Marie aspetta Marie
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Recensione della Redazione QLibri
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Marie...e tutti gli amori ancora possibili
Parigi, anni '30.
Marie è una donna di circa trent'anni, è sposata con Jean...e lo ama molto.
All'inizio del romanzo sembra quasi di rivedere Elisa, la protagonista de "La donna di Gilles", una donna che vive in funzione del suo uomo, esiste solo in quanto "moglie di".
Anche Marie trabocca d'amore per il suo Jean, non lo perde di vista neanche per un attimo, si adopera affinché lui possa godere sempre delle giuste atmosfere, sia in casa, sia fuori, si dona a lui totalmente pur non ricevendo, in cambio, un sentimento della stessa intensità.
Ma il suo è più un ardore cerebrale, tutte le sue amiche invidiano il suo rapporto perfetto, la sua devozione, il legame indissolubile che la unisce al suo uomo.
Apparentemente.
Perché così deve essere.
In realtà Marie vive la sua vita tenendola imbrigliata nelle redini del controllo, incatenata in un'esistenza circoscritta al marito, ripiegata su se stessa, limitata da questo amore che vive (quasi solo) grazie a lei, fino a quando, un giorno, una mattina d'estate, distoglie per un attimo lo sguardo dal suo uomo e decide di mollare queste redini, e di avere le mani libere, libere di cercare...
Cerca una Marie "non assorbita da un amore, ancora ricca di tutti gli amori possibili".
Inizia un processo di liberazione, in cui lei cerca se stessa, l'indipendenza perduta, un desiderio sconosciuto capace di darle nuova forza e fiducia.
Marie non è Elisa, smette di riflettersi nel volto di un'altra persona, e non soccombe sotto il peso del suo stesso amore.
Ci sarà un vero e proprio viaggio interiore che la riporterà ai sapori dell'infanzia, alla libertà della giovinezza, a prendere coscienza della bellezza della vita che le scorre intorno.
La scrittura della Bourdouxhe in questo romanzo è rarefatta, tratteggia con poche pennellate una figura complessa, donandole grazia e forza, eleganza e passione, senza mai definirne bene i contorni...perché la figura di Marie è in divenire, continuerà a crescere e a delinearsi anche dopo di noi.
Un romanzo del 1943, ma apparso in Francia solo negli anni '80.
Non mi sorprende affatto che sia stato "ignorato" per quasi mezzo secolo...troppo alto il rischio che spingesse ad un risveglio femminile collettivo.
Ancora oggi molto attuale.
75 anni portati benissimo.
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Un esordio da leonessa, un epilogo da ronzino
Di Marie sappiamo poco. Ha trent’anni, i capelli ravvivati da mille riflessi cangianti, le mani grandi, belle e negli occhi scuri lo sguardo velato che sembra posarsi sulle cose con indifferenza.
Eppure è una donna colta, dalla mente fervida, dotata di uno spiccato senso critico ed etico che la porta a rifiutare ogni tentativo di banalizzazione, di svilimento, di volgare semplificazione dello scibile umano. Insomma preferirebbe curare una rubrica di ricette culinarie piuttosto che ridurre le opere dei grandi pensatori, come Spinoza, Kant, Platone, Bergson, in filosofia da bignami, in pillole di sapere da somministrare ad un pubblico svogliato.
Ha un marito, Jean, “un uomo che non vede niente. Guarda senza vedere”.
I due sono in vacanza su una spiaggia della Costa Azzurra. Questo l’incipit, un inizio che ha indubbiamente un taglio cinematografico e una scrittura che, come una sorta di macchina da presa, cattura un primo fermo immagine: lei poggia la testa sulla spalla di lui e pensa “Jean è qui, vicino a me. L’unico uomo che amo al mondo”.
Tornano alla memoria alcune conversazioni tra amiche, “Marie sei la sola tra noi a conoscere la felicità”, le dicevano, “tu ami profondamente tuo marito e sei riuscita a realizzarti appieno nell’amore”.
Ma cos’è la felicità? Questo ora si domanda la donna. E’ un oggetto che basterebbe scovare e appendere in casa come un rametto di vischio?
La narrazione procede senza discontinuità con un secondo fotogramma: Jean entra in acqua, Marie si volta e vede un giovane di bell’aspetto, disteso sulla sabbia. Osserva il suo corpo abbronzato, lo studia come un gatto sornione la sua preda. Di fronte ha il marito, “realtà addomesticata, aura soave fatta della dolcezza e del calore delle cose familiari” e di lato invece uno sconosciuto, “un’altra realtà, altra aurea. Una realtà da indovinare, da afferrare, da fare propria”. E’il fascino e la vertigine di un mondo nuovo, inesplorato.
