Mattatoio n. 5
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Insegnare la pace, raccontando la guerra
"Mattatoio n. 5" è un romanzo di fantascienza scritto con un intento dichiaratamente pacifista, come si può notare già dal sottotitolo dell'opera, ovvero "La crociata dei Bambini". L'autore ha vissuto in prima persona l'esperienza della guerra, durante il secondo conflitto mondiale, e nei suoi libri tenta di elaborare questo trauma pur tra molte difficoltà.
«Ma allora non mi venivano molte parole da dire su Dresda, o almeno non abbastanza da cavarne un libro. E non me ne vengono molte neanche ora, [...].»
Da qui la decisione di creare delle storie allegoriche ed estremamente satiriche, che sfruttano spesso il genere sci-fi per educare i lettori alla pace; la particolarità di questo titolo è quella di raggiungere l'obiettivo narrando in modo diretto e spesso grottesco delle scene di guerra, anziché rimarcare soltanto il valore della non-belligeranza.
Questo fine viene perseguito anche con l'inserimento di parecchie battute da parte di personaggi che invece di apprezzare la pace in cui vivono, si professano nostalgici della guerra ormai finita e ne auspicano di nuove ancor più violente, come il vecchio ufficiale che tiene banco al Lions Club (doppia ironia!):
«Lui era per aumentare i bombardamenti, per bombardare il Nord Vietnam fino a farlo tornare all'età della pietra, se non voleva sentire ragioni.»
Il romanzo inizia con un capitolo introduttivo in cui autore e narratore si fondo tra loro e vanno a spiegare come si è giunti alla stesura di questo volume sulla peculiare vita di Billy Pilgrim. La voce narrante fa diverse altre comparsate nel corso della narrazione, per darci ad intendere che il protagonista è stato un suo commilitone del quale lui racconta (o immagina?) la storia, da prima della partenza per la guerra fino alla sua morte. Una vita tutto sommato ordinaria -almeno per l'epoca- che l'autore rende unica dando a Billy la capacità di viaggiare nel tempo: in alcuni momenti il protagonista si addormenta oppure entra in trance e riprende coscienza in un altro momento della sua vita, avendo così la possibilità di conoscere gli eventi futuri o rivivere dettagliatamente il passato. A ciò si aggiunge niente meno che un rapimento da parte degli alieni di Tralfamadore, pianeta dall'atmosfera letale in cui Billy viene portato per essere esibito come un animale nello zoo.
Billy fa proprio il modo di pensare dei tralfamadoriani: per loro ogni evento è privo di significato perché -capaci di vedere la quarta dimensione del tempo- conoscono il destino dell'intero universo e ne capiscono l'ineluttabilità.
«È solo una nostra illusione di terrestri credere che a un momento ne segue un altro, come nodi su una corda, e che quando un istante è passato sia passato per sempre.»
Anche Vonnegut mette in pratica questa filosofia quando, parlando di un personaggio, ci racconta subito quale sarà la sua fine, sottintendendo l'unitarietà nel tempo dell'esistenza umana, oppure quando fa seguire ad ogni decesso l'espressione "Così va la vita", tipica di Tralfamadore.
«"Oggi anch'io, quando sento dire che è morto qualcuno, alzo le spalle e dico ciò che i tralfamadoriani dicono dei morti, e cioè: Così va la vita."»
Pur concentrandosi sulla vita di Billy, il libro vede come secondo protagonista il bombardamento alleato ai danni della città di Dresda; un attacco del quale non si parlava molto negli anni in cui Vonnegut pubblicò questo romanzo,
«A quell'epoca non era ancora diventato famoso, in America, quel bombardamento. [...] Non c'era stata molta pubblicità.»
e che ancor oggi non è troppo conosciuto, probabilmente perché non era atto a colpire delle strutture militari strategiche, bensì ha raso al suolo una città abitata quasi esclusivamente da civili impreparati. Si arriva al paradosso se si pensa che, per questo romanzo antimilitarista, l'autore fu praticamente etichettato come filo-nazista; di sicuro sarebbe stato per lui più comodo raccontare una versione unilaterale della Storia, con gli alleati dipintici come i salvatori incapaci di azioni negative.
A me invece Vonnegut piace proprio per le narrazioni sopra le righe ed anticonformiste, seppur con uno stile sempre immediato e semplice che a tratti diventa minimale, ma non perde un grammo della sua forza suggestiva. Come esempio tra i tanti vi riporto un breve estratto della scena in cui Billy, fatto prigioniero dai tedeschi, è rinchiuso sul treno che lo porterà in un campo di sterminio:
«Per le guardie che là fuori andavano su e giù, ogni vagone divenne un singolo organismo che mangiava e beveva ed evacuava attraverso le prese d'aria.»
Molto particolari sono anche le continue ripetizioni che creano dei collegamenti tra le diverse linee temporali, sia a livello emozionale che sensoriale: quando Billy è catturato dai tedeschi e portato dal Lussemburgo in Germania abbiamo questa descrizione,
«C'era un mucchio di cose da vedere: denti di drago, macchine letali, cadaveri coi piedi nudi blu e avorio.»
che si riverbera molte volte, come durante la notte delle nozze di sua figlia Barbara.
«Billy scese dal letto nella luce lunare. Si sentiva spettrale e luminoso, [...]. Si guardò i piedi nudi. Erano blu e avorio.»
