Mercurio
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La bella e la/e bestia/e
Come può un uomo vecchio e bruto avere una compagna giovane e bellissima? Semplice. Può fare come il mostro della bella e la bestia: rapirla, segregarla in un'isola deserta, non farle vedere nessun altro e essere molto, molto gentile. Come passatempo la lettura non ha mai fatto male a nessuno. Non guasta farle credere di essere rimasta sfigurata in un disgraziato incidente e togliere dalla casa tutti gli specchi e le superfici riflettenti (padelle comprese).
Il cavaliere che arriva in casa del mostro a liberare la bella veste i panni di una graziosa e soprattutto intelligente infermiera dal sangue freddo, inesperta chimica. Immagina di creare una superficie riflettente raccogliendo in un contenitore il mercurio di un termometro. Un termometro al giorno dovrebbe togliere, secondo lei, il mostro di torno. Ma certo non il farmacista.
Il romanzo sembra la sceneggiatura di una favola e procede verso la conclusione. La conclusione inevitabile è la conclusione 1, quella che avrebbe fatto crollare di un paio di stelle la valutazione del libro. La conclusione 2, quella cinica, non troppo coerente con il personaggio dell'infermiera ma decisamente più Nothomb è molto, molto carina.
Che cosa può succedere di meglio a una ragazza che essere rapita da un mostro?
Il romanzo (a parte la conclusione 2) non ha quell'ironia bellissima di Stupore e tremori. E' proprio una favola, bella, in cui il lettore capisce perfettamente cosa pensa il mostro, come si potrebbe desiderare di vestire i panni del mostro e capisce un po' meno bene cosa pensa la bella. Sembra esista da qualche parte una sindrome della Bestia imparentata con la sindrome di Stoccolma.
Tutto sommato l'idea del vecchio di rapire le belle fanciulle non era poi così disastrosa.
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“Cosa c'è di più spaventoso di uno specchio?”
“Cosa può capitare di meglio a una ragazza che finire nelle mani di un mostro?”
Provocatoria Amélie, che ci racconta con leggerezza apparente, trasfigurandone i contenuti, la storia di un sequestro di persona e di un abuso fisico e psicologico.
La ragazza si chiama Hazel ed è impregnata dell'amore ambiguo e totalizzante del suo carnefice-benefattore, un vecchio settantasettenne che le ispira affetto e ripugnanza.
Affetto, perché l'uomo sembra proteggerla dalle insidie del mondo esterno isolandola nel lussuoso palazzo di una piccola isola, ripugnanza, perché la possiede anima e corpo.
Un manuale di psicologia non potrebbe spiegare meglio il subentrare di certi meccanismi patologici in una relazione, e gli effetti del veleno di un manipolatore vengono assorbiti anche dal lettore, che non distingue più così nettamente il confine tra colpa e innocenza: la colpa del carnefice si illumina di generosità, l'innocenza della vittima si macchia di ipocrisia.
Liberarsi dalla grinfie di un oppressore - ci viene spiegato tra le righe - potrebbe significare dover fare i conti con se stessi, smettere i panni di martire e misurarsi con le proprie forze.
E' più rassicurante sottomettersi ai desideri altrui e vedersi solo con gli occhi di chi dice di amarci e ci propina le sue verità. Meglio non guardarsi, meglio non vedere:
“Cosa c'è di più spaventoso di uno specchio?”
Il culto della bellezza portato all'estremo, in un folle desiderio di possesso esclusivo, è uno dei punti cardine del romanzo, ma c'è dell'altro: c'è l'amore che finisce per somigliare all'odio (“quando si ama davvero qualcuno non ci si può impedire di fargli del male”) e c'è, da parte della persona oggetto di quest'amore, la necessità di dare un volto umano e gentile all'amante carceriere, fino a ricambiarne il sentimento.
Il romanzo ha due diversi finali: nel primo prevale la razionalità, la vita fuori da quel palazzo così simile ad un castello stregato, nel secondo ha invece la meglio il lato più cupo e inquietante della passione, che travolge inaspettatamente chi ne sembrava immune.