Niente sarà più lo stesso. Quel bigliettino su cui è stato trascritto un numero telefonico segnerà il punto di non ritorno.
Il cambiamento è in atto e la scrittrice ce lo comunica con la forza analogica di una bellissima metafora: quel cielo ancora sereno sul mare iniziava ad offuscarsi sopra il paese. Nuvole minacciose fecero la loro prima comparsa, un brontolio sordo annunciava l’arrivo della tempesta.
Con una smorfia comica Jean, l’uomo che non sa vedere, si rivolge a sua moglie: “Povera Marie, preparati a soffrire, tu hai paura dei temporali”. La donna non risponde, si gira e osserva le montagne. Immagina di scendere da sola giù da quei ripidi pendii con il viso esposto all’acquazzone “freddo e violento”. Una pioggia battesimale che lava, purifica, rigenera e restituisce alla vita l’aria che le era stata tolta. Marie è una donna nuova, “vergine”, consapevole di avere qualcosa di irrisolto con quella ragazzina, dalle ossa fragili, che in tailleur grigio usciva da un’aula della Sorbona per scomparire e annullarsi tra le braccia dell’uomo che, qualche anno più tardi, sarebbe diventato suo marito. E a quella ragazzina ora chiede perdono.
Avverte tutti i limiti della sua apparente felicità coniugale, intuisce che essa ha escluso la reale comprensione del mondo e animata da un egoismo feroce, capisce che cercare un’esperienza della realtà, fatta in modo autonomo, è un imperativo morale a cui non può più sottrarsi. Quel bisogno interiore di solitudine, di autodeterminazione, che per una vita intera, era rimasto inascoltato, è riaffiorato in Marie con tutta la prepotenza e l’imprevedibilità di un nubifragio estivo. E in questo la forza della metafora.
Il mutamento in effetti avviene improvviso ed è affidato ad un elemento visivo, una situazione comune e apparentemente poco importante che invece assume un chiaro significato simbolico: Marie, come la Nora Helmer di Ibsen, si cambia d’abito e indossa un piccolo baschetto che non riuscirà a contenere “le ciocche ribelli”. Entrambe si sbarazzano del costume di “sposa devota” per vestire quello più autentico di donna, si liberano di un travestimento per sottrarsi al vecchio ruolo che ora non vogliono più “rappresentare”.
Per utilizzare un’espressione cara al drammaturgo norvegese, tanto Nora quanto la nostra Marie vogliono “tuffarsi in pieno nella società”. La prima, rendendosi conto della sua dipendenza dalla figura “paterna” del marito, rompendo ogni ipocrisia, abbandona la sua “casa di bambola” e i suoi figli per “educare se stessa”, per riscattarsi dal ruolo di eterno giocattolo a disposizione del coniuge, o più semplicemente, dirà lei, per diventare finalmente una “creatura umana”.
La nostra protagonista invece si immerge in una Parigi autunnale, ne respira la poesia. Predilige i luoghi meno battuti, scopre il piacere di pranzare da sola, in un Caffè all’aperto, e la quiete di quella camera a ore dove si lascia spogliare, come una bambina, dal suo giovane amante.
“Dov’eri Marie? Hai perso la strada?” Le chiedono. Al contrario, finalmente l’ha ritrovata, ma non una strada qualunque, piuttosto come direbbe Virginia Woolf “a street of ones’s own”, una strada tutta per sé.
A mio avviso non bisogna però pensare che il dramma di Ibsen e il romanzo della Bourdouxhe possano essere assunti a simbolo dell’emancipazione della donna dalla sua inferiorità e dalla sua dipendenza dall’uomo. Infatti non tanto per un’aurorale coscienza femminista che Nora, al pari di Marie, decide di cambiare vita, ma per un esigenza di autonomia individuale che famiglia e ambiente le negano. L’attenzione è rivolta ai valori del singolo e solo marginalmente a quelle convenzioni, pubbliche e private, che ne ostacolano la piena realizzazione.
Marie lo afferma a chiare lettere: “La società? Confesso che me ne infischio..mi interessa soltanto l’individuo- dopodiché, ognuno si occupi della propria vita”.
Indubbiamente Nora Helmer è decisamente più eversiva della nostra eroina. Infatti stanca di vivere alla giornata “come un povero mendicante” decide di lasciarsi tutto alle spalle, anche se questo significa allontanarsi dai suoi stessi figli e il dramma si conclude con il tonfo del portone richiuso violentemente. Un finale forte che attirò le critiche dei benpensanti a tal punto che lo stesso Ibsen fu costretto ad aggiungere un quarto atto in cui la protagonista riappare felicemente innamorata del marito.
