Mia diletta
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Amore molesto
…” Questa è la storia di un veterinario e della sua celestiale diletta “…
In un lunghissimo monologo per stomaci forti che sgretola ogni certezza, Kurt, la voce narrante, un veterinario cinquantenne, si apre al nudo racconto di una torrida estate trascorsa nella bigotta campagna olandese.
È qui che ha origine la propria insana e irrinunciabile passione per una strana quattordicenne che crede di potere volare, nata lo stesso giorno di Hitler, che dialoga quotidianamente con Freud, si incolpa della sciagura delle Torre Gemelle, vive di musica e di buona letteratura, che non parla molto di se’ se non in chiave poetica, di libri, di film, di canzoni ma non della propria vita vissuta con il fratello e il padre, che nasconde il dolore e il senso di colpa di una perdita incalcolabile, che soffre dell’ assenza materna e di un padre affettuoso ma rigido, che vorrebbe lasciare la fattoria in cui è cresciuta anche se vi è affezionata.
È un soliloquio lucido nella ricostruzione dei fatti, detestabile negli esiti e nei contenuti, la disgregazione di una famiglia e di un matrimonio, l’ accusa di abuso sessuale, spietato e frustrante nel mostrare i sentimenti tronchi di una vita ancorata all’ origine, soggiogata da una madre oppressiva, patologica, vendicativa, epicentro di incubi, di tutto quello che dalla propria genitrice non ci si aspetta, quell’ amore gratuito e disinteressato che indirizza alla gioia di vivere.
Il protagonista vaga in una dimensione a metà fra il sogno e l’ incubo, la consapevolezza e il senso di colpa, per quello che ha fatto e ha saputo distruggere, ossessionato da una passione irrefrenabile, schiavo di pulsioni carnali ma con l’ intento di proteggere una creatura fragile e bisognosa di cure, il desiderio nascosto di salvare se stesso e l’ unica forma di amore che conosca, quell’ urgenza emozionale ignara dei sentimenti.
Nella “ sua diletta “ Kurt immagina una giovinezza non vissuta per colpa della madre, un adulto-bambino e un bambino-adulto, in lei rivede là possibilità di tornare a quel tempo, di giocare, dimenticando i gelidi anni della propria infanzia, un giuoco sopraffatto dai propri desideri di adulto.
Di certo la ragazza e’ una creatura singolare, sfuggente, illeggibile, strana, che sembra essere altrove, vivere in un mondo di fantasia, smarrita ma amabile, con un senso interiore di perdita, senza un luogo dove sentirsi a casa, che assapora il mondo all’ interno della propria testa pur aspirando a un forte desiderio di visibilità.
È educata, gentile, a metà tra l’ essere e l’ apparire, nasconde un nitido abisso dietro il proprio io recitato, un vuoto sconfinato che si specchia nell’ altro per riempire se stessa .
Tra i due cresce un amore inderogabile, una diversità condivisa in un respiro unico e necessario, voce lontana dal coro, un senso dell’ esserci e del sentirsi vivi che sfocia in una gelosia totalizzante e in un reale impossibile.
L’ amore e il senso unico di un amore, intenso e mutevole, in attesa di un Godot che scacci solitudine e dolore, un amore senza il quale ci si potrebbe ammalare ma che per l’altro può essere l’ inizio della malattia.
Marieke Lucas Rijneveld si conferma, dopo “ Il disagio della sera” ( 2019 ), autore di grande talento accompagnato dalla propria singolare storia personale.
Durante la lettura si ha l’ impressione di varcare la soglia della semplice narrazione per avventurarsi in un universo parallelo, cosparso di luci e di stelle, ma anche di ombre e di incubi, un luogo misterioso e impervio che risponde a un’ inderogabile esigenza di interiorità, laddove sofferenza e dolore hanno forgiato forza e fragilità e una creatività mai banale mostra una notevole capacità introspettiva .
Un testo aspro e crudele che rimanda attimi di dolcezza e poesia a chi oltrepassa la semplice soglia della narrazione, quella caleidoscopica ridda di citazioni, rimandi, ricordi, sogni, incubi, un rimescolio di sensazioni forti che vale la pena assaporare fino all’ ultima goccia.