È d'obbligo far presente anche che, pur essendo limitato e grosso modo di contorno, il cast vede la presenza di alcuni volti noti, almeno per coloro che hanno già affrontato la bibliografia di Vonnegut, come il veterano Eliot Rosewater da "Perle ai porci" e lo scrittore di fantascienza Kilgore Trout da "La colazione dei campioni". Il riferimento che ho più apprezzato è però la comparsa di Howard W. Campbell junior,
«[...] lo aveva scritto un ex americano che aveva fatto carriera nel ministero della Propaganda tedesco. Si chiamava Howard W. Campbell junior.»
che, oltre ad essere il protagonista di "Madre notte", sarebbe un eccellente seguace del fatalismo tralfamadoriano.
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SCEMO DI GVERRA
Un libro che faccio fatica a recensire per la complessità dei temi. Rimango vago proprio perchè non voglio togliere il piacere della scoperta a nessuno perché farebbe perdere tutta la magia del libro. Faccio solo una recensione senza rivelare nulla per invogliare le persone a leggerlo perchè merita.
Lasciare passare un po’ di tempo dopo la lettura di un libro ti fa realizzare, ti fa metabolizzare e ti fa assorbire completamente la potenza del libro. Ci si rende conto di molte cose che prima non si vedevano o per meglio dire non gli si attribuiva la stessa potenza visiva. La mente cavalca, aumenta e ritorna a quei passi letterari e ci si rende conto della potenza, della genialità dello scritto; le immagini ti si imprimono nella mente ancora più forti e vivide e questo solo i grandi capolavori sanno farlo. Ci sono punti che non mi hanno entusiasmato ma quello è un mero gusto personale e la lettura non ne ha risentito. L’ unica cosa prima di intraprendere la lettura di questo libro è aprire la mente e lasciarsi trasportare dal sottotesto. Certi argomenti sono così dolorosi che solo in una certa speciale maniera possono essere raccontati e possono essere resi al meglio. E’ un Libro molto famoso che ho apprezzato per l’originalità. Questo libro non deve piacere ma deve disgustare.
L’ importante è il messaggio.
E’ un libro rivoluzionario che affronta temi ancora presenti e che saranno sempre presenti purtroppo. La parte iniziale confonde un po’ le acque e giunge ad una netta conclusione che spiazza e ci dà uno schiaffo in faccia. Il romanzo è breve e se si legge non si ha la sensazione di perdere tempo perché è importante quello che dice ma soprattutto come lo dice. La classe con cui dipana i vari argomenti nascondendoli in bella vista mutando forme ma non contenuto e mutando vite ma che vite di tutti rimangono è meravigliosa.
Non è di facilissima lettura e potrebbe annoiare ma per la sua brevità e per la sua importanza lo consiglierei a prescindere a chiunque. A me personalmente non ha annoiato e se non volete la solita storia sulla guerra allora fa per voi.
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TRA STORIA E FANTASCIENZA
“Così va la vita”: è questa la frase che viene ripetuta, come un mantra pronunciato da chi vede le cose con soprannaturale imperturbabilità e distacco, quasi sub specie aeternitatis, ogni volta che, in “Mattatoio n. 5”, ci si trova davanti all’esperienza della morte. E siccome il romanzo è in gran parte ambientato in Germania durante gli ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale, e il suo protagonista ha modo di assistere al devastante bombardamento di Dresda (che riduce la città, letteralmente, a una superficie lunare), si può facilmente intuire il gran numero di volte in cui questa frase viene pronunciata. “Mattatoio n. 5” è un romanzo antimilitarista, ma nell’esteso universo di libri contro la guerra, occupa un posto del tutto sui generis, in primo luogo perché rifugge intenzionalmente da ogni effetto emotivo, di immedesimazione empatica con le vittime del conflitto (con ciò modellando il suo stile sulla bizzarra figura del suo protagonista, Billy Pilgrim, un uomo abulico, con ridottissime esigenze ed attrattive, scarsamente attaccato alla vita in un’epoca in cui la vita vale davvero poco, e che ciononostante, con keatoniana impassibilità, riesce a sopravvivere miracolosamente non solo alla guerra ma, anni più tardi, addirittura ad un incidente aereo), e in secondo luogo – cosa davvero enorme se ci si pensa – perché è anche un romanzo di fantascienza. Solo quando si finisce di leggere “Mattatoio n. 5” si può tentare di intuire l’intendimento di Vonnegut: per raccontare la sconvolgente esperienza autobiografica della Guerra in Europa senza cadere nella retorica pacifista o nell’antitetica esaltazione eroica dell’esercito americano era necessario un atteggiamento simile a quello di Hasek e del suo soldato Scveik, qualcosa che arrivasse al cuore del lettore attraverso la deformazione comico-grottesca e antieroica dei suoi personaggi. Vonnegut fa tutto questo (il romanzo è pervaso da un umorismo paradossale, Billy Pilgrim e i suoi commilitoni sono delle caricature di soldati), ma in più aggiunge una dimensione di ulteriore distanziazione dal naturale climax del filone bellico, ossia i viaggi temporali del protagonista, il quale si sposta involontariamente avanti e indietro lungo l’intero arco della sua esistenza, rivive più volte la sua nascita e la sua morte, e ad un certo punto viene rapito dagli extraterrestri che lo iniziano a una suggestiva filosofia, secondo cui tutti gli attimi della vita coesistono ineluttabilmente per l’eternità, e passato, presente e futuro sempre sono stati e sempre continueranno a essere (tutto il contrario del “carpe diem” oraziano, qui ogni istante è permanente, e quindi non vale la pena prendersela per le cose brutte perché ci sono tantissimi altri momenti in cui le cose sono decisamente migliori). Questo atteggiamento influenza necessariamente il concetto di libero arbitrio, che secondo gli abitanti di Tralfamadore non esiste, in quanto tutto è mosso da una sorta di rigido determinismo, anche in campo morale. Chi compie una determinata cosa non poteva comportarsi diversamente, persino i piloti che hanno sganciato le bombe su Dresda o i generali che hanno ordinato l’attacco.