La scrittrice - che in simili dicotomie con se stessa spesso si dibatte sfogandole in dialoghi serrati - non è riuscita a prendere una decisione, tentata dalla logica “perturbante e implacabile” di una favola a tinte oscure.
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Un romanzo è uno specchio che si porta con sé...
...lungo la via
C’era una volta un vecchio brutto orco arricchito ormai settantenne che abitava nella sua isola sperduta e poi c’erano due belle ragazze incantevoli che incarnavano il candore delle giovani principesse segregate fino a quando non è arrivata la forza irruenta di Mercurio che con la sua cura ha dato una svolta decisiva e ha sovvertito le sorti dei protagonisti.
Straordinaria favola che non ha nulla da invidiare alle celebri fiabe dei fratelli Grimm o di Andersen, per l’originalità della storia nella sua interezza e per la considerevole forza narrativa con cui A. Nothomb descrive e ammalia il lettore imponendo la sua scrittura brillante e catalizzante come una fulminea frecciata che non puoi scansare. Ti lasci ferire e aspetti fino alla fine la lenta guarigione quasi arrampicandoti sugli specchi.
“Ma cosa può capitare di meglio a una ragazza che di finire nelle mani di un mostro?”
La temperatura sale sin dalle prime pagine, la febbre attanaglia subito le viscere e non c’è termometro a mercurio che tiene e anche le ferite inferte non guariscono intingendole col semplice mercurio cromo. E nel frattempo sei pure catapultata nell’isola di Montecristo e nella Certosa di Parma con Carmilla al seguito.
La bellezza di questa favola sta proprio nella sobrietà di come viene snocciolata, il tema trascinante è la bellezza in tutte le sue forme e il candore quasi etereo di come amore e bellezza si identificano.
Possedere, prevaricare, mantenere, tutelare e rafforzare la bellezza sono le azioni che s’impongono i protagonisti. L’amore del vecchio orco è un amore egoistico e inappropriato, l’amore che pervade il cuore di Hazel è quasi un sentimento inesistente, perché è lei stessa l’innocenza e la purezza, Mercurio è la fredda counselor che come un caduceo, come la dea Atena inizia la sua battaglia legata al raziocinio delle cose a far rinsavire i due dall’incantesimo del destino crudele e della redenzione inaudita.
Ma il mercurio si sa è inafferrabile e anche il finale della favola riserva al lettore diverse conclusioni che catturano e sfuggono assieme, vittime e carnefici che si reinventano i ruoli pur di possedere e amare il frutto della tanto sofferta bellezza.
“Essere brutti e rassicurante: non ci sono sfide da raccogliere, basta abbandonarsi alla propria sfortuna, farsi i gargarismi, è così confortevole. La bellezza invece è una promessa: bisogna poterla mantenere, bisogna essere all’altezza. E’ difficile.”
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Hg o Ermes? Le sindromi di Amélie
Hg o Ermes?
In chimica Hg è il simbolo del mercurio.
Mercurio, secondo la mitologia, è il messaggero degli dei.
Leggendo il titolo dell’opera, io avevo pensato al dio con il caduceo (“simbolo della medicina”) e i calzari alati, i talari o pédila (in greco).
Sono rimasto pertanto sorpreso quando ho visto che l’autrice con ‘mercurio’ si riferisce principalmente all’elemento chimico (“… si ostinava a restare disperso in goccioline …”) presente nei termometri (quelli di penultima generazione, visto che oggi i termometri sono fabbricati con un materiale meno inquinante): “... avevano ricevuto l’ordine di non lasciar passare nessun materiale riflettente. Ma chi poteva pensare al mercurio del termometro!”
Poi però Mercurio, inteso come dio, arriva! “Con una maiuscola, il mercurio diventa il dio messaggero, Mercurio”.
