta in un bricco di antichi natali.
Un pennello da barba intinto su foglie fresche  di rugiada prima di sfiorare le guance dell'uomo.
Sono alcune schegge di Kawabata, un tesoro per chi ama le atmosfere classiche giapponesi.

Ho peccato di lussuria sì, ma ne e' valsa la pena.
Buona lettura.

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Mille gru 2014-01-31 13:08:16 Emilio Berra
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Emilio Berra Opinione inserita da Emilio Berra    31 Gennaio, 2014
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Le "Mille gru" di Kawabata

Questo libro del grande scrittore giapponese (Premio Nobel) è quanto di più bello sia stato scritto da quando esiste la letteratura. E' un'opera rivolta a chi ama l'arte, il sublime, la Bellezza.
Siamo qui immersi nella cultura dell'Estremo Oriente. Protagonisti sono cinque personaggi: attorno ad un giovane uomo ruotano quattro figure femminili: due ragazze nel fiore degli anni e due 'mature' signore (che sono state amanti de padre, defunto, del giovanotto): vita e morte, senso di colpa e purezza lambiscono fragili confini, ed un sottile erotismo aleggia fra le pagine del romanzo ed ammanta anche elementi del paesaggio, oggetti: pure le coppe per la cerimonia del té (anch'esse, a loro modo, protagoniste) ne recano i segni: morbidezza di colore, una macchia indelebile di rossetto sul bordo...
Lo stile presenta una lievità e una bellezza che incantano.

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"Dopo il banchetto" (Mishima)
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