Alla luce di quanto sopra, è chiaro che la chiave di lettura del romanzo non è la lettera di ciò che si legge, ma il suo rovesciamento ironico, che chi si appresta a decodificare le tragicomiche avventure di Billy Pilgrim (novello Chance il Giardiniere, per chi ricorda il film “Oltre il giardino” con Peter Sellers) è chiamato a compiere per arrivare al nocciolo del messaggio dell’autore, il quale non è mai così chiaro come in quelle pagine in cui Billy di notte, aspettando di essere rapito dall’astronave tralfamadoriana, vede alla televisione un film di guerra all’incontrario, partendo da scene di distruzione di massa per giungere miracolosamente a una sorta di edenico idillio di pace ed armonia. Questo a mio avviso (oltre al fatto che, di fronte a un massacro, la cosa migliore che la lingua e la penna possono fare – incapaci come sono di riprodurne le più profonde e sconvolgenti ripercussioni sugli uomini e sulle loro coscienze – è tacere) è quanto Vonnegut ci ha voluto trasmettere, anche se rimane, in sottofondo, un retrogusto amaro, dovuto alla inevitabile e ineliminabile sensazione che nessuno potrà mai impedire alle guerre di continuare a scoppiare, devastare e uccidere, che far cessare la guerra è un po’ come far scomparire il mare, vale a dire impossibile.
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"L'arcobaleno della gravità" di Thomas Pynchon
Dresda
«Quello che voleva dire, naturalmente, era che ci saranno sempre guerre, che impedire una guerra è facile come fermare un ghiacciaio. E lo credo anch’io. E poi, anche se le guerre non ci fossero come i ghiacciai, ci sarebbe sempre la morte, la morte pura e semplice» p. 13
La guerra, la prigionia. Dresda. Come dimenticare? Come convivere con quel senso di vuoto e quel senso di distruzione e morte che i nostri occhi hanno vissuto e provato mentre il nostro cuore sanguinava insieme a quelle ormai rovine rase al suolo dagli alleati? E ancora, come raccontarlo quel che si è provato? Come descrivere quel che ci ha distrutto nell’animo? Come riuscire a focalizzare completamente l’attenzione e ad estrapolare la totalità di un avvenimento che ci ha dilaniati dentro? Come tornare alla vita normale, come ricominciare a vivere dopo che il conflitto armato è giunto al suo termine?
Tanti interrogativi, tanti i tentativi, tanti gli espedienti che hanno portato alla definizione del protagonista Billy Pilgrim, alter-ego di Vonnegut e bambino inviato in questa crociata per molti, per quasi tutti senza ritorno, che appare e scompare negli abissi dei vari capitoli per poi riaffiorare nella parte finale del testo dove l’intera opera si ricompone nelle sue fila per definire quella che è la morale/non morale insita nel suo contenuto.
A questa scelta iniziale l’autore aggiunge un altro dato di fatto: “così va la vita”. Il passato non può essere cambiato così come il presente e il futuro né la vita stessa perché in realtà, per Billy/Kurt queste dimensioni non esistono. Sono un qualcosa che sempre accadrà a prescindere dal tutto. Questa impossibilità di scegliere e decidere degli avvenimenti perché flusso ininterrotto di elementi che accadono, impediscono allo scrittore di trascriverli e di riportarli in un ordine consequenziale che quindi determina anche i continui salti temporali che portano il lettore a trovarsi, ulteriormente, in tre spazi dimensionali diversi. Il trauma di aver assistito ad un incidente aereo, di aver perso la moglie, di aver toccato la distruzione con mano, di soffrire di allucinazioni, comportano la necessità di creare questa confusione del tempo che scorre a cui si sommano ripetizioni di assunti già scritti. L’uomo non ha forza e non ha potere di interrompere il flusso degli eventi, li subisce passivo e vi si abbandona.
Non stupisce dunque che “Mattatoio n. 5” sia considerato il romanzo antimilitarista per eccellenza, ma badate bene, non lo è nel modo in cui lo si può pensare. Perché nelle sue pagine non troverete l’orrore del bombardamento, della guerra, del sangue che scorre quanto un’autoanalisi umana. Al centro delle vicende vi è un protagonista inadatto, talora ostico per il lettore, incapace di fronteggiare e contrastare un destino che viene considerato un dato immutabile e improcrastinabile.
