Martha Peake
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Harry si era schierato con i ribelli
Con Martha Peake, Patrick MacGrath sperimenta il tentativo di coniugare horror e romanzo storico. Ne esce un feuilleton eterogeneo, a tratti barocco.
La storia narra le vicissitudini di Harry (“Gli erano cresciuti i capelli e la barba, e pareva un selvaggio, una grossa creatura pelosa e ingobbita, dallo sguardo ardente ed esagitato”), poeta maledetto e sfortunato (“L’americano nello spirito”), che fugge dalla Cornovaglia a Londra, ove campa con l’amata figlioletta Martha esibendo in pubblico la propria deformità (“Harry lasciò cadere il mantello, si aprì la camicia e scoprì le spalle, e tutti videro stagliarsi contro l’oscurità quella strana struttura ossea, le punte e le creste che gonfiavano e deformavano la colonna vertebrale”). Ma quando il passato riemerge e scatena i rimorsi, Harry si abbandona al gin e alla follia. Martha prima si rifugia a Drogo Hall, poi emigra in America presso una zia, nei dintorni di Boston, sognando un futuro di integrazione per il figlio che porta in grembo. Ma in America è tempo di rivoluzione e di Giubbe Rosse…
La voce narrante è Ambrose (“Lo zio mi passò le lettere… iniziavano già a sbriciolarsi”): si reca a Drogo Hall (“Il ritratto di Harry Peake appeso sopra il camino”) dal decrepito zio William, che è stato l’assistente di un celebre anatomista dedito a pratiche discutibili (“Collezionava anomalie”), forse illecite (“Fare di Harry l’attrazione principale del Museo di Anatomia”), sicuramente macabre, per procurarsi la materia prima dei suoi esperimenti (“Qualche povero diavolo che aveva da poco conosciuto la corda di re Giorgio”). La proprietà, che Ambrose deve ereditare, è sinistra (“A Drogo Hall l’aria era spesso permeata da strani odori”), abitata dai fantasmi e custodisce nei suoi penetrali segreti empi (“Il cuore oscuro di una casa maligna e agonizzante, dove era custodito il tesoro di Drogo, il bottino ammassato nel corso di una vita di saccheggi perpetrati in nome della scienza”). In questa ambientazione retrò (“Accesi con la con la mia candela il candelabro e venni premiato da una fiamma crepitante e catramosa”) e nelle descrizioni dell’atmosfera castellana (“Percy che si affannava attorno al padrone come una vecchia dama”) e paludosa sta, a parer mio, la parte più riuscita del romanzo, quella che meglio corrisponde all’autentica vocazione di McGrath.
Giudizio finale: transatlantico, composito e irredentista, riecheggia vagamente Frankenstein.
Bruno Elpis
Indicazioni utili
Tanta azione, poco pensiero
“Martha Peake” narra la storia turbolenta di una ragazza coraggiosa, vittima di un padre dannato, che emigra in America ai tempi della Guerra d’Indipendenza svolgendovi un ruolo rilevante nelle vicende storiche del tempo. La storia di Martha e dello sfortunato padre Harry è narrata postuma, dal giovane parente di un uomo che intrattenne in passato misteriose relazioni con i due protagonisti.
La trama, di per sé piacevole, promette coinvolgimento e azione.
Leggendo “Martha Peake” m’imbatto in un McGrath decisamente inatteso rispetto ad altri suoi romanzi. Sembrano scomparire la finezza introspettiva e la tensione psicologica di “Follia” o “Trauma”, per lasciare spazio ad ambientazioni più esteriori, ricche di azione e avvenimenti.
Purtroppo il romanzo non mi ha favorevolmente colpita, complice forse una traduzione un po’ approssimativa in cui tempi e modi verbali, punteggiatura e veri e propri errori lessicali stridono – seppur occasionalmente – con una serena lettura. Nonostante le avventure narrate aspirino ad essere piuttosto travolgenti, la lettura procede un po’ a fatica.
L’espediente narrativo di affidare il racconto a un personaggio tanto lontano dalla vicenda non sembra funzionare. La narrazione risulta frutto delle inclinazioni e dei voli pindarici del narratore, al punto che la finezza nella descrizione di certi episodi appare proprio inspiegabile! L’estremo coinvolgimento emotivo del narratore appare, poi, un po’ artificioso, e finalizzato unicamente a veicolare un discutibile “colpo di scena” finale, in cui gli intenti dei personaggi risultano totalmente ribaltati.
Un ulteriore elemento di sconcerto è dato dalla disomogeneità nell’atmosfera del libro, che promette inizialmente di assumere cupe tinte gotiche, ma prende poi i caratteri del romanzo d’avventura, con la pretesa di includere importanti venature storiche che restano però appena abbozzate dai destini di pochi personaggi secondari.
La sensazione complessiva durante la lettura è quella di aver “perso dei pezzi”, per via di diversi salti concettuali che non si giustificano in un adeguato approfondimento psicologico dei personaggi, le cui azioni, emozioni e pensieri sembrano balzare qua e là in preda a una certa impulsività narrativa.
Nel complesso non si tratta sicuramente del romanzo che ho preferito, tra quelli dell’Autore.
La lettura non è spiacevole, beninteso, se approcciata con la leggerezza e la curiosità del lettore che vuole “vedere cosa succede”. Ho provato però una certa nostalgia per il McGrath capace di generare quella tensione psichica che incatena al libro dalla prima all’ultima pagina.
Indicazioni utili
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- no