Lo sport dei re
Editore
Recensione della Redazione QLibri
La razza superiore
Lo sport dei re è un romanzo monumentale, ben scritto dal punto di vista stilistico ma pesantemente statico nonostante parli di cavalli e di libertà (dei neri). Il romanzo a me è sembrato un esercizio di stile, come lo sono ad esempio i romanzi della Tartt, di alto livello di scrittura ma non di pari livello empatico per cui restano un po’ morti. A me lo stile senza slancio mentale o umano non interessa. Da una parte il romanzo è certamente ambizioso, vorrebbe proporre una costruzione epica, una epopea famigliare grandiosa, qualcosa tipo Via col vento ma con un impegno socio-culturale più spiccato. E quale filone tocca il senso di colpa americano più della schiavitù, dello sfruttamento dei neri e del razzismo? I giurati del Pulitzer davanti a certe tematiche spesso perdono di obiettività letteraria, ho notato con altri romanzi.
La storia (600 pagine) ha come protagonisti i Forge, una famiglia bianca destinata a far soldi a palate all’inizio con il mais (con Henry padre) poi con i cavalli (con Henry figlio). Gli uomini della famiglia tendono a parlare ai figli attraverso lunghi discorsi sermoneggianti. Il primo Henry e poi anche il secondo sono dei fanatici della propria superiorità famigliare, che il secondo Henry fissato con la genetica e gli incroci arricchisce con nozioni su una presunta superiorità razziale biologicamente dimostrata della razza bianca sulla nera, e nell’ambito della razza bianca dei Forge sul resto del mondo. Questa teoria, ricollegandosi anche alle modalità di incroci dei cavalli, serve anche a giustificare l’incesto, dato che tra cavalli la morale non lo vieta, anzi serve a produrre esemplari di razza superiore.
Il romanzo è pesante. Pesante per le prediche degli Henry, per la tipologia umana monoliticamente bastarda, debole e depravata dei bianchi-maschi senza incrinature né sfumature che li rendano umanamente accettabili. Le donne bianche sono tutte abbastanza egoiste, costrette secondo la logica del romanzo a lasciare marito bastardo e figlio/a e a tradire il marito spesso con il nero superiore in tutto e soprattutto anatomicamente. Anche la figlia di Henry Forge-figlio, Henriette, ha una relazione con il nero dipendente del padre e da questa relazione nasce un figlio, bellissimo, la cui ereditarietà non discuto nella recensione.
In genere polpettoni di questo tipo hanno uno spiacevole contenuto sentimentalistico che manca totalmente a questo romanzo. Il sesso è visto come qualcosa di molto animale con descrizioni a volte davvero sgradevoli. Il sesso tra uomini è molto simile a quello tra cavalli. Tra l’altro al lettore non sono risparmiate descrizioni raccapriccianti di accoppiamenti di cavalli oltre che di uomini. Il sentimento non c’è nemmeno dove ci dovrebbe essere e stranamente se ne sente la mancanza in questo romanzo. Anche i cavalli, animali che in genere evocano immagini positive (la corsa, la libertà) qui hanno perso totalmente il loro aspetto legato alle aspirazioni più spirituali dell’uomo e sono bestie, non animali, bestie mitologiche. La prima descrizione di cavallo nel testo è quella di un animale selvaggio che stacca la testa del padrone a morsi. In ogni caso si capisce che l’autrice se ne intende di cavalli e parla con cognizione.
Inutile dire che il rapporto incestuoso tra padre (Henry figlio) e figlia che è forse la cosa meglio descritta nel romanzo crea una cappa oppressiva.
I personaggi più positivi sono i neri. Ma anche in questo c’è una sproporzione e uno sbilanciamento nel testo. Pare che l’anima sia appannaggio dei neri mentre i bianchi l’hanno persa. In ogni caso, anche se i neri sono più vicini a Dio perché Gesù, come dice il predicatore nel miglior predicozzo del romanzo, è morto nero, pare che nessun uomo sia più davvero uomo. Come i cavalli sono fatti di sola materia: muscoli, sperma e poco altro, così anche gli uomini. Il romanzo manca di vita vera, di slanci, di umanità, di disperazione, di sofferenza, di sfaccettature psicologiche anche se i personaggi sono ben descritti ma restano statici.
Insomma è un testo molto ben scritto ma che non mi sento di consigliare. Mi ha fatto venire in mente un’altra saga I Cazalet soprattutto per il simile tema della relazione incestuosa padre-figlia. Ma nei Cazalet si sente Elizabeth Jane Howard ha bagnato la penna con il suo sangue e si sente la cappa di tristezza e di verità del suo pur lunghissimo racconto. Potrei dire lo stesso dei Melrose. Questo romanzo è molto più ambizioso ma leggendolo si sente soprattutto il legno della scrivania.
Indicazioni utili
- sì
- no