Ed è proprio questa impostazione narrativa caratterizzata su più dimensioni spazio-temporali ad esser la forza di questo scritto, un volume intelligente, costruito su piccoli mattoni apparentemente scollegati tra loro ma che finiscono con il ricomporsi in un puzzle più grande nelle conclusioni e che ha quale unica pecca, a mio modesto avviso, uno stile che può risultare privo di empatia, privo di quella capacità di accompagnare il conoscitore avvenimento dopo avvenimento. Questi piccoli blocchi, infatti, avvalorati da una penna poco curata e da una serie di ripetizioni e ridondanze (come appunto al continuo ricorso dell’espressione “così è la vita”, che è sì sinonimo di questo flusso inarrestabile di eventi in discesa libera e imperturbabile), sfiancano.
In conclusione, un libro intriso di grande tecnica e con un significativo messaggio ma che riesce a farsi apprezzare soltanto a metà.
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- sì
- no
Così va la vita: ineluttabilità del fato...
...e pacifismo velleitario
Ritengo che un primo elemento fondamentale per comprendere appieno la struttura di un romanzo complesso come Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut sia l’inusitata scelta fatta dall’autore per il ruolo di protagonista. Vonnegut infatti era prigioniero di guerra a Dresda, quando gli alleati la rasero al suolo, e ce lo dice nel primo capitolo del libro, sorta di introduzione alla narrazione. L’autore però non narra la storia in prima persona, come sarebbe stato logico, ma ci racconta le vicende di un altro soldato americano, Billy Pilgrim: l’io narrante/Vonnegut, che si inabissa dopo il primo capitolo, riemerge solo in un paio di occasioni durante tutta la narrazione delle avventure di Billy, a ricordarci che anche lui era lì, oltre che nell’ultimo capitolo, dove trae la (non) morale del romanzo.
Perché inventare un personaggio fittizio, un alter ego, da parte di chi avrebbe potuto dare più credibilità alla narrazione conducendola in prima persona? Credo che la risposta a questa domanda non possa essere univoca, dovendosi giocoforza ricercarla in prima battuta nel modo scelto da Vonnegut per scrivere questo romanzo, nel taglio picaresco (tornerò su questo termine) che ha voluto dare alla narrazione di uno degli episodi più tragici della storia del ‘900, il che ha reso oggettivamente arduo un approccio autobiografico. Ma questa non è una risposta, perché apre le porte ad un domanda che rimanda alla prima: perché Vonnegut ha dato questo taglio alla narrazione? Secondo me, alla base di queste scelte dell’autore c’è l’impossibilità (o la mancanza di volontà) di fare realmente i conti con quanto ha vissuto. Come evidenziato giustamente in quarta di copertina dell’edizione che ho letto, la dura ed incancellabile esperienza di morte di cui Vonnegut è stato testimone risulta per lui assolutamente indicibile. Si aggiunga, come ulteriore elemento di indicibilità, che il massacro di Dresda è provocato dalla sua parte, dai buoni della Storia, che infatti si preoccuperanno per molti anni di tenerlo sottotraccia. L’autore ci dice più volte, nel primo capitolo, della sua difficoltà di scrivere questa storia, di come scriverla significhi trasformarsi in una statua di sale per aver osato guardare indietro, di come il romanzo si sia risolto in un disastro, e non potesse essere altrimenti. A Vonnegut quindi sembra non restare, per narrare questa storia che troppo lo ha segnato, che guardarla dall’esterno, attraverso gli occhi di Billy Pilgrim, un bambino (uno dei tanti che furono mandati a questa crociata) goffo e fatalista, la cui filosofia di vita si riassume nella preghiera che è appesa nel suo ufficio di agiato e tranquillo borghese nel dopoguerra:
“Dio mi conceda
la serenità di accettare
le cose che non posso cambiare
il coraggio
di cambiare quelle che posso
e la saggezza
di comprendere sempre
la differenza.”
Vonnegut, inoltre, annega quell’episodio della vita di Pilgrim nel contesto più generale della sua esistenza, facendone uno dei tanti accadimenti inevitabili della sua vita. Subito dopo la lettura della preghiera appesa nell’ufficio, l’autore ci dice infatti che “Tra le cose che Billy non poteva cambiare c’erano il passato, il presente e il futuro.”
Ma c’è di più: per Billy il passato, il presente e il futuro in realtà non esistono, come bene gli spiegano i suoi rapitori Tralfamadoriani: tutto è sempre accaduto, accade e sempre accadrà, e chi veramente vede può vedere tutto come un unico insieme, che inevitabilmente non si svolge ma accade: ecco che allora tutto quello che succede a Billy è posto sullo stesso piano; ecco che allora nel libro gli avvenimenti non possono essere posti in un ordine consequenziale, ma devono essere narrati attraverso salti spazio-temporali casuali, nei quali il tempo viene sovvertito, e il grande e tragico avvenimento storico del quale Billy è testimone assume la stessa importanza ed ineluttabilità di un incidente aereo, della morte della moglie e financo delle sue allucinazioni. Ecco, ancora, che ogni accenno a morti o a fatti tragici nel racconto è chiosato con l’ossessiva ripetizione della frase Così va la vita. Tutto è già scritto, ci dice Vonnegut, e il piccolo uomo non può far nulla per cambiare qualche frase del grande libro degli accadimenti. Il tempo non è che una convenzione adottata dall’uomo per rendere comprensibili avvenimenti che le sue limitate capacità intellettive non sanno interpretare, ma è una convenzione che può condurre a conclusioni sbagliate, come dimostra il fatto (narrato in uno dei passi secondo me più belli del libro) che un film di guerra e distruzione, visto all’incontrario, sembra un film sulla redenzione dell’umanità.