Ben diversa è la conclusione del nostro romanzo. La distanza tra Marie e Jean è ormai incolmabile, e c’è un momento preciso che segna una sfasatura irreparabile: Marie lascia il suo anello al banco dei pegni per acquistare il biglietto di quel treno che la porterà dal suo giovane amante. Vendere l’anello dovrebbe significare disfarsi di un “simbolo”, mollare le redini e iniziare una vita nuova, più autentica. Questo però non accade. In Marie non esiste traccia della cosiddetta “follia di Aschenbach”, non c’è nulla che la renda simile al protagonista del racconto lungo “La morte a Venezia” che colpito dalla “bellezza perfetta” di un giovane polacco, per il quale prova una crescente e irresistibile attrazione, si abbandona a comportamenti sempre più lontani dall’ideale di autocontrollo e di decoro a cui ha ispirato la sua vita.
Marie resterà una femme au foyer, e quei fieri impulsi verso la pienezza del vivere vengono mortificati da un atteggiamento estremamente remissivo. Infatti sceglie di non allontanarsi da un marito che non ama e di vivere in una pericolosa schizofrenia: da un lato il quotidiano, il grigiore del menage domestico e dall’altro l’avventura, gli incontri clandestini con l’amante.
Tutto questo produrrà conseguenze anche sul piano stilistico, difatti nel romanzo di Madeleine Bourdouxhe mancano i forti conflitti, i colpi di scena, a tratti la prosa appare incolore.
Solo sul finale ho intravisto un interessante cambio di impostazione narrativa che non è puramente tecnico o accidentale, la scrittrice infatti decide di eclissare il narratore e di far parlare la stessa protagonista per focalizzare l’attenzione non tanto sul mondo esteriore quanto su quello interiore, sull’anima di un personaggio cui si lasciano intravedere contraddizioni mai prima intuite.
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Che bella Marie!
Tra Marie e gli oggetti c’è un’intesa perfetta, come se le sue mani, indaffarate tra la pasta d’acciaio e il legno appena incerato, sapessero parlare all’intima natura delle cose. “Ama le mani che comprendono il linguaggio degli oggetti immobili, quelle che sanno parlare alle cose vive.” Di questo magico incanto che profuma di terra e placentari cospirazioni, si ammanta la casa, il regno dI Marie, moglie e forse donna. E sono proprio gli oggetti e le stanze i primi a perdere famigliarità, a perdere calore quando il tradimento si insinua nella sua vita e il punto di non ritorno di approssima inquietante tra le nebbie grigie di queste città soffuse, i vetri smerigliati e il profumo della minestra e del caffè. Tra le macchie verdazzurre della coste francesi, Marie conosce l’intransigenza del desiderio nel corpo di un ragazzo, le spalle sottili, i fianchi stretti, le lunghe gambe abbronzate. Marie ama Jean, suo marito, di un amore che è diventato affetto e di una cura che si è fatta materna, ma Maria aspetta Marie, senza un cognome, Marie e basta, la donna oltre la moglie. In questa dicotomia impossibile, in questo sfibrarsi doloroso dell’anima, non c’è spazio per l’annichilimento, Marie non è più l’Elise della “Donna di Gilles”, è troppo intelligente, troppo onesta e indecorosamente irreprensibile per cedere al ricatto dell’etica. E allora, nello scorrere abbacinante delle pagine, tutto è amore e sospiri, desiderio, scoperta e la scrittura si libra altissima a delineare il volo semitrasparente dello spirito.
Madeleine Bourdouxhe accompagna le sue donne verso li loro destino, con i loro pensieri, le loro debolezze, la loro intelligenza. Ci sorprendono queste donne, di cui leggiamo i pensieri, nel vuoto silenzioso che le circonda, mosse sul velo impalpabile di una scrittura luminosa e tersa. Il silenzio è il protagonista di queste pagine, il sipario che continuamente si chiude e apre su queste vite, con la tenerezza infinita della comprensione. E più di tutto, a colpire, è la magia della scrittura, il fascino misterioso della penna, il cocciuto incantesimo che lega le pagine e le infila, come perle di una collana, sull'ordito fragile di queste donne, appassionate e meravigliosamente moderne. Madeleine può ancora educare sui rapporti fra uomo e donna, sul sacrificio e sul perdono, sule dinamiche di coppie malate e uomini assenti. Perché la grande sfida di queste donne, che ora falliscono, ora riescono, è quella di scoprire se stesse, oltre il maschile, oltre l'ordine che ne ha sigillato l'esistenza.