La storia è un po’ fiaba e un po’ no: come fiaba è un ibrido tra “La bella e la bestia” (“Si tratta della mia pupilla, Hazel, una ragazza che ho raccolto cinque anni fa, in seguito a un bombardamento che aveva ucciso i suoi genitori e l’aveva ferita gravemente”), “Il brutto anatroccolo” (“Ero solo un relitto fra migliaia di vittime di guerra che morivano come mosche”) e i miti greci.
Psicologismo immaginifico: le sindromi di Amélie
Potenza della rappresentazione artistica!
Amélie Nothomb ritrae una molteplicità di complessi psicologici (“Perché è impossibile fare del bene a qualcuno senza fargli del male?”) in una trama avvincente, incalzante e molto dialogata.
Innanzitutto ci imbattiamo nella famosa sindrome di Narciso: l’attrazione per lo specchio (“Essere arrivata in una casa che sembrava concepita per me, senza specchi e senza la più piccola superficie riflettente”), la paura per lo specchio (“Cosa c’è di più spaventoso di uno specchio?”), la morte a causa dello specchio (“Per me sarebbe fatale come lo fu per Narciso, ma per le ragioni opposte”).
Hazel, prigioniera da cinque anni sull’isola del vecchio capitano Omer Loncours, sembra anche affetta dalla sindrome di Stendhal: sia perché ha letto sessantaquattro volte “La certosa di Parma” (“Se lei fosse innamorata, vorrebbe passare una notte soltanto con l’oggetto della sua passione?”), sia per i riferimenti all’arte come fonte di emozione (“Mi trovavo in un quadro di Hieronymus Bosch: da ogni parte bruttezza, mostruosità, sofferenza, decadimento, ed ecco, all’improvviso, un’isola di purezza incontaminata”). Del resto “Stendhal ha detto: il romanzo è uno specchio che si porta con sé lungo la via”.
Poi troviamo il complesso di Morfeo, efficace palliativo per le giornate di prigionia: “Dormire è un’occupazione ottima e piena di buonsenso”.
Ancora, incontriamo la celebre e celebrata sindrome di Stoccolma: “I prigionieri non vogliono la libertà. Sta facendo come Fabrizio del Dongo: ama la sua prigione”. E ama il suo carceriere: “Una prigione, lo stupro sentimentale, l’abiezione: allora in fondo le piaceva”. Perché “è il colmo: la sequestra per anni e lei lo ringrazia!” Anche se “mancava l’ingrediente essenziale al vostro godimento perverso: uno spettatore”.
E che dire del complesso saffico al quale s’ispira la relazione tra l’infermiera Francoise (“Somiglia alla dea Atena: ha la bellezza dell’intelligenza”) e la pupilla Hazel, soggiogata dal vecchio capitano (“Il primo marzo io compio 77 anni; il 31 marzo tu ne avrai 23. Un mese fantastico, il marzo 1923, che ci permette di fare un secolo in due!”) sull’isola di “Morte Frontiere” dinnanzi al porto di Nodo?
Infine, l’autrice sembra affetta dalla sindrome di Giano: bifronte come il dio, Amélie Nothomb propone non uno, ma due finali. Un’autentica mostruosità estetica, che rende l’opera una divina creatura bicefala. Per la delizia del lettore, che incapperà nel complesso del Capitan Tentenna e non saprà scegliere quale preferire tra i due epiloghi …
Bruno Elpis
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Mercurio!
Un'isola, “Morte Frontiere”, nelle vicinanze della costa della Normandia. Un vecchio capitano, che ha viaggiato in lungo e in largo i mari del mondo, con un segreto, gelosamente custodito da guardie armate. Una giovane e bella infermiera, Francoise, chiamata a curare e assistere una misteriosa paziente di cui nessuno è a conoscenza sulla terraferma. Hazel, una giovanissima donna con una ferita nell'animo prima che nel corpo.