Mattatoio n. 5 non è quindi, a mio avviso, un romanzo che descriva l’orrore del bombardamento di Dresda o più in generale l’orrore della guerra: è un romanzo picaresco, che – rifacendosi soprattutto (anche se non so quanto coscientemente) alla grande tradizione spagnola di questo genere – narra le avventure di un personaggio apparentemente inadeguato, alle prese con il proprio destino, che come alcuni grandi personaggi dei romanzi classici è dotato di una propria peculiare saggezza, derivantegli dalla capacità di incassare e di adattarsi ai colpi del destino. Del resto questa vocazione del protagonista emerge chiaramente, a mio avviso, anche dalla scelta del cognome: chi più del pellegrino trae dalla sua fede la forza per proseguire nel cammino, anche quando le condizioni esterne sono le più avverse?
Se questo modo di Vonnegut di scrivere, di trasfigurare l’avvenimento indicibile di cui è stato testimone in qualcosa di narrabile è forse per l’autore una scelta obbligata, e costituisce indubbiamente uno dei principali elementi di fascino del libro da un punto di vista strettamente narrativo, è a mio avviso anche uno dei suoi maggiori punti di debolezza quando si passi ad analizzarne il contenuto politico.
Non vi è infatti dubbio, a mio avviso, che Mattatoio n. 5 possa essere visto anche come una grande operazione di rimozione. Attraverso la struttura stessa del romanzo, che ho sopra cercato di analizzare, Vonnegut rimuove sostanzialmente il fatto che il bombardamento di Dresda poteva e doveva essere evitato, che si è trattato di un atto di deliberato terrorismo, che solo il fatto che la storia sia stata scritta dai vincitori ha evitato di classificare per quello che è stato: un crimine di guerra. Certo, non mancano nel libro gli accenni critici all’operazione, dal fatto che Dresda sia descritta come una città aperta senza importanza strategica al crudo realismo con il quale Vonnegut descrive le conseguenze del bombardamento, dall’ammirazione per la bellezza della città, la Firenze del nord, sino alla citazione dei rapporti giustificazionisti del dopoguerra. La mia netta sensazione è però che tutto sia sotteso da una ideologia che fa delle guerre e dei massacri una conseguenza (come detto ineluttabile) dell’eterna istintualità umana, contro cui nulla si può: il colloquio che Billy ad un certo punto ha con la sua guida Tralfamadoriana è a mio avviso cruciale per comprendere la tesi di fondo del libro: in buona sostanza vi è affermato che per vivere bene occorre concentrarsi sui momenti belli della vita per goderli, sapendo che quelli brutti ci saranno comunque, indipendentemente dalla nostra volontà. In molti altri passi del libro questa visione è espressa con altrettanta chiarezza: ad esempio nell’episodio dell’incidente aereo. Vonnegut a mio avviso sposa quindi appieno la tesi dell’ineluttabilità del fato, inserendosi in un filone di pensiero antichissimo e nobilissimo, che però spesso è stato la base teorica delle posizioni sociali e politiche più retrive e reazionarie. Non mi aspettavo che un autore statunitense, impregnato della cultura individualista che caratterizza quel paese e che è agevolmente percepibile sin dal costrutto sintattico della sua scrittura, avesse la capacità di trasporre in letteratura una storia che ci aiutasse a comprendere le vere cause della guerra: questo è un compito che probabilmente non può essere assegnato ad alcuno scrittore nordamericano. E’ certo però che – forse come detto a causa dell’eccessivo coinvolgimento emotivo di Vonnegut – la storia di Billy Pilgrim non ci fa fare alcun passo in avanti lungo la strada per sapere perché quel bombardamento fu ordinato, quali erano gli obiettivi (visto che non erano di ordine strategico) sottesi al massacro di 135.000 civili ed alla completa distruzione di una delle più belle città d’Europa. In questo senso mi sento quindi di contestare l’aggettivo di pacifista sempre appioppato a questo libro: se pacifismo c’è, è un pacifismo astratto, basato unicamente sull’emotività e comunque destinato ad essere sempre subalterno alla logica ferrea della guerra, proprio perché incapace di comprenderne le ragioni.
Infatti, se tutto è già scritto, se così va la vita, perché impegnarsi? Cosa rimane da mettere in discussione, da analizzare? L’unica prospettiva è quella soggettiva, che tenti di trarre il meglio dai momenti buoni, aspettando che quelli cattivi passino lasciandoci il più indenni possibile, magari regalandoci anche un diamante che ci possa servire come simbolico anello sul quale fondare la nostra nuova vita. Il buon Billy, su di un carro tra le macerie di Dresda una mattina di maggio, a guerra appena finita, si sentirà di nuovo sereno, e un uccello, dopo tanto tempo, tornerà a cantare per lui. Ciò che ha vissuto gli ha dato una nuova saggezza, che gli permetterà di affrontare il dopoguerra (che peraltro ha già vissuto o sta già vivendo) e le nuove, piccole tragedie che gli riserva.
