Medea
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The other side of Medea (una madre amorevole)
E se Medea non fosse l’infanticida che mitologia e tragedia euripidea ci hanno consegnato?
La Wolf, in ambito artistico-letterario, compie la medesima operazione che Cartesio esperì in filosofia. Come Cartesio - esercitando il dubbio iperbolico dello scetticismo metodologico – negò gli assunti da sempre ritenuti incontestabili per costruire un nuovo sistema di pensiero, così Christa Wolf nega la tradizione e ripropone una mutazione di Medea: non già la donna passionale e accecata dall’amore, che tradisce la patria, aiuta Giasone a impossessarsi del vello d’oro, lo segue a Corinto ove – sentendosi respinta – follemente uccide i figli cha da lui ha avuto; bensì un essere pensante e positivo a partire dal nome (“Medea ossia colei che porta consiglio… guaritrice”), decisa ad andare sino in fondo per smascherare il delitto (“A Medea è toccato portare alla luce la verità sepolta che determina la nostra convivenza, e … noi non lo tollereremo”) sul quale il potere si basa (“Dovevo conoscere il segreto di quella regina”), carismatica per i colchi approdati a Corinto e sfidante nei confronti del re Creonte e del suo apparato (“Lo dicono i corinzi, per loro una donna è selvaggia se fa di testa sua”), protettiva e materna verso i figli (“Erano spensierati, pieni di vita, quello che assomiglia a Giasone è più prestante di quello scuro, ricciuto, che però è più selvaggio e ribelle del fratello”) che vengono uccisi non da lei, ma dalla furia collettiva (“La scrittrice parte … dal presupposto che dal matriarcato non possano discendere pulsioni distruttive”).
Il metodo di narrazione prescelto è quello delle sei “voci” (“una struttura a sguardi incrociati”) che si alternano in monologhi: Medea, Giasone, Agameda (della Colchide, un tempo allieva di Medea), Acamante (primo astronomo del re Creonte), Leuco (secondo astronomo), Glauce (figlia di Creonte e Merope).
La figura di Medea, nel racconto delle sei voci, trasmuta rispetto alla tradizione greca e viene completamente rifondata: la monarchia di Corinto nasconde un orrendo delitto (“a quello stretto cranio infantile, a quelle scapole sottili, a quella friabile colonna vertebrale”), che Medea penetra; questo atto di insubordinazione scatena la reazione del potere (“Pare tuttavia che il segreto sulle cui tracce lei si è messa sia così orribile che non sia possibile usare pubblicamente tali prove contro di lei”), che addensa su Medea le nubi del sospetto cittadino (“Il piano era geniale perché lasciava aperte tutte le possibilità. Medea sarebbe stata accusata di aver ucciso suo fratello Apsirto in Colchide…”). Quando poi gli eventi naturali flagellano i corinzi, il potere ne approfitta per scoccare il colpo finale e ostracizzare la donna.
La parte finale dell’opera è notevole per il clima tragico di tensione (“Si sarebbero liberate tutte le forze funeste che normalmente una comunità ordinata era in grado di tenere a bada”) intorno alla figura di una donna volitiva e tenace. Tutto è in crescendo: dapprima il terremoto (“morti destinati a imputridire per settimane sotto le macerie della case”), poi la pestilenza, infine l’eclisse di luna che nelle credenze antiche era considerato funesto. Gli eventi richiedono sacrifici propiziatori (“Fra poco dovrà essere sacrificato un prigioniero ogni cento”) e vengono abilmente utilizzati contro Medea (“molti corinzi sostengono che si tira dietro la malattia”). In un clima misterico (“Presi il lauro che mi diedero da masticare ed esso ci trasportò nell’ebbrezza, sicché vedemmo Demetra che vagava esultante nella notte”), orgiastico (“la nostra danza che divenne più selvaggia, la danza del labirinto”) e sanguinario (“Turone… gli recidevano il sesso”), Medea diviene il capro espiatorio (“fu spinta attraverso la porta a sud, come si usa per il capro espiatorio, fuori dalla città”) e così a lei viene ascritto anche il delitto dei figli…
Questa originale rivisitazione del mito può essere interpretata sia alla luce del femminismo teorico dell’autrice (“la tendenza, soprattutto nei momenti di crisi, a caricare di segni negativi una determinata figura – spesso femminile, si chiami essa Cassandra o strega destinata al rogo – per destituirla di ogni autorevolezza”), sia in chiave biografica in relazione al complesso processo di riunificazione della ex DDR. In quest’ultima accezione il superamento dell’impostazione euripidea (“il testo di Euripide, teso ad affermare la superiorità della ratio greca sul tenebroso mondo dei barbari”) va letto anche a contrariis (ossia valutando la “incapacità degli abitanti di Corinto di integrare una cultura come quella della Colchide”).
Bruno Elpis
P.S.: Le citazioni critiche sono tratte dalla postfazione di Anna Chiarloni
Indicazioni utili
L'altra Medea e un palazzo che si erge sul sangue
"[...] la verità dunque, solo che, come tante verità, si fondava su false premesse."
La Wolf ha presentato una Medea tutta nuova, opposta alla versione folle e infanticida della tragedia di Euripide. Un romanzo che si serve di un mito meglio approfondito e rivisitato di Medea per presentarci la verità sul potere politico.
Ella fugge dalla Colchide dopo aver aiutato Giasone perché il re Eete, suo padre, corrotto nell'animo, sta distruggendo l'equilibrio di quella terra dalle tradizioni antiche. Scappa e ripiega su Corinto, una città greca ritenuta all'avanguardia. Dopo un primo apprezzamento generale delle sue capacità, viene a conoscenza del segreto del palazzo: anche il potere del re Creonte si fonda sull'omicidio. Medea comprende che il potere è uguale dappertutto, sia nell'antica Colchide ché nella moderna Corinto e questo potere si basa sul sangue di innocenti, su segreti e menzogne raccontate alla popolazione. Diventa un personaggio scomodo, gradualmente diffamata, allontanata, esiliata e le vengono uccisi i figli. Infine viene fatta passare come infanticida così da poterla diffamare durante i secoli.
Una donna istintiva ma razionale che racconta con lucidità la verità degli eventi. Non c'è un singolo momento di follia, nemmeno quando comprende che la storia con Giasone è terminata.
Un libro che non solo rivisita una figura mitologica, rimembra l'antico potere del femminile e racconta una verità politica.