Lungo petalo di mare
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Recensione della Redazione QLibri
Esilio; una storia troppo spesso dimenticata
Siamo nel 1939, la guerra civile spagnola sta giungendo alla sua conclusione, il clima politico europeo è preoccupante a causa della forza e della devastazione dei regimi dittatoriali che stanno prendendo sempre più campo. Victor Dalmau era entrato nell’esercito repubblicano nel 1936, come quasi tutti i ragazzi della sua età, ed era partito per difendere con il suo reggimento Madrid, in parte occupata dai nazionalisti – come si autoproclamarono le truppe insorte contro il governo – e luogo dove utilizzava i suoi tre anni di studi in medicina per curare i feriti piuttosto che per tenere un fucile in mano nelle trincee. In seguito, era stato destinato ad altri fronti. Fratello di Guillem Dalmau, entrambi erano stati educati in una scuola laica e cresciuti in un piccolo appartamento nel Raval, in una casa della classe media, in cui la musica del padre e i libri della madre avevano sostituito il dogma religioso. I Dalmau non militavano in alcun partito politico, ma la diffidenza di entrambi nei confronti delle autorità e di qualsiasi tipo di governo li portava a schierarsi con gli anarchici. Oltre alla musica, il padre, Marcel Lluìs, aveva trasmesso ai figli la curiosità per la scienza e la passione per la giustizia sociale.
A causa di una grave ferita alla gamba, Victor era stato rimandato ingessato – per grazia di un medico inglese che aveva optato per la steccatura piuttosto che per una diretta amputazione – a Barcellona dove quanto prima si era rimesso in sesto per tornare al lavoro. Al contempo, una grave perdita familiare lo obbliga a far ritorno a casa dove ad attenderlo trova Rose Bruguera, giovane pianista amica di famiglia, allieva prediletta del genitore venuto nel mentre a mancare, e che fino all’intervento del suo salvatore viveva da sola in una Barcellona sempre più pericolosa. Con, nel 1939, il termine della Guerra Civile Spagnola e la vittoria dei franchisti, per i due giovani non c’è alternativa che lasciare la terra natia in quello che è un viaggio che attraversa prima i Paesi Baschi, poi i Pirenei, poi la Francia e infine il Cile, sinonimo di terra promessa e di nuove possibilità. Purtroppo, però, anche a distanza di anni e di integrazione, l’esilio non è finito. Ed è attorno a questo tema che ruota l’intero romanzo dell’Allende, un’opera che fa respirare al lettore le atmosfere dei romanzi del passato dell’autrice, le atmosfere quei libri che con la loro intensità catturavano e conquistavano senza mai, come a discapito di alcuni più recenti, disilludere le aspettative.
Esilio e radici, legami e storia. Una storia dimenticata, una storia di fatto attuale e composta da profughi, accoglienza, perdita, dolore, lasciti, separazione. Una storia che riparte proprio da quel 3 settembre 1939, con quel piroscafo francese “Winnipeg” salpato il 4 agosto dal porto di Pauillac, con destinazione Valparaìso, “lungo petalo di mare”, e con a bordo oltre duemiladuecento fuggitivi dalla Guerra Civile Spagnola. Una spedizione umanitaria possibile, oltretutto, grazie a Pablo Neruda, il futuro Premio Nobel per la Letteratura, che all’epoca ricopriva incarichi consolari tra Francia e Spagna.
La scrittrice porta a termine una vera e propria opera di ricostruzione che va dalle condizioni del viaggio a quelle di maggiore integrazione. Fatti e persone citate e narrate sono reali e quei pochi che sono inventati sono il ispirati a uomini e donne realmente conosciuti e incontrati dall’Allende.
Al tutto si aggiunge una penna precisa, meticolosa, erudita, profonda che accompagna e conduce per mano passo dopo passo nello svolgersi di ogni singolo evento. Il lettore è conquistato da questo scritto così pieno di spunti di riflessioni e di tematiche profonde tanto che giunge alla sua conclusione in tempi molto brevi. Un ritorno alle origini.