Il romanzo si conclude, dandogli un verso cronologico, in presa diretta, nel 1968, subito dopo l’assassinio di Martin Luther King e di Robert Kennedy. Anche questi tragici episodi, che hanno sicuramente cambiato la storia degli Stati Uniti e non solo di quella nazione, sono registrati da Vonnegut con leggerezza, con l’immancabile così va la vita, al pari del giornaliero bollettino dei morti in Vietnam. Nulla è cambiato dai tempi di Dresda e della guerra, e nulla potrà cambiare mai, ma sembra che a Vonnegut non importi: in fondo è grato che molti dei momenti della sua vita siano belli. Può tornare a Dresda da turista, ora che ha fatto i soldi, e stupirsi – da buon statunitense – di come siano diverse in generale le cose sotto i comunisti.
Forse a Kurt Vonnegut, in quanto testimone diretto del massacro di Dresda, non si poteva chiedere di più di un romanzo estremamente piacevole da leggere, anche se vengono per contrasto in mente libri come Se questo è un uomo di Primo Levi: sicuramente al Kurt Vonnegut intellettuale si poteva chiedere un romanzo diverso, meno consolatorio e meno funzionale ad un antimilitarismo innocuo e velleitario. Può darsi che qualcuna altro lo abbia scritto, qualcuno come Kilgore Trout, lo sconosciuto scrittore di fantascienza che gioca un ruolo non secondario nel romanzo: non lo sapremo mai, anche perché presumibilmente per una simile opera le porte dell’industria culturale statunitense non si sarebbero aperte con tanta facilità.
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Billy Pilgrim e Dresda
Era da tanto tempo che avevo Mattatoio n5 sulla scrivania e non riuscivo mai a decidermi ad iniziarlo. Forse già questo era un segno perchè io questo libro non l'ho amato molto. Ho fatto fatica a leggerlo nonostante i temi forti e profondi e il racconto della tragedia di Dresda narrato in questo modo quasi superficiale a me non ha convinto.
Billy Pilgrim viaggia nel tempo e si rivede nelle varie fasi della sua vita e così viene raccontata la storia, un modo geniale per rivivere i fatti. Mi piace anche il modo un po' tragi-comico con cui si racconta delle vicende più sfortunate del protagonista ma nell'insieme la lettura per me non è stata delle più piacevoli.
Il rapimento da parte degli extraterrestri per portarlo in uno zoo a Tralfamadore non ho capito a che scopo è stato inserito anche se il messaggio sul valore effimero dell'esistenza mi è rimasto.
Tutto questo a mio modesto parere, rimane sempre un grande scrittore, so che ha avuto vari riconoscimenti per questo libro e Dresda e la guerra rimangono importanti fatti storici che bisogna raccontare.
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La vita senza il tempo
Traumatica successione di eventi, come sprazzi di memoria, fotogrammi senza tempo a costruire la storia. Il romanzo di Vonnegut è sicuramente atipico ed originale, gioca con il tempo tralasciandolo, implicitamente dimenticato, messo da parte. Storia scritta senza cronicità, come se si guardasse un film selezionando una successione casuale di scene. Fortissimo il messaggio trasmesso, una condanna assoluta di ogni forma di violenza e di guerra, l’autore utilizza uni stile canzonatorio, a tratti scherzoso e goliardico. Un senso di alleggerimento di eventi storici di drammaticità estrema.
Una delle pagine più tristi e raccapriccianti della storia ripresa in diversi cortometraggi senza soluzione di continuità. L’alter ego dello scrittore si “diverte” a saltellare nel tempo restituendoci scene che egli stesso ha vissuto in prima persona, salvandosi per miracolo.
Bello e intelligente l’inserimento di una seconda linea del racconto, quella relativa ai trafalmadoriani, un popolo alieno che vede il genere umano con occhi e metriche completamente diverse dal solito. Una sorta di coscienza camuffata da viaggi spazio-temporali, una dichiarazione di come Vonnegut vede o vorrebbe vedere la vita.
Bello anche il concetto che credo di aver recepito: la vita è una specie di insieme di eventi che slegati dal tempo portano a morire più volte e per questo essere sempre vivi:
“…se non che l’autore li ha scelti con cura in modo che, visti tutti insieme, producano un’immagine della vita che sia bella, sorprendente e profonda. Non c’è principio, parte di mezzo o fine, non c’è suspence, né morale, né cause ed effetti.
Quella che amiamo nei nostri libri è la profondità di molti momenti meravigliosi visti tutti in una volta.”
Un romanzo diverso dal solito e forse anche per questo molto apprezzato. Difficile a tratti seguirne il filo, la trama, ma forse proprio questo voleva essere l’intento del suo autore, un’esplosione di vicende che compongono una vita. Tante persone muoiono in questo libro, tante persone muoiono per guerre stupide, ogni guerra lo è, tanta gente soffre… “Così va la vita”.
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Geniale
Vonnegut voleva scrivere un romanzo sul massacro di Dresda cui ha assistito da testimone.
