Marie la strabica
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Recensione della Redazione QLibri
Marie & Sylvie
Quando Sylvie e Marie prendono servizio quali cameriere presso la pensione Les Ondines hanno rispettivamente diciassette e diciotto anni. Tuttavia, nonostante siano quasi coetanee, cresciute insieme e legate da un rapporto di amicizia ai confini tra l’amore e l’odio, molteplici sono le differenze che le contraddistinguono. Mentre Sylvie Danet è figlia di un capomastro all’arsenale, ha un corpo sinuoso, un seno invidiato da tutti che non manca di mostrare impudicamente, una femminilità pronunciata e la spregiudicatezza di chi vuole arrivare e migliorare la propria condizione sociale, Marie Gladel è figlia unica, orfana di padre, strabica e ingenua ma è anche un giovane donna onesta che conosce alla perfezione la mente dell’altra. Ecco perché quando il corpo del ventitreenne Louis – dall’intelligenza di un bambino di otto anni e gli occhi chiari e ingenui – viene rinvenuto privo di vita nel ripostiglio delle scope è chiaro a quest’ultima che il suo gesto sia collegato alla compagna. La fine della stagione; un fatto che segna la svolta, lo sfruttare di quel corpo, la partenza per Parigi. Sempre loro, ancora insieme ma ciascuna indipendente.
La convivenza durerà circa una decina di mesi, sino a che le loro strade non si separeranno a causa della classica goccia che fa traboccare il vaso e di una ferita che difficilmente potrà risarcire. Si scroceranno nuovamente una prima volta nel 1945, ventitré anni dopo il fatto, e si rincontreranno davvero nel 1950 quando Sylvie si recherà da Marie per chiederle aiuto a causa di una vicenda ereditaria… Riceverà il suo soccorso o questo le verrà negato?
Con una penna fluida e densa Georges Simenon torna, in “Marie la strabica”, a raccontare dell’animo umano e più precisamente torna a narrarci della psiche femminile e dei suoi aspetti più caratteristici e profondi. L’intera opera si snoda sulle personalità di queste due donne così diverse eppure così tra loro vincolate, nel bene e nel male. Ne analizza le menti, i comportamenti, le morali, i contrasti e il risultato è quello di un testo che si fa divorare in poche ore, affatto scontato, dall’epilogo agrodolce e che lascia il segno per la sua semplicità.
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La vendetta è servita
Talvolta immagino Simenon come un prestigiatore che riesce sempre a stupire i propri lettori con dei numeri straordinari. In questo caso lo stupore, il coniglio estratto dal cilindro, è rappresentato da questo piccolo capolavoro. Un libro in cui al di là della storia raccontata, emerge prepotentemente l’analisi introspettiva delle due protagoniste, due amiche fin dai tempi dell’infanzia, Sylvie e Marie.
La prima è ambiziosa, sfrontata, ossessionata dal successo e dal denaro, disposta a qualsiasi compromesso per raggiungere gli obiettivi che si prefigge e per riscattarsi socialmente, compresa la possibilità di sfruttare la propria avvenenza con gli uomini che incontra (“”Odio i poveri….Solo che non voglio restarlo”). Marie invece è innanzitutto sfortunata perché la natura non è stata generosa con lei e la gente pare infastidita dalla sua presenza (“Forse perché era brutta e strabica?........piccola di statura e grottesca con quel didietro sproporzionato e i vestiti da zitella”). Simenon dunque le presenta come due personalità complementari, che si completano a vicenda. Sylvie dominante e decisionista, programma la sua vita e quella dell’amica assegnando a Marie un ruolo da subalterna (“Quando sarò ricca ti prenderò come cameriera, e ogni mattina mi pettinerai”). Marie affetta da questo strabismo condizionante, fedele, remissiva, obbediente: segue come un’ombra Sylvie, ne risulta in qualche modo ossessionata. La osserva, la tempesta di domande soprattutto alla sera, prima di addormentarsi, giudica le sue azioni quotidiane.
Simenon divide idealmente il libro in tre parti, ambientandolo prima nella provincia francese, dove le due amiche lavoreranno come cameriere in una pensione per villeggianti, e infine a Parigi, la grande città, meta dei sogni e delle ambizioni, dove Sylvie potrà finalmente placare la propria sete di successo. Proprio in questo frangente Simenon dimostra la propria abilità di scrittore fuori dalle righe perché Parigi diventerà, si, la città del riscatto ma forse in modo inaspettato. L’autore nel raccontare il dipanarsi della vicenda mostra al lettore una progressiva inversione dei ruoli perché Sylvie, avrà bisogno della propria amica, ne diventerà in qualche modo dipendente. Ad un certo punto sarà quasi lecito domandarsi se i ruoli di dominante e subalterno non vengano progressivamente rovesciati e se quel gesto di pettinare i capelli, alla fine non nasconda invece un’evidente rivincita, una vendetta consumata a distanza di anni.
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Chi vince e chi perde?
Ancora una volta Simenon descrive la psiche umana come pochi scrittori sono in grado di fare, mettendo sul vetrino del suo impietoso e rivelatorio microscopio un rapporto di amicizia tutto al femminile. Un rapporto forte, ambiguo e doloroso, come solo la realtà sa essere.
Marie e Sylvie. Cresciute insieme nel piccolo villaggio di Rochefort. Accomunate dalla povertà e dalla miseria. Unite da un legame di amicizia. Eppure, non potrebbero essere più diverse.
Marie è brutta, strabica e spigolosa. Abituata ad essere schernita o ignorata, ha razionalmente imparato a non aspettarsi granché dalla vita e dagli altri, rassegnandosi a un destino di solitudine e mediocrità.
Sylvie è invece bella, sensuale e spregiudicata. Ha presto capito che la bellezza è la sua unica arma ed è disposta a qualunque cosa per scrollarsi di dosso un futuro di povertà.
E allora, una volta ricca, potrà assumere Marie come cameriera e farsi pettinare da lei i capelli.
Le due ragazze partiranno insieme alla volta di Parigi e qui saranno l’egoismo, la vita, il caso a dividerle, per farle rincontrare dopo più di vent’anni.
Entrambe hanno giocato la loro partita, ricoprendo il ruolo che la sorte ha assegnato loro distribuendo le carte della fortuna. Un'ombra sullo sfondo, che tutto vede, intuisce e accetta. E la protagonista della scena, illuminata dalla mediocrità dell'altra. C’è chi perde e c’è chi vince. Ma è davvero questa l’unica lettura possibile o si può, con gli occhi mal allineati di Marie, mutare la prospettiva?
Sotto la liscia superficie chiamata amicizia, c’è in realtà un magma incandescente di forze in tensione, di interessi che chiedono di essere soddisfatti, di odi che bruciano in silenzio.
Simenon viviseziona il conflitto, addentrandosi nei meandri della mente, fino a mostrarci cellule di verità: oscure, sgradevoli, dolorose. E, come sempre, non offre alcun abbellimento. L’ambientazione è una Parigi spettrale, di strade buie sotto la pioggia, illuminate dalla luce cruda dei lampioni a gas. La scrittura è scabra e diretta. I dettagli attingono quasi al grottesco, come lo strabismo di Marie. Sta tutto qui, nella livida normalità del male, il fascino di questo romanzo, interamente giocato sulle solitudini, le angosce e le attese delle due protagoniste.