Questi sono gli elementi di “Mercurio”, un romanzo che non può certamente lasciare indifferenti. Al mio primo romanzo, la scrittrice Amelie Nothomb, non mi risparmia uno schiaffo in faccia. La storia é scorrevole e interessante, ma suscita in me emozioni e riflessioni contrastanti, lasciando comunque un pochino di amaro in bocca, quale che sia la chiave di lettura, nonostante il doppio finale.
L'amore é uno degli ingredienti, ma non quello con la sua faccia più gioiosa e libera, ma quello che diviene gelosia, un muro verso l'esterno. Non arricchisce, perchè porta all'isolamento, mentre amare vuole dire anche condividere nuove esperienze insieme, arricchire la propria anima, crescere superando le difficoltá che la vita ti pone di fronte e rafforzare così facendo tale sentimento. Ma è amore giustamente anche il voler preservare qualcuno dalle sofferenze del mondo esterno, qual'è allora il giusto confine? E chi è il vero incarcerato colui che viene tenuto lontano da tutto o colui che tiene tutto dentro, colui che non si confida, il prigioniero dell'anima? La bellezza poi, è opportunitá che apre svariate porte nel mondo o è maledizione, quando trascina, come rovescio della medaglia, negli inferi, nell'infelicità? La differenza di età nell'amore fino a che punto è accettabile, anche se corrisposta?
Mercurio è il titolo del libro, ma è anche il nome del messaggero degli dei, che porta un importante annuncio. Allo stesso tempo egli era però anche ladro e ingannatore.
Mercurio è un elemento. Inodore, di una bellezza argentea splendente, ma estremamente tossico. Basta avere un contatto, aspirarne i vapori per essere condannato...
Vi sono tanti aspetti da analizzare, se ne vede una faccia ma vi è anche quella opposta, più amara o più dolce, come appunto...Mercurio!
P.S.
Ringrazio C.u.b. che mi ha consigliato questo libro, come mio primo approccio alla Nothomb. Sicuramente ne seguiranno degli altri, anche se opportunamente dosati, si sà, troppo mercurio avvelena...
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Un uccellino in gabbia
C'è un'isola con un castello privo di specchi e con finestre irraggiungibili.
Lì vive un anziano capitano con la sua giovanissima amante Hazel.
Hazel, che si crede deforme, combattuta tra la gratitudine e la repulsione che il suo amante/salvatore le ispira, divisa tra la paura di affrontare il mondo e un segreto desiderio di essere libera.
Tutto cambia quando arriva Françoise Chavaigne, un'infermiera chiamata per curarla.
Il piccolo uccellino in gabbia che Hazel è sempre stato, comincia a cinguettare allegramente, sbattendo frenetico le ali e saltellando sul trespolo della sua prigione, consapevole che qualcuno le sta aprendo una porta che finora lei credeva inesistente.
Fin dal primo istante si sviluppa un forte legame tra le due: un'amicizia profonda e devota che Hazel non pensava di poter più provare.
Perchè Françoise è il Mercurio del romanzo. Se l'antico dio greco proteggeva i medici, i mercanti ed era il messaggero degli dei, l'infermiera è nata sotto la stella della divinità, essendo messaggera di salvezza fisica e spirituale...
Che dire di questo libro? Leggero come un soffio di vento e di una bellezza delicata e fragile quanto il vetro...
Grazie ai lunghi dialoghi (assolutamente onnipresenti nello stile Nothombiano) l'atmosfera varia di continuo: si passa dalla suspense più profonda, al mistero, alla follia, all'amore, alla solitudine, indignazione, rabbia... E anche alla tenerezza.
E'splendido vedere quanto una persona possa sembrare importante per qualcuno, anche per un motivo apparentemente semplice e banale.
Ci si rende veramente conto del valore dell'amicizia, un valore purtroppo a volte usato come un vestito che un giorno lo si indossa poi mai più.
E'incredibile quanto delle semplici linee d'ebano come le parole possano regalare un mondo, un qualcosa di bello che non si dimenticherà mai.
Non è semplice spiegare parole con altre parole. Ancora di più spiegare un intero universo con le parole stesse.