Dresda era tutta una sola grande fiammata. Quell'unica fiammata stava divorando ogni sostanza organica, ogni cosa capace di bruciare. Non fu prudente uscire dal rifugio prima di mezzogiorno dell'indomani. Quando gli americani e le loro guardie vennero fuori, il cielo era nero di fumo. Il sole era una capocchia di spillo. Dresda ormai era come la luna, nient'altro che minerali. I sassi scottavano. Nei dintorni erano tutti morti.
Nel massacro insensato morirono 130000 persone. I ricordi della guerra e del massacro sono difficili da affrontare per Kurt che ha rimosso quasi tutto e di quello che ricorda vuole e non vuole parlare. Nel romanzo Billy Pilgrim, l'alter ego dell'autore, viene rapito dagli extraterrestri, i trafalmadoriani, e diventa uno spastico temporale, nel senso che può viaggiare nel tempo e vivere e rivivere tutti i momenti della sua vita. Da qui l'idea geniale che gli ha consentito di ricordare staccando la corrente emotiva alla narrazione, che gli avrebbe impedito di scrivere il romanzo. Il tocco fantascientifico è l'espediente che gli permette di passare da ricordi drammatici a ricordi belli, da ricordi terribili a episodi completamente diversi, rendendo il racconto bizzarro, divertente ma mai triste o drammatico . Il dramma viene nascosto dalla stranezza e dagli sbalzi temporali e dal modo di guardare le cose del protagonista.
Nel romanzo c'è anche una specie di profeta, lo scrittore di fantascienza Trout, non molto popolare a dire la verità.
La filosofia trafalmadoriana è molto utile a accettare l'inevitabile senza troppi drammi. I viaggi da un momento all'altro della sua vita, fanno sì che Billy non riviva troppo intensamente i ricordi ma in un modo più filosofico. Ciò non toglie niente al contenuto. Siamo tutti insetti in un blocco d'ambra, dice la filosofia extraterrestre fatta sua da Billy, quello che è accaduto accadrà sempre e non c'è niente che si possa fare se non fissare la memoria sui ricordi più belli pensando che le follie e le insensatezze sono parti del paesaggio della nostra vita, inevitabili come un fiume o una montagna.
La seconda guerra mondiale in Europa era finita. Billy e gli altri uscirono nella strada ombreggiata. Gli alberi stavano mettendo le foglie. Là fuori non c'era nulla, non c'era alcun genere di traffico.C'era solo un veicolo, un carro abbandonato con due cavalli. Il carro era verde e a forma di bara. Gli uccelli parlavano. Un uccello disse a Billy Pilgrim: "Puu-tii-uitt?"
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Così immaginava Billy...
Mattatoio n°5 o la crociata dei bambini – Kurt Vonnegut – 1969
“Vista a ritroso da Billy, la storia era così:
Gli aerei americani, pieni di fori e di uomini feriti e di cadaveri, ritornavano da un campo d'aviazione inglese. Quando furono sopra la Francia, alcuni caccia tedeschi li raggiunsero e risucchiarono proiettili e schegge di bombe da alcuni degli aerei e degli aviatori. Fecero lo stesso con degli apparecchi americani distrutti che erano al suolo, e questi volarono poi per unirsi alla formazione.
La squadriglia aerea sorvolò una città tedesca in fiamme. I bombardieri aprirono gli sportelli delle bombe, quindi, grazie a un miracoloso magnetismo, risucchiarono le fiamme, le racchiusero nuovamente entro contenitori cilindrici d'acciaio che portarono infine nel ventre degli apparecchi. I contenitori furono sistemati ordinatamente su delle rastrelliere. I tedeschi, là sotto, avevano a loro volta degli strumenti portentosi, costituiti da lunghi tubi d'acciaio. Li usavano per risucchiare altri frammenti dagli aviatori e dagli aerei. Ma c'erano ancora alcuni americani feriti, e alcuni dei bombardieri erano gravemente danneggiati. Arrivati sopra la Francia, comunque, furono raggiunti di nuovo da dei caccia tedeschi che rimisero tutti e tutto a nuovo.
Quando i bombardieri tornarono alla base, i contenitori di acciaio vennero tirati fuori dalle rastrelliere e rimandati negli Stati Uniti, dove c'erano degli stabilimenti impegnati giorno e notte a smantellare i cilindri e a ridurre il pericoloso materiale che contenevano a minerale. Cosa commovente, erano soprattutto donne a fare questo lavoro. I minerali vennero poi spediti a degli specialisti in zone lontane. Era loro compito rimetterli nel terreno, e nasconderli per bene in modo che non potessero mai più far del male a nessuno.
Gli aviatori americani si trasformarono, nelle loro uniformi, ridiventando ragazzi. E Hitler, immaginava Billy, tornava bambino. Questo nel film non c'era, Billy stava estrapolando. Tutti ridiventavano bambini, e tutta l'umanità, senza eccezione, cooperava biologicamente a produrre due individui perfetti di nome Adamo ed Eva; così immaginava Billy.”
Premessa.
Ho letto “Mattatoio n°5”, immediatamente dopo “E Johnny prese il fucile” (Trumbo, 1939) e “Il Giovane Holden” (Salinger, 1951).
Scelta infelice, probabilmente, per quanto casuale.
So che l’opera di Vonnegut è considerata un manifesto del pacifismo e che lo stile, sorprendente, è giustamente diventato quasi leggendario.
Tuttavia.