“Nella luce del mattino la città è più bianca, altrettanto tranquilla, e di una bellezza ancora più superba. Attraversano una piazza e i loro passi fanno alzare uno stormo di colombi violetti. Sugli alberi potati a volta rimane un po' di neve. Marie li guarda: difficile riconoscerli dai rami nudi intrecciati: olmi, carpini, tigli? Quando avranno le foglie..."
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Autenticità personale ed amorosa
Una giovane donna, Marie, una vita matrimoniale sicura, certa, ovvia, un marito che ama, Jean, e dal quale è riamata, l’ unico uomo al mondo, sempre vicino a lei senza vedere niente, mentre la sua vita è attraversata dalla dolcezza e dal calore delle cose famigliari e da una domanda ricorrente ….“ La felicità, la felicità, che cosa è la felicità? “….
Poi un giorno, nella calura estiva di una spiaggia deserta, la vista di un giovane dalle spalle sottili, nervose, abbronzate, uno sconosciuto, una realtà da indovinare, afferrare e soggettivare ed un mondo nuovo, un desiderio necessario ed inevitabile, senza possibili vie di fuga.
Dentro di se’ lacerazione e duplicità evidenti, il progressivo ritorno ad uno stato di spensierata giovinezza e di soave indefinitezza, per provare la ricchezza e la sincerità del silenzio in cui ogni cosa è vissuta e condivisa senza che vi sia niente da dire, se non un giovane ed intatto desiderio animale.
Tutto parrebbe solo un sogno o una grande beffa per ritornare alle dolci abitudini di sempre, un marito, una moglie, una casa, azioni sospese e ritrovate di una vita lenta e risoluta.
Ed allora lacrime strane ed amare di una Marie esausta, lentamente consumata da un ideale, immersa in cose e sentimenti ora a confronto, lei che non ha mai amato il lusso ed i ricevimenti, non ha vere amiche e non crede alla felicità.
Ripensa a se’ sedicenne, alta, bella, snella, spigliata, rallegrata da gioia e salute, ebbra di vita, piena di coraggio, oggi nessuna aspettativa evidente, solo un cuore di nuovo gonfio d’ amore che si apre ad un desiderio siffatto : “ Marie aspetta Marie “.
Una donna riconsegnata al gusto della vita, che riassapora odori, rumori, sapori, non più assorbita da un unico amore ma aperta a tutti gli amori possibili.
Ma vivere diverse passioni significa anche sopportare più lacerazioni in un crescendo di solitudine, sopraffatti da un dolore profondo ed in compagnia del mistero della propria vita, tutto il resto si insinua lentamente lasciando una traccia.
Marie è sospesa tra le ceneri domestiche che ancora la scaldano e questa “ cosa “ nuova ancora innominata mentre il suo sguardo ansioso e palpitante insegue un treno senza volto.
Una duplicità che è sia immersione in un flusso passionale in cui nulla rievoca le ore condivise e potrebbe essere considerato l’ atteggiamento di una coppia di amanti senza futuro, sia il rimanere con un marito che ormai ama di un affetto che non esclude la carne ed il desiderio, ma che potrebbe esprime indifferenza, o semplice fratellanza.
In lei un’ unica certezza, una solitudine attiva e l’ appartenenza al mondo intero ed alla … “ grazia di vivere sulla terra “…
E tra le varie espressioni di bellezza una e’ la sua preferita a rappresentare un amore vissuto non …. “nel momento in cui nasce ed in cui muore, ma nel momento in cui vive “….
Un romanzo pubblicato nel 1943 ( con il titolo di “ Alla ricerca di Marie “ ) intriso di attesa e ricordi, suspance psicologica e ricerca estetica, ma anche legato alla oggettività e bellezza delle cose e degli oggetti che la protagonista ama toccare con mano, condividendo essenzialità e desiderio.
Un evidente indirizzo proustiano nell’ idea del racconto, una ricerca di identità attraverso il ricordo e la profondità di un se’ smarrito negli anni, una vita sicura ed onestamente assopita, per riaccendere la miccia di una possibile sofferenza nell’ estasi sentimentale e sessuale del momento.
Un personaggio positivo ed ottimista, Marie, sovente circondato da negatività e dissolutezza ( la sorella Claude ), che si oppone fermamente all’ idea del suicidio e compie una precisa scelta di vita, il recupero del passato ed una apertura al mondo che ne giustifichi l’ effluvio vitale.