Cosa sono gli aggettivi, in fondo? Dei limiti. Delle catene. Una prigione. Non bastano a descrivere l'indescrivibile.
Il logos porta bellezza nella psiche umana, ma è anche un temibile e spietato carceriere che impedisce di provare le stesse emozioni tra persone, a meno che, appunto, uno non le sperimenti da sè, leggendo quelle parole, dolci e temibili portatrici di piacere.
L'originalità e più della metà dello splendore di "Mercurio" si trovano nei due finali del romanzo: indecisa fra il lieto fine o un finale triste... Be', la Nothomb li ha inseriti tutti e due!
Ognuno può interpretare e apprezzare a modo suo il libro grazie anche a queste due conclusioni, ed è proprio questa una delle cose che più mi sono piaciute.
Bentrovata Amèlie!
C’è un vecchio capitano.
Brutto,segnato da anni di sole e salsedine.
Lui vuole essere amato.No,non da chiunque.Solo dalle fanciulle più belle.
Ma perché queste incantevoli donne dovrebbero concederglisi?
Infatti non lo fanno.Ovvio.
Allora ci pensa lui.
Le prende in momenti di debolezza,le rinchiude in un castello dorato (?),su di una isola,senza specchi.
Ma il vero crimine non è il rapimento.
Il vero crimine è convincerle che son diventate brutte.
E se son brutta perché fuggire?Perchè vivere?Mi lascio amare da uno brutto come me.
Io mi sono innamorata della Nothomb subito.
Dalle righe iniziali del suo primo libro che mi è capitato per le mani.
Devo dire però che ultimamente,leggendo Acido solforico ed Elettra,la mia passione era un po’sfocata.
Ma in questo romanzo l’ho ritrovata:con tutta la sua intelligenza,con le sue trame impensabili,con il suo sarcasmo spietato,con la sua capacità di farti interrogare su cosa è giusto e cosa è sbagliato.
(Anche se lei se ne frega altamente di cosa è morale,di cosa non lo è,del buono,del brutto e di tutto,tutto il resto….)
La parte finale è poi degna di entrare a pieno titolo nell’Olimpo della letteratura.
Un dialogo a tre rapidissimo,arguto,ironico,paradossale.
L’incanto di ogni lettore.
Ben fatto Amèlie.Sono di nuovo totalmente tua!
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SINDROME DI STOCCOLMA
Il carceriere che imprigiona senza armi, con la sola forza della menzogna.
La fanciulla piu’ bella, detenuta in un volto deturpato.
Una minuscola isola, dove e’ bandita qualsiasi superficie riflettente.
L’amore morboso di un vecchio e ricchissimo uomo di mare.
Il capitano e la sua pupilla, le onde sulla roccia, una stanza cremisi con una libreria infinita.
Una storia di solitudine e abusi, di passato e presente, di pazzia e innocenza, i libri e le loro storie l’unica compagnia.
“Il romanzo e’ uno specchio che si porta con sé lungo la via” scriveva Stendhal.
Un’infermiera ogni giorno raggiunge l’isola in barca , per prestare le sue cure ad un corpo che non puo’ permettersi di morire.
Un gioco perverso tra vittima, carnefice e redentore che sboccia nell’ennesimo ottimo lavoro di Nothomb.
Piu’ dolce nei modi l’autrice, smussata negli angoli la sua prosa di cattiva ragazza diabolica, il risultato magistralmente ottenuto e’ che la spaventosa storia della giovane Hazel e’ ammortizzata agli urti subiti, assuefatta a un gioco di amore/odio tra un carceriere e la sua vittima.
Amare un’anima cosi’ intensamente da accettare fisicamente anche un corpo disgustoso.
Amare qualcuno a tal punto da doverlo distruggere, pur di possederlo.
Questo e’ un libro che richiama la Sindrome di Stoccolma, coi modi straordinariamente poco convenzionali di Amèlie Nothomb, ovviamente.
Buona lettura.