Devo dire che dal punto di vista “politico” Trumbo è stato assolutamente più toccante e coinvolgente, mentre da quello “stilistico”, Salinger mi è sembrato davvero una svolta importante (e amatissima).
Insomma, probabilmente ero “abbagliata” e non ho colto Vonnegut al suo meglio.
Partendo da queste premesse devo dire che il libro mi è piaciuto, l’ho letto volentieri e leggerò anche “Ghiaccio 9” e “La Colazione dei Campioni”. Perché mi pare che l’autore abbia molto molto da dire.
Però devo ammettere che non mi ha emozionato come pensavo.
L’idea di fondo, di un tempo non lineare, ma circolare, e del rivivere costantemente il proprio percorso in momenti diversi è geniale, così come gli alieni e il protagonista, dolcissimo nel suo essere perennemente “altrove”.
La prosa è lieve e in certi momenti cerca di calcare un immaginario “tono colloquiale”, alcune trovate, come post-porre “così va la vita” ad ogni decesso a mo’ di ripresa del parlato non mi ha convinto (anzi, mi ha un po’ stuccato).
Al di là di questo, il bombardamento di Dresda e l’orrore “ordinario” della guerra sono resi esattamente come devono essere resi e lo sguardo un po’ stralunato del protagonista non fa che aggiungere incredulità all’orrore, senza mai perdere il suo tono delicato, al tempo stesso partecipe e distante.
Ad Maiora, Kurt.
Indicazioni utili
Così va la vita
In “Mattatoio N.5” vediamo la Seconda Guerra Mondiale, ma soprattutto la guerra in genere, con gli occhi di Kurt Vonnegut. Egli fu testimone oculare del bombardamento di Dresda, in Germania. Questo avvenimento storico è probabilmente meno conosciuto di altri celebri massacri, come quello di Hiroshima e Nagasaki, ma sicuramente non meno distruttivo e mortale, anzi, forse anche di più. Lo scrittore ci narra la sua esperienza usando come canale la storia semi-seria e storico-fantascientifica di Billy Pilgrim, superstite di guerra anche se non tra i più valorosi, capace di viaggare, anche se inconsapevolmente, nel tempo, in vari attimi e momenti della sua vita.
Questo libro riuscirà a strapparvi qualche sorriso, ma lo farà trattando argomenti sui quali ,normalmente, c’è poco da ridere, nello stile semplice e non troppo sofisticato dell’autore.
E’ un romanzo anomalo, sicuramente non lineare nello svolgersi degli eventi, i continui e improvvisi viaggi nel tempo del protagonista ci faranno esplorare vari attimi della sua vita, in ordine sparso, ma probabilmente con una logica di fondo per quanto riguarda i collegamenti metaforici che lo scrittore vuole fare tra la guerra ed altri avvenimenti assurdi della vita di Pilgrim.
Pilgrim verrà rapito dalla razza aliena di Trafamaldore, che lo esporrà come esemplare della razza umana in uno zoo intergalattico, volendo mettere in risalto la natura animalesca dell’uomo, presente in ciascun essere, ma mostrata ai massimi livelli nello svolgimento di una qualsiasi guerra, dove gli appartenenti all’opposta fazione di una guerriglia, vengono trattati e considerati come degli animali, appartenenti si alla specie degli esseri umani, ma in qualche modo incomprensibile diversi ed inferiori rispetto a quelli della fazione di appartenenza. La guerra ci livella al più basso grado, rende nota e scatena la parte peggiore di noi, che non si manifesta nemmeno tra i più infimi animali. Eppure i grandi sostenitori della guerra, credono di perseguire un bene superiore, un ideale concreto e giusto, senza capire che la guerra è un atrocità fine a sé stessa. Guerra che provoca morti su morti, senza distinzione tra innocenti, colpevoli, uomini, donne, bambini. Guerra sostenuta e combattuta anche da chi, in fin dei conti, non sa nemmeno per quale motivo debba essere lì, a rischiare di perire tra simili atrocità. Combattuta anche da chi, di questa guerra non sa nulla, in nessuna delle sue sfaccettature tanto care ai signori che la sostengono e la portano avanti.
“Così va la vita.” E’ questa la frase che spesso lo scrittore usa al termine di ogni illustrazione di una qualsiasi atrocità o disgrazia descritta tra le pagine di questo libro. Questa frase rappresenta sì un accettazione delle atrocità che purtroppo sono presenti così nella Storia, così nella vita di ogni uomo, ma nascondono anche una nota di sarcasmo, perché, per quanto le disgrazie possano capitare, molto spesso sono gli stessi uomini a procurarle a sé stessi, per motivi futili o addirittura nulli.
Una volta concluso il libro, ci rimane quell’interrogativo tanto famoso, alle quali tante opere fanno riferimento. Interrogativo che molto spesso dovremmo porci, ma non lo facciamo, oppure, se ce lo poniamo, non sappiamo darvi una risposta immediata e subito ci rinunciamo, mentre ci sarebbe bisogno di una presa di coscienza e di posizione collettiva in merito. L’interrogativo è: ”E’ possibile evitare che tutte queste atrocità si ripetano?”. Ma l’essere umano molto spesso, tende a subire la vita invece di viverla. Le conseguenze, sono note a tutti.
“Dio mi conceda la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso, e la saggezza di comprendere sempre la differenza.”