Narrativa straniera Romanzi Lo sport dei re
 

Lo sport dei re Lo sport dei re

Lo sport dei re

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La famiglia Forge è una delle più antiche dinastie del Kentucky. Ricchi proprietari di piantagioni in passato coltivate da schiavi, hanno sempre abitato un tempo che sembrava eterno. Negli anni ’70 Henry Forge, l’ultimo erede, alleva cavalli e, dopo essere stato lasciato dalla moglie, vive solo insieme alla figlia Henrietta, con cui sviluppa un rapporto morbosamente incestuoso. Quando al ranch viene assunto Allmon Shaughnessy, ex carcerato nero cresciuto nella miseria del ghetto, Henry vede la Storia fare a pezzi il mondo in cui viveva protetto. Henrietta si innamora di lui e muore dando alla luce un figlio meticcio. Un figlio di cui però Allmon non dovrà mai sapere nulla, perché Henry decide di nasconderglielo. E nel momento in cui sceglie di rivelargli il mistero, scoppia la tragedia...



Recensione della Redazione QLibri

 
Lo sport dei re 2018-07-17 09:32:16 Mario Inisi
Voto medio 
 
2.8
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
3.0
Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    17 Luglio, 2018
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La razza superiore

Lo sport dei re è un romanzo monumentale, ben scritto dal punto di vista stilistico ma pesantemente statico nonostante parli di cavalli e di libertà (dei neri). Il romanzo a me è sembrato un esercizio di stile, come lo sono ad esempio i romanzi della Tartt, di alto livello di scrittura ma non di pari livello empatico per cui restano un po’ morti. A me lo stile senza slancio mentale o umano non interessa. Da una parte il romanzo è certamente ambizioso, vorrebbe proporre una costruzione epica, una epopea famigliare grandiosa, qualcosa tipo Via col vento ma con un impegno socio-culturale più spiccato. E quale filone tocca il senso di colpa americano più della schiavitù, dello sfruttamento dei neri e del razzismo? I giurati del Pulitzer davanti a certe tematiche spesso perdono di obiettività letteraria, ho notato con altri romanzi.
La storia (600 pagine) ha come protagonisti i Forge, una famiglia bianca destinata a far soldi a palate all’inizio con il mais (con Henry padre) poi con i cavalli (con Henry figlio). Gli uomini della famiglia tendono a parlare ai figli attraverso lunghi discorsi sermoneggianti. Il primo Henry e poi anche il secondo sono dei fanatici della propria superiorità famigliare, che il secondo Henry fissato con la genetica e gli incroci arricchisce con nozioni su una presunta superiorità razziale biologicamente dimostrata della razza bianca sulla nera, e nell’ambito della razza bianca dei Forge sul resto del mondo. Questa teoria, ricollegandosi anche alle modalità di incroci dei cavalli, serve anche a giustificare l’incesto, dato che tra cavalli la morale non lo vieta, anzi serve a produrre esemplari di razza superiore.
Il romanzo è pesante. Pesante per le prediche degli Henry, per la tipologia umana monoliticamente bastarda, debole e depravata dei bianchi-maschi senza incrinature né sfumature che li rendano umanamente accettabili. Le donne bianche sono tutte abbastanza egoiste, costrette secondo la logica del romanzo a lasciare marito bastardo e figlio/a e a tradire il marito spesso con il nero superiore in tutto e soprattutto anatomicamente. Anche la figlia di Henry Forge-figlio, Henriette, ha una relazione con il nero dipendente del padre e da questa relazione nasce un figlio, bellissimo, la cui ereditarietà non discuto nella recensione.
In genere polpettoni di questo tipo hanno uno spiacevole contenuto sentimentalistico che manca totalmente a questo romanzo. Il sesso è visto come qualcosa di molto animale con descrizioni a volte davvero sgradevoli. Il sesso tra uomini è molto simile a quello tra cavalli. Tra l’altro al lettore non sono risparmiate descrizioni raccapriccianti di accoppiamenti di cavalli oltre che di uomini. Il sentimento non c’è nemmeno dove ci dovrebbe essere e stranamente se ne sente la mancanza in questo romanzo. Anche i cavalli, animali che in genere evocano immagini positive (la corsa, la libertà) qui hanno perso totalmente il loro aspetto legato alle aspirazioni più spirituali dell’uomo e sono bestie, non animali, bestie mitologiche. La prima descrizione di cavallo nel testo è quella di un animale selvaggio che stacca la testa del padrone a morsi. In ogni caso si capisce che l’autrice se ne intende di cavalli e parla con cognizione.
Inutile dire che il rapporto incestuoso tra padre (Henry figlio) e figlia che è forse la cosa meglio descritta nel romanzo crea una cappa oppressiva.
I personaggi più positivi sono i neri. Ma anche in questo c’è una sproporzione e uno sbilanciamento nel testo. Pare che l’anima sia appannaggio dei neri mentre i bianchi l’hanno persa. In ogni caso, anche se i neri sono più vicini a Dio perché Gesù, come dice il predicatore nel miglior predicozzo del romanzo, è morto nero, pare che nessun uomo sia più davvero uomo. Come i cavalli sono fatti di sola materia: muscoli, sperma e poco altro, così anche gli uomini. Il romanzo manca di vita vera, di slanci, di umanità, di disperazione, di sofferenza, di sfaccettature psicologiche anche se i personaggi sono ben descritti ma restano statici.
Insomma è un testo molto ben scritto ma che non mi sento di consigliare. Mi ha fatto venire in mente un’altra saga I Cazalet soprattutto per il simile tema della relazione incestuosa padre-figlia. Ma nei Cazalet si sente Elizabeth Jane Howard ha bagnato la penna con il suo sangue e si sente la cappa di tristezza e di verità del suo pur lunghissimo racconto. Potrei dire lo stesso dei Melrose. Questo romanzo è molto più ambizioso ma leggendolo si sente soprattutto il legno della scrivania.

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